Unione Europea: come ridurre il rischio di un nuovo autoritarismo sovranazionale

19 Giugno 2025

Emilio De Capitani Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Open Days at the European Parliament in Strasbourg

C’è una domanda che fa da sottofondo tra chi osserva l’evoluzione, o l’involuzione, delle garanzie democratiche all’interno delle istituzioni europee: il Parlamento, spesso esautorato come accade anche agli organi elettivi degli Stati membri, è solo vittima o anche complice?

Per prevenire fenomeni di concentrazione e abuso di potere a livello nazionale le Costituzioni hanno previsto forme più o meno radicali di separazione dei poteri e un sistema di pesi e contrappesi il cui successo dipende in larga misura dall’efficienza e indipendenza del sistema giudiziario nazionale.

Queste soluzioni sono purtroppo scarsamente esportabili a livello sovranazionale e internazionale nonostante sia proprio a questi livelli che vengono ormai prese molte delle decisioni che incidono sulla vita delle persone.
Fra le organizzazioni internazionali il caso dell’Unione Europea merita però una attenzione particolare proprio perché si è da tempo avviata sul cammino per diventare una democrazia sovranazionale. Il primo passo si è avuto nel lontano 5 febbraio del 1963 quando la Corte di Giustizia con la Sentenza Van Gend en Loos ha considerato che la Comunità costituiva “un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini.” In quella sentenza non solo si ponevano sullo stesso piano gli Stati Membri “Masters of the Treaties” ma si affermava che “La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce d’altronde un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli 169 e 170 affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri”.

Complici le diverse crisi che si sono succedute dal 2008 gli Stati Membri con l’attiva collaborazione della Commissione hanno progressivamente centralizzato le scelte strategiche presso il Consiglio europeo senza cercare alcun dialogo con il Parlamento

Il seme lanciato dalla Corte ci metterà decenni a fiorire ma sarà alla base di una copiosa giurisprudenza e di diverse modifiche ai Trattati che culmineranno nel Trattato di Lisbona che ha non solo riconosciuto il carattere vincolante della Carta dei Diritti ma che ha anche previsto negli art. 9-12 TUE i principi democratici che devono ormai caratterizzare l’attività dell’Unione. Primo fra tutti è l’art 10.1 del TUE secondo il quale “il funzionamento dell’Unione (e quindi tutte le sue politiche) si fonda ormai sulla democrazia rappresentativa”.
Ma il Trattato di Lisbona con la sua definizione di atti legislativi (art.289 TFEU) e la previsione di una competenza legislativa “bicamerale” in capo a Parlamento e Consiglio ha anche creato in embrione il principio di separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

Come era da aspettarselo una simile innovazione è stata osteggiata in particolare dal Consiglio e dalla Commissione se non a parole nei fatti attraverso una strategia gattopardesca che mirava a mantenere gli antichi equilibri di potere sotto le nuove forme previste dal Trattato.

Complici le diverse crisi che si sono succedute dal 2008 gli Stati Membri con l’attiva collaborazione della Commissione hanno progressivamente centralizzato le scelte strategiche presso il Consiglio europeo senza cercare alcun dialogo con il Parlamento chiamato invece a “mettere in musica” e cioè sotto forma di testi legislativi, insieme al Consiglio, le scelte dei Capi di Stato e di Governo. A partire dalla crisi del Covid si è addirittura evitato lo stesso coinvolgimento del Parlamento europeo invocando ragioni emergenziali e ricorrendo a basi giuridiche “eccezionali” come l’art.78.3 per far fronte agli spostamenti massicci di migranti e, soprattutto, l’art.122 per interventi straordinari in campo economico. Il Parlamento ha cercato di contenere questa deriva facendo anche leva sulle proprie competenze in materia di bilancio visto che le misure previste in base all’art.122 comportano comunque rilevanti impegni finanziari a carico del contribuente europeo, ma gli accordi interistituzionali non hanno rallentato la deriva della Commissione e del Consiglio.

L’esempio più evidente di questa espropriazione dei poteri della sola istituzione eletta direttamente dai cittadini è l’approvazione del Regolamento 2025/1106 del 27 maggio 2025 che attraverso lo strumento di azione per la sicurezza dell’Europa (SAFE) si appresta a mobilitare fino a 150 Miliardi di euro per il rafforzamento dell’industria europea della difesa. Durante i negoziati il Parlamento europeo aveva avvertito la Commissione e il Consiglio che non ricorrevano le condizioni di urgenza per il ricorso a questa procedura straordinaria e che, quanto al merito, era disponibile ad assumersi le sue responsabilità di co-legislatore, ma il Consiglio non ha tenuto conto di queste osservazioni e si tratterà ora di vedere se il Parlamento impugnerà il provvedimento di fronte alla Corte.

Si tratta di derive gravi rispetto ai principi di controllo e partecipazione democratica

Espropriare il legislatore previsto dai Trattati è certo la forma estrema attraverso la quale il Consiglio (e gli Stati Membri in esso rappresentati) con la complicità della Commissione riportano in auge la prassi intergovernativa vigente prima del trattato di Maastricht, ma ve ne sono altre forse meno appariscenti ma più subdole e quotidiane. È questo il caso della gestione in via confidenziale dei negoziati legislativi all’interno del Consiglio e con il Parlamento europeo (i cosiddetti “triloghi”) in nome del principio della “protezione del processo decisionale” prevista dall’art 4.3 del Regolamento 1049/01 adottato prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona e con una diversa definizione delle procedure legislative rispetto a quella oggi prevista dall’art.289 TFEU Così facendo però Consiglio e Commissione rendono priva di effetti la una nuova previsione del Trattato (art.15.2 TFEU) secondo la quale i dibattiti e i voti legislativi debbono essere pubblici e ciò per permettere la partecipazione dei cittadini e lo stesso contributo dei parlamenti nazionali cui è affidato il compito di vegliare sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Si tratta di derive gravi rispetto ai principi di controllo e partecipazione democratica ed il fatto che questa situazione di protragga ormai da diversi anni fa sorgere il sospetto che il Parlamento europeo non sia solo vittima, ma, in definitiva, anche complice. Non deve sfuggire infatti che le maggiori forze politiche in esso rappresentate sono anche al Governo in molti degli Stati Membri e questi possono preferire un Parlamento “Tromp l’oeil” piuttosto che una Camera decisa a difendere le proprie prerogative e gli interessi dei cittadini che l’hanno eletta.

Direttore Esecutivo del Fundamental Rights European Experts Group (FREE Group). Docente a contratto presso la Scuola Superiore S.Anna in Pisa. Già Segretario (1998-2011) della Commissione Libertà Civili (LIBE) del Parlamento Europeo.

Nel corso della sua attività professionale responsabile per le relazioni istituzionali e il coordinamento legislativo presso il Parlamento Europeo (1985-1998) e la Giunta Regionale della Lombardia (1971-1985).

Autore e co-autore di saggi e pubblicazioni in campo istituzionale e sulle politiche legate allo spazio europeo di Libertà sicurezza e giustizia.

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