Ritorna? Perché questo nostro interrogativo? Perché, letta l’intervista rilasciata da Marco Revelli, abbiamo ripensato al lapidario giudizio dato dall’indimenticabile Leopoldo Elia alla proposta di riforma della Costituzione del governo presieduto da Berlusconi, nel 2005.
Leopoldo Elia ci disse, nel corso di un incontro del nostro Comitato referendario, fondato con Oscar Luigi Scalfaro nel 2005, per chiedere l’abrogazione della riforma: “In questa riforma si annida un futuro premierato assoluto, sciolto cioè dal Parlamento, con ruoli ribaltati. Ora è il Parlamento che può sfiduciare un governo. Se passa questa riforma, sarà il premier a sfiduciare il Parlamento”.
Premier, cominciava a tramontare “presidente del Consiglio”, ora quasi del tutto in disuso. Premier, governatori. Se noi umani siamo il nostro linguaggio, il linguaggio dei media e della politica corrente dice molto dello spirito dei tempi. Leopoldo Elia, presidente emerito della Corte Costituzionale, fu per noi, in quei mesi, un importante punto di riferimento. E anche con il suo aiuto – NO al premierato assoluto, fu una delle nostre parole d’ordine durante la campagna referendaria – vincemmo, molto bene, il referendum, del 2006. Ed altrettanto bene un analogo referendum, nel 2016.
Quindi, di nuovo premierato assoluto? Quale è la differenza rispetto ad allora? La differenza è che di fatto, senza riforme costituzionali, il Parlamento è sempre più ai margini. I rappresentanti del popolo, con la debolezza di idee e di parole, sembrano figure di contorno, evanescenti, alla Camera e al Senato. I capi dei Partiti parlano, quando parlano, attraverso i media. Il governo attuale, ha precisato Mattarella a suo tempo, non ha valenza politica. C’è l’emergenza covid, che non permette perdita di tempo.
In questo vuoto, di fatto Draghi diventa il centro, l’autorità parlante e decidente. Di fatto, senza riforma alcuna. Con un particolare, a nostro avviso inquietante, come sottolinea Revelli. L’assemblea di Confindustria sembra averlo con entusiasmo incoronato. E’ diventata una terza Camera?
Proviamo a immaginare un’altra situazione. Se i tre sindacati confederali indicessero una assemblea unitaria di tutti i loro delegati, e invitassero Draghi a un confronto? Prevediamo un applauso di cortesia e dovuto. Entusiasmo che incorona? Impensabile. Non sarebbe una terza Camera.
La nostra Costituzione prevede la divisione di poteri, ma fra quelli evocati non c’è il potere economico. Madri e Padri Costituenti presero molto sul serio il loro compito. Disegnarono una Repubblica parlamentare, perché dei capi avevano ancora sulla pelle, nella testa e nei cuori un sapore molto amaro.
Revelli enumera le assurdità, grottesche o pericolose, che da anni ci circondano. Teme una assuefazione diffusa di fronte a un populismo “elegante”, che potrebbe radicarsi in assenza di politica. Un capo bravo ed elegante – difficile negare che Draghi lo sia – può essere la soluzione dei mali vecchi e nuovi? Chissà, proviamo, è forse un pensiero popolare diffuso, in assenza di conoscenza storica e di esperienza politica.
A ben vedere, ancora più inquietante fu l’inerzia e il vuoto politico seguiti all’affossamento del Conte II. Non a caso, allora molte e molti di noi hanno condiviso un appello di Libertà e Giustizia, del 5 marzo 2021, dal titolo L’attesa messianica. Il messia che salva? Con il linguaggio crudamente laico, come quello di Revelli, un nuovo premier assoluto. Draghi.
Certo, caro Revelli, non va bene. Senza in nostri argomenti “adulti”, lo ricordano le giovani e i giovani, oggi, a Milano per il clima, e a voce alta. Saranno loro a governare il futuro. Il nostro augurio. Che mettano i bastoni fra le ruote ad ogni genere di “assoluto”, premierato compreso.