Giardino segreto, Bosco verticale, Biblioteca degli alberi, Salva Milano. Non sono solo le dittature a usare a piene mani gli eufemismi.
Edward Bernays, tra i principali teorici delle tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica, mostrò già negli anni Venti del Novecento come il discorso propagandistico delle società democratiche si basasse su un uso pervasivo dell’eufemismo.
Milano è stata un incubatore di propaganda del mondo al contrario.
Tra le parole chiave: Riqualificazione.
Tra gli strumenti di ipnotismo e prestidigitazione: Rendering.
Tra gli esempi forse più simbolici della ferita che opprime e offende chi abita questa città: Piazza Castello, ristrutturata con fondi UE per la ripresa dopo la pandemia di Covid-19, trasformata in una colata di cemento, rovente d’estate e alluvionata d’inverno; Piazza San Babila, una spianata abbacinante di pietre, senza un albero, un’aiuola, un segno di vita.
Gli esempi possono andare avanti all’infinito, tra finte piste ciclabili, glicini secolari abbattuti e assalto ai parchi pubblici.
Ma la propaganda del Modello Milano è fatta anche di calzini. E come un calzino va rovesciata, senza dare la città in mano a chi ha già dimostrato di saperla divorare fino in fondo, insieme al resto del paese.
Con Tangentopoli cadde un sistema, fu la fine della Prima Repubblica.
Non sappiamo se siamo di fronte alle scosse di un nuovo terremoto, ma certamente è questa l’occasione per togliere dall’archeologia quella che fu chiamata “questione morale” e farne una questione politica, dirimente per la sinistra.