GADDA, MONTALE, I TEDESCHI A FIRENZE NEL NUOVO LIBRO DI SANDRA BONSANTI

28 Giugno 2020

«Ottant’anni, ci ho messo a scrivere questo libro. Un tempo lungo», dice Sandra Bonsanti in una nota minuscola del suo Stanotte dormirai nel letto del re che sta per uscire nelle Edizioni di Rosellina Archinto. Una memoria, lei bambina, del tempo di guerra e anche delle delusioni di quel che accadde dopo la Liberazione a spegnere tante speranze. Un libro che nasce dal cuore più profondo, commosso, commovente, amaro, doloroso, e anche «un elogio alla vita e contro la morte», come osserva Wlodek Goldkorn nella prefazione.

«Non c’è allegria o sollievo nel mio animo, mentre scavo e riordino i miei ricordi di bambina», annota Sandra Bonsanti. E viene in mente Rilke quando nei suoi Quaderni di Malte Laurids Brigge scrive che «non basta avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e attendere, bisogna avere la grande pazienza che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora contano, hanno un peso per il nostro vivere».

I ricordi sono tornati. Il libro è una cronaca famigliare nella Firenze degli anni del fascismo, della Liberazione e del dopo. È un frammento della Storia del tragico Novecento se si riflette ai nomi e alle opere dei protagonisti, Carlo Emilio Gadda e Eugenio Montale, i grandi amici di Alessandro Bonsanti, lo scrittore padre di Sandra, direttore del Gabinetto Vieusseux e di riviste importanti degli anni Trenta-Quaranta, «Solaria» e poi «Letteratura» che fecero conoscere in Italia scrittori come Joyce, Malraux, Kafka, Saroyan, Faulkner e, tra gli italiani, Contini, De Robertis, altri.

Frequentavano casa Bonsanti, tra i tanti, Giacomo Devoto, Arturo Loria, Luigi Dallapiccola oltre a Gadda, il gigante buono, inimmaginabile pensarlo mentre corre sui prati con la bambina Sandra, e le fa anche, lui ingegnere, un compito di aritmetica, bocciato, ahimè, dalla maestra. Alessandro Bonsanti, più giovane di Gadda di 11 anni, ne fu, in verità, un padre: Carlo Emilio esercitava su di lui «un fascino incondizionato», aveva «l’eccezionalità del grande artista».

Fu Bonsanti a scoprire la travolgente bellezza e l’unicità della Cognizione del dolore e a pubblicare sulle sue riviste i «disegni milanesi» dell’Adalgisa , ancora oggi un libro nostro contemporaneo. E poi il Montale fiorentino, vispo e vitalissimo, e le sue vicende di cuore: Irma Brandeis (Clizia), una giovane americana, il grande amore della vita, che dopo la morte del poeta venne a Firenze e donò a Bonsanti, per il Vieusseux, la sua preziosa corrispondenza; e Drusilla Tanzi, la Mosca, la donna che sposò.

Come nei quadri di un’esposizione ci sono nel libro due momenti focali. Il falò che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Bonsanti fece nella caldaia del termosifone: due sacchi di lettere preziose, Contini – lunghe anche sei pagine – Montale, Gadda, altri. Lo scrittore aveva saputo con certezza di una perquisizione imminente della Gestapo – che poi avvenne – per una spiata: fu riferito che la moglie del direttore del Vieusseux era ebrea. Sofferente, angosciato, Bonsanti guardava bruciare quelle carte, importanti per la storia della cultura italiana, e le gettava nel fuoco mentre la bambina Sandra osservava festosa come se quel falò fosse un gran gioco al quale anche lei avrebbe voluto prender parte.

Chi fu la spia? Uno degli intellettuali che frequentavano le «Giubbe Rosse», il caffè ritrovo degli uomini di lettere di allora. Bonsanti seppe chi era dopo la guerra. Sandra lo seppe pochi momenti prima della morte del padre. Tace anche lei. «Un poeta importante», dice soltanto. Fu un falò «per amore» oltre che per difesa legittima, nutrito dall’amarezza di dover ammettere il tradimento. L’altro momento focale cade nell’agosto 1944 quando gli Alleati e i partigiani sono già di là dall’Arno e i tedeschi che hanno distrutto i ponti si difendono con furia rabbiosa.

I Bonsanti, dopo lungo peregrinare, si rifugiano nel Palazzo Strozzi, sede del Vieusseux, dove la bambina Sandra era solita andare a giocare tra le colonne sotto lo sguardo benevolo della portinaia, la signora Bertini. Sembrano scene della Notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, i giorni e le notti dei prigionieri di Palazzo Strozzi. I bambini del tempo di guerra crescono in fretta, adulti anzitempo, non perdono un dettaglio, curiosi, attenti, anche se capiranno dopo quel che sta avvenendo nel mondo in fiamme.

Sandra ha il compito di andare a riempire i fiaschi d’acqua alla fontanella vicino a via Strozzi. Ne è fiera. Tra il frastuono delle bombe, gli spezzoni incendiari che sembrano fulmini. Le esplosioni sono continue, i vetri vanno in frantumi, tutto traballa. Sono in tanti i rifugiati. Decidono di scendere nel sotterraneo su una scaletta di ferro battuto. «È soltanto a un certo punto della notte attraversata dai lampi rossastri che cominciamo a sentire sulla nostra testa il rumore dei loro scarponi chiodati: sinistro, metallico, definitivo. Se lo sentissi oggi lo riconoscerei, senza incertezza. I soldati di Kesselring stavano occupando il cortile».

Qualcuno va su e giù dalla scaletta. Anche Sandra. Finisce in braccio a un soldato tedesco ubriaco. La bambina bionda forse gli suscita qualche ricordo. Va con lei fino in via Tornabuoni, la madre, una donna forte, coraggiosa, segue la bambina. Entrambe senza dir nulla, silenziose. Sandra non piange, guarda la madre da dietro la testa del soldato. Il non reagire è la salvezza.

Dura giorni e giorni l’assedio. I tedeschi se ne vanno tra il 10 e l’11 agosto. Un gran silenzio. Può essere anche un segno di morte. Bonsanti padre sale su per la scaletta. Un cimitero di cadaveri, di stracci, di oggetti abbandonati. È finita. Anche se i prigionieri ormai liberi non sentono suonare la Martinella della torre di Palazzo Vecchio né poco dopo quella del Bargello. Le campane della libertà. «Ogni cor si rallegra», ricomincia la vita interrotta così a lungo. La città è irriconoscibile, ma i fiorentini si ritrovano felici. E smarriti.

La bambina Sandra va a scuola, è la prima volta. Fino a quel giorno aveva sempre studiato in casa con pazienti maestre private. Il Vieusseux riapre. Rispuntano gli amici. Gadda è partito per Roma. Il libro di Sandra Bonsanti non è soltanto l’autobiografia di una bambina che racconta il mondo dei grandi durante una guerra feroce. Nelle sue pagine sono sempre presenti, e discussi, i grandi temi del mondo della cultura. Come comportarsi sotto una dittatura? Soltanto Montale (e pochi altri) non si era iscritto al fascio. Non fu di certo inutile pubblicare, con fatica, riviste come «Solaria» e «Letteratura».

Il Croce fu senatore del Regno fino al ’43: «La Critica» fu un faro per gli antifascisti. Ma diede anche al regime l’alibi della libertà concessa. Alessandro Bonsanti era convinto, e lo predicò, che i libri fossero l’arma per sfidare la dittatura e difese allo spasimo il suo Vieusseux, i libri, appunto, le carte, i documenti, dolente per tutta la vita – nel 1983-84 fu anche sindaco di Firenze – per quel micidiale falò di decenni prima. C’è nel libro, chissà come, una lettera a Bonsanti di Nello Rosselli, lieto dell’invito a scrivere su «Letteratura». (È del 23 febbraio 1937, sarà assassinato dai fascisti, col fratello Carlo, tre mesi dopo, il 9 giugno di quell’anno).

Cosciente delle compromissioni obbligate, Bonsanti inventò per le sue riviste il motto «Navicelle di resistenza culturale», certo che solo la voce della cultura è in grado di vincere i confini della violenza. Il libro è anche un viaggio nell’ebraismo italiano non certo nemico, dal Risorgimento, dell’unità nazionale. (La madre di Sandra ebbe una carta d’identità falsa da Giorgio Bassani, clandestino).

Quel che scrisse Eugenio Montale subito dopo la Liberazione di Firenze sul «Mondo» allora rinato: «La nostra riconoscenza va oggi a uomini come Amendola e Gobetti, Gramsci e Rosselli (per citare solo i nomi di quelli che ci hanno lasciato) scrittori d’azione e non artisti che seppero indicarci con l’opera e con l’esempio la via che deve seguire un italiano universale, cioè un italiano di sempre, nelle vie dell’oscuramento e dell’errore. Il seme del loro apostolato non fu vano…».

Chissà se a Sandra Bonsanti fa ancora paura la parola rastrellamenti? Chissà se la notte sogna ancora quel tempo fosco di bambina? Potrà questo bel libro rasserenare la memoria di un tempo ritrovato?

Corriere della Sera, 26 giugno 2020

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