Era buio quello quella notte in cui, tra il 20 ed il 21 agosto 2025, una nave libica – alla vista della Mare Jonio, della ONG Mediterranea Saving Humans – gettò crudelmente in mare dei migranti in acque internazionali, non risparmiando certo calci e pugni.
Dieci persone, tra cui dei minori – spaventate, provate, infreddolite, malate – furono portate in salvo. Fu chiesto alle autorità italiane di coordinamento dei soccorsi un luogo sicuro di sbarco. Per presunte ragioni di ordine pubblico, dal Viminale fu assegnata Genova – che dall’estremità meridionale del Mediterraneo è chiaramente dietro l’angolo – a dispetto del principio, di umanità prima ancora che giuridico, di dover garantire lo sbarco nel tempo più breve possibile.
Versavano in condizioni mediche precarie. Sarebbe bastato il buon senso per immaginarlo; in quel caso, i riscontri provenivano – oltre che dal personale di bordo – dalle autorità sanitarie marittime e dal centro radio medico contattati durante l’emergenza.
Eppure, nonostante le ripetute richieste dalla Mare Jonio di rivedere la decisione sul POS (Place of Safety), Genova risultava per il ministero la destinazione prescelta per i dieci (dieci!) naufraghi. Un insensato accanimento votato a prolungare Odissee migratorie che non si esauriscono nei deserti, nei lager o in mare sotto la minaccia dei fucili militari libici, ma devono affrontare le curve e le angherie della burocrazia e politica italiane. Già, Genova. Circa 700 miglia nautiche per diversi giorni di navigazione dal luogo di crisi. Per dieci (dieci!) disperati.
Mediterranea, coraggiosa ONG italiana, non ci sta. Sceglie di dirigersi a Trapani, così disubbidendo ad un ordine ritenuto illegittimo. Affilata e implacabile come una ghigliottina, giunge la pesantissima sanzione – comminata in applicazione del cosiddetto decreto Piantedosi – da parte della Prefettura: 10.000 euro di multa e, soprattutto, 60 giorni di fermo per una nave con l’unica vocazione di salvare vite.
Doveva essere evidentemente una punizione esemplare, per ricordare che le decisioni rispondono solo alla volontà governativa.
Hanno fatto male i conti, quella notte. Soprattutto con chi non ha paura del buio e aspetta fiducioso le luci dell’alba e della giustizia. Il giorno 8 ottobre, in attesa del giudizio di merito, il Tribunale di Trapani ha in via cautelare accolto il ricorso depositato per conto di armatore e Comandante, disponendo la sospensione della sanzione.
Almeno due sono gli aspetti che emergono dalla lettura di alcuni brevi stralci riportati pubblicamente nell’immediatezza.
Il primo, la fondatezza dell’esigenza – barbaramente ignorata – di sbarco in porto vicino per offrire tutela a naufraghi in condizioni di vulnerabilità fisica e psicologica, ed a cui correva l’obbligo di evitare ulteriori inflizioni che sarebbero ovviamente derivate dalla navigazione fino a Genova.
Il secondo, ancor più pregno di significati, evidenzia l’importanza di rilasciare la nave per consentirle di proseguire le attività solidaristiche di salvaguardia della vita in mare, di cui – si legge – “gli Stati sono portatori alla luce delle convenzioni internazionali che regolano la materia”.
Alcun pregiudizio alla tutela dell’ordine pubblico, dunque; il rischio di grave danno risulta, piuttosto, dagli oneri economici connessi al fermo forzato della nave e, ancor più, dalla “distrazione dei fondi raccolti dalle finalità per cui erano destinati” e dalla vanificazione di occasioni di adempiere ad una nobile missione umanitaria.
Un raggio di sole autunnale, quindi, arriva da Trapani, aprendo squarci sulla cupezza di questa epoca.
La dimensione altruistica è la chiave di volta di una decisione che antepone una giustizia e i suoi valori fondamentali – la vita, la dignità, la solidarietà – a regole troppo sorde per poter accogliere il lamento della sofferenza, giustificandone dunque la trasgressione.
In una notte buia, sul crinale tra la vita e la morte, il coraggio e la disperazione, affiora ancora una volta il dato politico di un governo incapace di far fronte alle asperità delle vicende umane, pur quando si tratta di una manciata di persone da mettere al riparo. A testimonianza di come i totem ideologici, oltre che disumani quando si costruiscono sulla pelle di uomini e donne alla deriva, si rivelano per quello che sono: ignobile e cieca speculazione, ignara dei fondamentali di civiltà giuridica.
Eccoli quindi, gli unici eroi – rigorosamente civili – da ammirare: armati di sola coerenza, generosità e coscienza. Con le luci del diritto, poi, brillano ancor di più.