Daniela Padoan: La preoccupazione per l’erosione democratica in atto in molti paesi occidentali – dall’Ungheria di Orbán alla Slovacchia di Fico, dall’Argentina di Milei all’America di Trump – trova quotidianamente spazio sulla stampa e sui social italiani, ma quando si tratta dei processi autoritari in atto nel nostro paese sembra esservi un minor desiderio di analisi. Il contagio, d’altra parte, riguarda sempre qualcun altro, come Albert Camus ha mostrato esemplarmente nella Peste. «I flagelli sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa», scrisse nel 1947, tre anni dopo la scelta di militare nella Resistenza francese contro il nazifascismo. Quali minacce, secondo lei, incombono sulla nostra vita democratica e costituzionale?
Francesco Pallante: Nell’azione del governo e della maggioranza che lo sostiene sono visibili venature autoritarie tanto sul piano straordinario delle riforme istituzionali, quanto sul piano ordinario dell’azione politica contingente. Le riforme sono accomunate dall’obiettivo di ribaltare nel loro opposto i principi costituzionali vigenti. Se oggi la formazione del governo dipende dall’elezione del Parlamento, con il premierato la formazione del Parlamento dipenderebbe dall’elezione del governo, o del suo capo; se oggi il principio d’uguaglianza governa l’assegnazione dei diritti, con il regionalismo differenziato, che valorizza il luogo di residenza, a dominare sarebbero le disuguaglianze; se oggi la magistratura è un potere indipendente tutelato da un unico Csm elettivo, con la riforma della giustizia – imperniata su due Csm non elettivi – diverrebbe soggetta al controllo dell’esecutivo. Dal complesso delle riforme emergerebbe quindi un sistema totalmente squilibrato a favore del vertice dell’esecutivo, senza i contrappesi tipici del costituzionalismo democratico.
DP: A questo quadro si somma, diceva poc’anzi, l’azione politica contingente.
FP: Sul piano ordinario, l’azione politica governativa esprime una preoccupante mancanza di consuetudine con i meccanismi di base della democrazia che si esplica, in particolare, nell’insofferenza verso i poteri di controllo. L’esecutivo sembra ritenere che il consenso popolare giustifichi qualsiasi cosa, senza considerare che il consenso di cui gode la maggioranza è in realtà assai limitato – poco più di un potenziale elettore su quattro – e, soprattutto, che la Costituzione vincola, nelle forme e nella sostanza, la sovranità popolare.
DP: Così come la vincola il diritto sovranazionale, nei cui confronti l’esecutivo manifesta segnali di fastidio, quando non di aperta contrapposizione.
FP: L’attacco al diritto sovranazionale vede coinvolti tutti i partiti di governo, rendendo difficile distinguere tra moderati ed estremisti. Le parole contro la giustizia internazionale pronunciate dal ministro degli Esteri a protezione di imputati di crimini gravissimi, come Netanyahu e Almasri; l’intimidazione dei giudici che esercitano i loro poteri ordinari d’interpretazione del diritto europeo; le forzature normative finalizzate alla repressione dei migranti, in violazione dei loro diritti costituzionali: sono tutte rotture decisive della visione costituzionale, per la quale il solo modo di assicurare la pace è subordinare la sovranità dello Stato all’ordinamento internazionale.
DP: Sul piano interno, assistiamo a un attacco diretto alle voci critiche dell’esecutivo, che si tratti della magistratura, della libera stampa o del dissenso sociale, a fronte di un’ampia tolleranza verso esplicite manifestazioni di neofascismo.
FP: Il governo appare incapace di mantenere un equilibrio nei rapporti con gli altri poteri: umilia il Parlamento con l’abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia; attacca frontalmente la magistratura ogni qualvolta vi è una pronuncia sgradita; si sottrae al rapporto con la stampa non allineata; inquadra come pericoloso contropotere persino la Corte dei conti. Ma il peggio avviene nei confronti dell’opposizione politica e del disagio sociale, oggetto di misure repressive tendenti a trasformare ogni forma di protesta – che riguardi il lavoro, l’ambiente, la pace – in reato penale. Nei confronti delle manifestazioni neofasciste, invece, la regola è la benevolenza.
DP: Nello scenario che descrive, appaiono ancora più preoccupanti l’oscuramento mediatico dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza e il disprezzo del voto, con l’invito a disertare le urne.
FP: Approfittare parassitariamente dell’astensionismo “da scoramento” per far fallire i referendum significa sottrarsi al confronto democratico delle idee: per questo l’invito fatto dal presidente del Senato, seconda carica dello Stato, a non recarsi ai seggi è particolarmente grave. Tanto più che negare rilievo alla questione del lavoro significa minare le basi stesse della democrazia, che non può funzionare senza garantire un certo livello di inclusione sociale. Se oggi molte persone non votano, è perché vedono nella democrazia una mera forma, che tradisce nella sostanza la promessa di uguaglianza su cui si basa. Non è un caso che l’astensionismo sia altissimo soprattutto tra i ceti medi e bassi.
DP: Qual è, a suo avviso, la responsabilità di quello che Paul Ginsborg chiamava il «ceto medio riflessivo» nell’allontanamento dei cittadini alla partecipazione democratica, e come si potrebbe, oggi, far fronte a quella sorta di “nichilismo della disperazione” che induce nelle persone più fragili un disgusto della politica?
FP: Il ceto medio è sempre più schiacciato verso il basso. Il vero problema è la miopia delle classi benestanti non reazionarie, che temono l’autoritarismo ma non sono disposte a rivedere gli squilibri di potere economico di cui beneficiano, per rilanciare politiche di welfare. Occorre ridare dignità e tutela al lavoro dipendente e tornare a redistribuire la ricchezza dall’alto verso il basso, anziché dal basso verso l’alto, com’è avvenuto negli ultimi decenni. Favorire i ricchi a dismisura non ha fatto il bene della società e ha distrutto la credibilità della democrazia. Per i democratici, d’altra parte, il quadro nazionale e internazionale non è facile: sono chiamati a difendere un concetto screditato mentre tutt’intorno proliferano soluzioni attraenti per il loro semplicismo. Inoltre l’individualismo dominante ha indebolito i corpi intermedi e le voci critiche, pur esistenti, rimangono isolate. Siamo chiamati a ricomporre ciò che è frammentato e creare le condizioni perché un progetto di democrazia e giustizia sociale possa riacquisire forza, attrattività, capacità di rivolgersi alle persone.
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