Atlante di Save the children: in Italia 1,2 milioni di bambini poveri

25 Ottobre 2019

“Ci sono due temi tradizionalmente negletti dalla politica e dai media: il primo è la questione ambientale, ovvero le condizioni di salute della nostra casa comune, il secondo è l’infanzia, ovvero le fondamenta stessa della nostra società“. Inizia così il prologo dell’Atlante dell’infanzia a rischio 2019”, il report che da 10 anni Save the Children pubblica sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.

Mai come in questi ultimi tempi però ad essere i protagonisti sono proprio i giovani. Mobilitazioni di massa, idea di futuro, voglia di cambiare la società in meglio: i ragazzi stanno facendo ciò che la politica sembra non avere intenzione di fare.

L’Atlante mostra “con abbondanza di dati”, come dice Valerio Neri direttore generale di Save the children Italia, i danni provocati in quest’ultimo decennio proprio dall’inerzia della politica, dai mancati investimenti nei servizi per la prima infanzia, nella scuola, nelle politiche sociali, dall’incapacità di varare una norma per riconoscere la cittadinanza ai bambini di seconda generazione.

Il primo, drammatico, dato che balza all’occhio analizzando l’Atlante è il numero di bambini presenti in stato di povertà in Italia. Nel 2008 1 minore su 25, cioè il 3,7% era in povertà assoluta, un decennio dopo si trova in questa condizione ben 1 su 8 (12,5%). Questo significa che nel 2007 i minori in povertà assoluta erano circa mezzo milione, oggi sono 1,2 milioni.

Una povertà che diviene automaticamente povertà alimentare, abitativa ed educativa. Mentre la povertà relativa, cioè quella condizione in cui si ha il minimo necessario per la sopravvivenza ma si è impossibilitati ad usufruire di beni o servizi in rapporto al reddito pro capite medio di un determinato paese è passata, per la fascia d’età tra gli 0 ed i 17 anni, da 1.268.000 bambini e adolescenti nel 2008 ai 2.192.000 del 2018, lo scorso anno sono stati circa 500.000 i bambini e ragazzi sotto il 15 anni (il 6% della popolazione di riferimento) che sono cresciuti in famiglie “dove non si consumano regolarmente pasti proteici” e 280.000 sono costretti ad un’alimentazione povera sia di proteine che di verdure. Nel 2018 inoltre, sono stati 453.000 i bambini di età inferiore ai 15 anni che hanno beneficiato di pacchi alimentari.

La condizione abitativa

Povertà che inevitabilmente si riflette anche sulle condizioni abitative. Secondo una stima dell’Istat, il budget delle famiglie con reddito basso e con figli minori, nel 2007 hanno destinato alla voce “abitazione, utenze e manutenzione” circa il 40% della spesa totale mensile della famiglia. Una percentuale che “colpisce” anche i ceti medi, che spendono circa il 30% del loro budget mensile. Spesa che, com’è facilmente comprensibile, lascia poco spazio ad investimenti per l’istruzione e la cura dei figli.

A questo bisogna aggiungere che il 38,9% delle famiglie con meno risorse vive in affitto, contro il 6,7% delle famiglie più benestanti e che, come riportato nell’Atlante, “da almeno tre decenni l’Italia destina al welfare abitativo una quota irrisoria della spesa sociale (lo 0,1% nel 2016)”. Questo si riassume nel fatto che, in un paese in cui circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 14% dei minori ha patito condizione di grave disagio abitativo. Disagio che, in termini concreti si può vedere anche analizzando come le famiglie con figli a carico in condizione di povertà assoluta riescono a riscaldare il proprio ambiente domestico.

La media europea è del 18,2%, mentre in Italia le famiglie con figli a carico in condizione di povertà assoluta che non riescono a scaldare casa sono il 27,8%.

La natalità in Italia

Come avevamo già avuto modo di analizzare, la questione della natalità è uno dei temi cruciali per capire quale può essere il futuro del nostro paese. Nel 2008, in Italia i minori rappresentavano il 17.1% della popolazione residente, mentre nel 2018 sono ridotti al 16.2%.

Un fenomeno, come si legge nell’Atlante, che si è sviluppato in maniera non uniforme, ma che si è concentrato in particolare nel sud e nelle isole – che hanno perso 1 minore ogni 10 – e che al centro e al nord è stato meno incisivo per la presenza delle famiglie straniere.

Le spese per l’istruzione: tra libri e rischio crolli delle scuole

C’è poi il tema dell’istruzione. Come abbiamo capito, se aumentano le famiglie in stato di povertà è inevitabile che anche la spesa per l’istruzione cali. A questo bisogna aggiungere che, secondo i dati OCSE, l’Italia spende per l’istruzione e l’università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media dei paesi OCSE, pari al 5%, con un trend negativo dal 2008 in poi.

La spesa per l’istruzione è infatti crollata dal 4,6% del PIL del 2009 al 4,1% del 2011 fino al minimo storico del 3,6% del 2016 (ultimo dato OCSE disponibile).

La mancanza di investimenti di questo tipo ha due effetti concreti: il livello di istruzione e la fragilità delle condizioni delle strutture scolastiche. 

Su questo secondo punto l’Atlante di Save the children mette in luce un aspetto di fondamentale importanza. “In un paese in cui oltre 6 milioni di abitanti risiedono in aree ad elevato e medio rischio alluvioni e oltre 1,2 milioni di persone vivono in aree a rischio elevato di frane e dove nel 2017 è stato localizzato un terremoto ogni 12 minuti più di un edificio scolastico su 2 non ha il certificato di agibilità”.

Quasi un minore su 2 non legge un libro oltre a quelli scolastici

C’è infine l’aspetto culturale: quasi un minore su 2 non legge un libro oltre a quelli scolastici durante l’anno. Percentuale che è lievemente aumentata negli ultimi 10 anni, passando dal 44,7% del 2008 al 47,3% del 2018.

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