Abolizione della prova scritta alla maturità? No, grazie

25 Novembre 2021

‘La carica dei 40mila’ è una petizione al Ministro dell’Istruzione per rimuovere dall’esame di Stato del 2022 l’ultimo scritto di cui non sia già stato annunciato, promesso e garantito che non apparirà, quello di italiano. Su Domani di ieri (il destino di ogni domani è di tramutarsi in un ieri…) Mattia Ferraresi illustra tristemente l’italiano in cui l’appello è formulato: “La debolezza del manifesto… non è nella qualità delle argomentazioni, ma nella sgrammaticata povertà con cui queste sono presentate.”

Ecco un campione: Noi studenti maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte agli esami di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità.

Al posto della prima virgola andrebbero due punti, o forse un punto. Ma la seconda virgola ha un tocco di assurdo che farebbe pensare a uno scherzo. Tuttavia, a differenza dell’ottimo Mattia Ferraresi, è sulla “qualità delle argomentazioni” che vorrei soffermarmi. Eccole. Quali che essi siano, dicono gli appellanti, “le nostre capacità” sono note a quegli esaminatori che sono anche stati nostri insegnanti negli anni passati. A che servono allora degli esami scritti? Ma quello “scritti” è un non sequitur: chiaramente la domanda avrebbe dovuto essere: “a che servono degli esami se le nostre capacità sono già state accertate a oltranza?”

Beh, la risposta sarebbe che poiché gli esami sono di Stato e non uno scrutinio di Istituto, una qualche componente esterna alla scuola frequentata dai candidati deve essere presente nella Commissione (ai miei tempi era prevista la presenza di un unico rappresentante di Istituto, il famoso “membro interno”. Ora è l’opposto: un solo “esterno”.) E la Commissione deve prendere in esame le prestazioni di esame e non quelle passate, anche se di queste si tiene ampiamente conto nella determinazione del punteggio. L’appello sarebbe in definitiva basato sulla tesi implicita dell’inutilità dell’esame di Stato: “pleonastico” anch’esso. Ma anche da questa tesi più ambiziosa, la caduta dello scritto di italiano non segue.

Forse si può supporre che l’ingiustificata avversione agli scritti sia dovuta al loro temuto effetto di confondere il quadro altrimenti chiaramente delineato e positivo delle “nostre capacità”. Ma come sono queste “capacità”? Ebbene, gli appellanti ricordano che “abbiamo passato terzo e quarto anno in Dad, penalizzandoci, distruggendo parte delle nostre basi che ci sarebbero dovute servire per gli esami”, e non sto qui a chiedermi quale sia il soggetto di quei due gerundi. Dunque, la preparazione ha risentito della Dad, ma, anche qui, non si vede perché a esami svolti le Commissioni non possano tener conto di eventuali lacune riscontrate.

Gli appellanti si rendono forse conto che una ragione specifica per fare a meno dello scritto nel loro appello non c’è, e tentano la seguente carta: “l’ulteriore stress di esami scritti remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta.”  Ormai abituato all’orrore, ignorerò quell’incredibile “remare contro”. Ma naturalmente anche gli orali potrebbero costituire uno stress, e la capacità di reggere lo stress dello scritto (ed eventualmente quello dell’orale) potrebbe essa sì essere un primo passo verso l’età adulta.

Affari italiani, 21 novembre 2021

 

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