Gaza, le ferite dei corpi e delle menti

30 Maggio 2025

Valeria Verdolini Presidente Antigone Lombardia

Un commento all’incontro “Per ritrovare pace. Trauma, testimonianza, cura” con Samah Jabr in Fondazione Feltrinelli, a Milano.

Ieri sera (29 maggio 2025, ndr) ho ascoltato le parole potenti di Samah Jabr, psichiatra palestinese.

Le sue riflessioni erano attraversate da una lucidità dolorosa e politica, che mette in discussione chi ascolta. Ha parlato di ferite inflitte, di corpi e menti segnate. La terapia, però, è la cura, lo spazio di fiducia nell’umanità. A Gaza sono trascorsi 602 di assedio, di cui 80 giorni consecutivi di fame. Samah ha parlato del senso di colpa dei sopravvissuti, che si accompagna alla difficoltà di dare un nome al trauma e a tendenza, comprensibile, di negare la realtà per sopravvivere. Il processo di guarigione passa anche attraverso questa colpa e il modo in cui si riesce a integrarla nel proprio vissuto.

Ha ricordato che l’umanità è dialettica: non è composta solo da luce, ma anche da ombre, e questa tensione attraversa tutti, da sempre. Ci piacerebbe credere che il male sia opera di una minoranza patologica. Ma il presente dimostra che chi agisce il male oggi è organizzato, strutturato, e ha dato forma a un ordine mondiale difficile da scardinare. Tuttavia, c’è un altro potere meno visibile, ma non per questo insignificante: il potere delle persone che si oppongono. Non produce risultati immediati. Ma può creare brecce. E questo è già un atto politico.

La Palestina è, oggi, la questione morale centrale del nostro tempo. Non è una causa caritatevole ma una responsabilità politica, che interpella chiunque voglia definirsi umano. È un processo che ha valore in sé, non solo in funzione della meta. Anche se non arriveremo agli obiettivi, possiamo trasmetterli. Possiamo lasciarli in eredità. Possiamo farli sopravvivere. Questo è il senso profondo del Sumud, la perseveranza nella resistenza. «Quello che viviamo oggi – ha detto – i nostri nonni lo hanno vissuto nel 1948».
Samah ha parlato dell’aquilone, un oggetto che vola, ma anche un oggetto transizionale: serve a elaborare il trauma, a trasformare il dolore. I palestinesi sono vittime, ma non vittime assolute. Non chiedono commiserazione, ma giustizia. Sumud significa anche che chi sceglie la solidarietà non è automaticamente assolto: è coinvolto, è chiamato a rispondere, a scegliere da che parte stare. Samah ha denunciato con fermezza la complicità dei media, la scarsa conoscenza – soprattutto nel Nord del mondo – della storia della resistenza palestinese. Ha detto che a un certo punto sono stati offerti strumenti di lotta non violenta, ma in cambio è stato chiesto il silenzio, la rinuncia. È qui che si manifesta l’ingiustizia epistemica: non è solo una questione di narrazione, ma di chi ha il potere di decidere quale narrazione può circolare.

«Lo sguardo del Nord sul Sud globale è ancora coloniale», ha detto. E non è solo una questione linguistica: il linguaggio del dolore palestinese è difficile da tradurre in inglese. Non perché manchino le parole, ma perché manca l’ascolto. Manca la volontà di capire. Ieri è stato bellissimo, perché si è parlato di vita, di liberazione, di cura.

Valeria Verdolini insegna Sociologia del diritto, ed è Presidente di Antigone Lombardia.
L’ultimo libro è “L’istituzione reietta. Spazi e dinamiche del carcere in Italia”, Carocci, 2022.

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