Mamdani e il supporto dei sindacati, arrivato dopo la sconfitta di Cuomo. Nuovi scenari newyorchesi

04 Luglio 2025

Elisabetta Raimondi

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Manny Pastreich, Presidente del sindacato 32BJ, e il candidato dem di New York, Zohran Mamdani ⓒ Foto di Elisabetta Raimondi

Reduce dalla imprevista sconfitta, Cuomo potrebbe candidarsi come indipendente a sindaco di New York. Intanto questa settimana i sindacati, che lo sostenevano alle primarie, si sono schierati con il candidato dei Dem, il socialista Mamdani.

Non è cosa nuova che negli Stati Uniti le relazioni tra sindacati e potere siano tra le più complicate e controverse, come si evince anche dalla lunga lista dei film su quel tema realizzati nella storia del cinema. In un certo senso anche le primarie di New York per l’elezione a sindaco non hanno fatto eccezione alla regola, considerando il numero di importantissime associazioni sindacali che in prima battuta si sono schierate con l’ex governatore dello stato di New York Andrew Cuomo, personaggio ancora potentissimo, o almeno così si credeva, fino alle elezioni del 24 giugno che hanno sancito la sua sconfitta ad opera del giovane democratico socialista, indiano-americano e musulmano Zohran Mandani.

Non sappiamo ancora se Andrew Cuomo, che è comunque presente sulla scheda delle elezioni generali di novembre, correrà come indipendente. Dopo una primissima apparente rinuncia seguita da un possibile ripensamento, Cuomo per il momento tace, esattamente come tace quasi tutto l’establishment democratico su Zohran Mamdani. Quelli che si si espongono invece lo fanno per esprimere perplessità, come ad esempio il soporifero leader di minoranza della Camera Hakeem Jeffries, secondo il quale Mamdani «deve convincere la gente di esser disposto a combattere aggressivamente l’insorgere dell’antisemitismo nella città di New York, che ha raggiunto livelli insopportabili», quasi fosse colpa di Mamdani, o la senatrice Kirsten Gillibrand, che dopo averlo accusatoi di antisemitismo per per presunti «riferimenti alla jihad globale», ha dovuto chiedegli scusa. 

Non sappiamo ancora neppure se il silenzio di Cuomo sia dovuto a una pausa di riflessione o alla presa di coscienza che per lui sarebbe molto meglio rassegnarsi e lasciar perdere, invece di aspirare a una posizione già negatagli da moltissimi newyorkesi consapevoli degli intrighi del suo modo di condurre la politica dello Stato di New York  –  e di conseguenza di New York City  che per molti aspetti dipende dalle decisioni statali – e memori delle sue responsabilità in periodo di Covid

L’accoglienza entusiasta riservata a Zohran Mamdani mercoledì 2 luglio alla conferenza stampa per l’ufficializzazione dell’endorsement di molti sindacati – tra cui il  NYC Central Labor Acting Council cui sono affiliate oltre 300 organizzazioni, diverse delle quali si erano schierate con Cuomo per le primarie – non solo offre evidenza del fatto che Cuomo farebbe meglio a rinunciare, ma offre una particolare prospettiva su alcune possibili motivazioni di quella prima scelta ora rinnegata.  Motivazioni che potrebbero avere a che fare con i rapporti di potere/dipendenza/ricatto che Cuomo ha sempre esercitato nelle sue mansioni governative, durate per ben undici anni prima delle dimissioni rassegnate nell’agosto 2021 in seguito allo scandalo per le molestie sessuali, che, con tutto il rispetto dovuto alle sue vittime, sembra un’inezia di fronte ad altri crimini perpetrati da Cuomo. Primo fra tutti la diretta responsabilità per le migliaia di morti nelle case di riposo durante il Covid, dovute alla sua scellerata decisione, favorita dalla relazione corrotta con le corporation sanitarie, di consentire agli ospedali di dimettere pazienti anziani ancora positivi. Un crimine peraltro coperto attraverso la falsificazione dei dati, per impedire che si sapesse che lo Stato di New York era al top della classifica dei deceduti, proprio mentre i media mainstream dell’establishment democratico facevano apparire Cuomo come la figura di riferimento da contrapporre a Donald Trump. 

Cuomo e il Principe di Machiavelli

Prima di entrare nel dettaglio della giornata sindacale, possono essere esemplificativi alcuni passaggi della lunga conversazione avuta in queste giornate newyorkesi con Ross Barkan, non solo giornalista di The Nation, The Guardian e Jacobin Magazine, ma autore di diversi libri tra cui The Prince: Andrew Cuomo, Coronavirus, and the Fall of New York, pubblicato nel 2021 qualche mese prima delle dimissioni di Cuomo ed ora riedito come Cuomo, the Return of the Dark Prince. Il libro, che presenta il protagonista come la personificazione degli insegnamenti machiavellici nell’esercizio del potere attraverso la disamina sia del periodo del Coronavirus sia negli anni precedenti, può risultare particolarmente intrigante per il pubblico italiano soprattutto nella sua prima edizione, per via della bella copertina che ritrae l’ex governatore in abiti rinascimentali sullo sfondo di un paesaggio leonardesco.

«Cuomo e il Principe di Machiavelli sono simili per molti aspetti. Andrew Cuomo ha operato dalla prospettiva secondo cui è meglio essere temuti che amati. Quella era davvero la sua essenza. Aveva pochissimi amici in Congresso e deteneva il potere in modo molto aggressivo tanto da essere temuto da tantissima gente in tutto lo stato. E questa paura gli ha permesso di consolidare il potere, di dominare e di ottenere spesso quello che voleva.  Era molto subdolo, scaltro, e bravissimo nei giochi di potere dietro le quinte. Non è mai stato accogliente e socievole, non lo si vedeva mai alle parate a stringere le mani alle persone per la strada. Non ha mai praticato quel tipo di politica, ma si trovava perfettamente a suo agio nell’ombra, nel muovere i pezzi sulla scacchiera in maniera calcolata e strategica. Ecco perché penso che abbia preso lezioni dal Principe di Machiavelli. Nessuno poteva essere veramente amico di Cuomo. Era molto transazionale, il rapporto era sempre basato su cosa si può dare e su cosa si può ricevere in cambio. E inoltre era molto vendicativo e se non stavi dalla sua parte sapeva come punirti  utilizzando le leve del potere della sua posizione, perché l’ufficio del governatore è molto potente. È come essere il Primo Ministro dello Stato di New York. Hai veramente in mano il potere esecutivo e controlli un mucchio di soldi. (…) Attraverso questo modo di agire ha conseguito diversi successi, ma anche altrettanti fallimenti. Ci sono stati scandali per corruzione, per il malgoverno del sistema della metropolitana e dei trasporti pubblici. In modo mascherato supportava i repubblicani contro i democratici nel Congresso dello Stato ed era molto ostile nei confronti dei sindacati, verso gli affittuari e coloro che non possedevano proprietà, mentre era molto vicino all’industria immobiliare responsabile della gentrificazione di diverse zone di New York.»

Con una reputazione e comportamenti di questo tipo, non è difficile immaginare  perché molte organizzazioni sindacali, a parte alcune ideologicamente schierate con lui, abbiano dato, o dovuto dare,  il loro endorsement a Cuomo in un momento in cui sembrava essere il candidato superfavorito – ricordiamo che Zohran Mamdani è partito con un riconoscimento pari all’1% – delle primarie.  Anche il  fatto che due importantissime organizzazioni sindacali come la sezione 32BJ del SIEU (rivolta in particolare a custodi, addetti alle pulizie, lavoratori aeroportuali, addetti alla sicurezza)  e l’HTC (Hotel and Gaming Trades Council che affilia l’amplissima gamma di lavoratori del settore) abbiano annunciato l’endorsement  Zohran Mamdani subito dopo la sua vittoria parrebbe ricondurre il precedente supporto a Cuomo a motivi di convenienza, dovuti alla necessità di non inimicarsi, a discapito dei lavoratori, un personaggio le cui politiche transazionali e il cui spirito vendicativo sono tratti distintivi. I presidenti di quei sindacati, Manny Pastreich e Rich Maroco, hanno preso parte alla conferenza stampa insieme a Nancy Hagans e  Brendan Griffin, rispettivamente presidenti della  NYCNA (Nurse Association di New York City) e del già citato Central Labor Acting Council di New York City, le cui associazioni si erano invece astenute dal dare endorsement alle primarie. Insieme ai leader una vasta rappresentanza di lavoratori di tutte le età ed etnie ha accolto Zohran con un entusiasmo difficile da contenere, anche perché, come ho scoperto parlando con diversi lavoratori dopo l’evento, sono stati tantissimi, in particolare tra i giovani, quelli che hanno votato per Mamdani ignorando le direttive dei vertici dei propri sindacati. 

L’intervista a Manny Pastreich

Comprensibilmente inutile è stato invece cercare di avere risposte diverse da quelle datemi da Manny Pastreich sul perché il SIEU 32BJ abbia in prima istanza deciso di schierarsi  per Cuomo.

MP: Quando Cuomo era governatore ha mantenuto la promessa di alzare le paghe dei lavoratori aeroportuali e di aumentare anche la paga minima. Inoltre era una persona che i nostri membri conoscevano bene, con cui c’era stata una lunga storia e per la quale nutrivano rispetto.

ER: Quindi il fatto che il sindacato sia stato in un certo senso costretto a scegliere Cuomo, che era dato vincente, per evitare possibili ritorsioni che avrebbero penalizzato i lavoratori sono solo speculazioni?

MP: Onestamente noi abbiamo preso in esame tutti i nove candidati, compreso il sindaco attuale Eric Adams, al nostro forum di 200 membri, che hanno avuto tutto il tempo di ragionare su ciascuno di loro. Quando in aprile abbiamo deciso per l’endorsement sulla base della storia dei vari candidati e dell’alto profilo che aveva Cuomo, la maggioranza dei nostri 200 delegati ha voluto che sostenessimo Andrew Cuomo e quella decisione ci andava benissimo, soprattutto per la storia di familiarità che i nostri affiliati avevano con lui. 

ER: Non ci sono state quindi riserve considerando gli abusi sessuali e la questione dei morti nelle case di riposo di cui è stato responsabile durante il Covid?

MP: Sì, ci sono state. Ma chiunque si trovi in una posizione come quella di un governatore ha a che fare con ogni sorta di problema, e ogni governatore porta con sé sia del  buono che del cattivo. Sono tutte cose che abbiamo esaminato durante il nostro percorso verso l’endorsement. 

ER: Quindi avete deciso sulla base di quello che  che vi sembrava essere la cosa migliore per gli interessi dei lavoratori? 

MP: Certamente. E Cuomo aveva fatto delle cose buone per i lavoratori. E comunque ciò su cui siamo attualmente focalizzati non è guardare indietro ma guardare avanti. Voglio dire che quello che Zohran ha dimostrato, come lui stesso ha appena detto, è il fatto di avere creato una coalizione di 545.000 elettori newyorkesi che hanno voglia di guardare avanti. E noi siamo davvero orgogliosi di lavorare con lui e di essere  parte della coalizione che costruirà un nuovo futuro. 

ER: Pensa che Zohran vincerà le elezioni di novembre?

MP: Sono sicurissimo che Zohran sarà il prossimo sindaco di New York. 

Trump su tutte le furie vuole arrestare Mamdani

Per concludere questa parziale cronaca da New York riportiamo alcuni commenti espressi da  Mamdani nella mattinata sindacale in seguito alla domanda rivoltagli da una giornalista sulle minacce di Donald Trump. 

«Ieri Donald Trump ha detto che dovrei essere arrestato. Ha detto che dovrei essere deportato e denaturalizzato. E se ha detto queste cose su di me, che sono nella posizione di poter diventare il primo sindaco immigrato di questa città da generazioni, il primo sindaco musulmano e il primo sindaco sudasiatico nella storia della città, non lo ha fatto tanto per quello che sono, per come appaio o per come parlo, quanto piuttosto perché vuole distrarre la gente dai principi per cui mi batto. Io mi batto per la classe lavoratrice, per quella gente che è stata sfrattata da New York a causa del suo costo. E mi batto per la stessa gente per cui Trump aveva detto si sarebbe battuto. Ha fatto una campagna promettendo di abbassare i prezzi degli alimentari e di alleviare il soffocante costo della crisi. Per lui è più facile soffiare sul fuoco della divisione invece di prendere atto di quanto abbia tradito la classe lavoratrice americana  non solo in questa città ma in tutto il paese, e di quanto continuerà a tradirla, perché sappiamo che gli conviene parlare di me invece che della legge [il cosiddetto Big Beautiful Bill già approvato la settimana scorsa al Senato e approvato anche alla Camera nel momento in cui scrivo], che sta promuovendo a Washington. Una legge che priverà letteralmente gli americani delle cure sanitarie, che ruberà il cibo a chi è già affamato, che replica uno dei massimi trasferimenti di ricchezza come quello visto nella storia recente durante gli anni della sua prima amministrazione. (…) E per concludere la cosa che temo di più è il fatto che se Trump e la sua amministrazione non hanno remore nel dire quello che dicono sul nominato democratico alla carica di sindaco di New York, immaginate cosa potranno dire e fare con immigrati di cui neppure conoscono i nomi».

Elisabetta Raimondi, già professoressa di inglese e drammaturga, ha iniziato a seguire per Vorrei.org la campagna di Bernie Sanders nel 2016.
Collabora, con Jacobin Italia.

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