IL CONTRATTO DI GOVERNO
Nei giorni concitati che hanno portato all’insediamento del Governo Lega e Movimento Cinque Stelle, l’Europa e l’appartenenza dell’Italia all’Unione Economica e Monetaria Europea sono entrati prepotentemente al centro dell’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Durante la campagna elettorale, il dibattito tra le forze politiche su questi temi era stato piuttosto sfumato: in particolare, i punti maggiormente caratterizzanti il programma della Lega erano stati la flat tax e il contrasto all’immigrazione secondo una prospettiva securitaria e di rimpatrio dei c.d. clandestini/irregolari. Elemento qualificante del programma del Movimento 5 Stelle è stato il reddito di cittadinanza. Luigi Di Maio dopo un atteggiamento ondivago, nell’aprile del 2018 aveva dichiarato espressamente che il Movimento si sarebbe collocato saldamente nel quadro dell’Unione Europea, dell’Eurozona oltre che della Nato.
Queste due forze politiche, benché molto diverse fra loro, hanno sottoscritto un “contratto di governo” che, per i profili attinenti alla spesa pubblica e alla riduzione delle entrate (peraltro in virtù di una tassazione regressiva di assai dubbia costituzionalità) nonché per i riferimenti alla necessità di una rinegoziazione dei Trattati Europei, ha determinato tensione e allarme in ambito politico e finanziario.
E’ stato posto l’accento, dinanzi al rischio di disavanzi eccessivi di bilancio e di un aumento del debito pubblico del Paese, già enorme, sul probabile comportamento di sfiducia da parte dei mercati rispetto ai nostri titoli di Stato con inevitabile innalzamento dello spread. Si è assistito invero ad un’impennata del differenziale tra gli interessi pagati dai nostri titoli di stato decennali rispetto ai bund tedeschi, che ha raggiunto il 29 maggio 2018 la soglia di 320 punti base.
Ha preso spazio nel dibattito pubblico la preoccupazione per la possibile presenza nella compagine governativa, in qualità di Ministro del MEF, dell’economista Paolo Savona, personalità di notevole rilievo sia a livello accademico che per i ruoli ricoperti in ambito politico ed economico[1], che non escludeva una fuoriuscita dell’Italia dall’Euro zona attraverso il c.d. piano B [2] .
Durante le trattative per il nuovo governo, Savona è intervenuto con un comunicato, pubblicato sul sito euroscettico ”Scenari economici”[3], in cui riassumeva in pochi punti le sue “memorie consegnate all’Editore il 31 dicembre 2017”, faceva un esplicito riferimento al contratto di governo tra Lega e M5S, concludeva con “voglio un Europa diversa, più forte, ma più equa”. Queste dichiarazioni uetQ non hanno tranquillizzato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha posto il veto sulla sua nomina a Ministro dell’Economia del Governo c.d. gialloverde. Il Capo dello Stato ha motivato il rifiuto affermando che la nomina di Savona avrebbe potuto mettere in allarme gli operatori economici e finanziari (e i risparmiatori italiani e stranieri) in quanto “sostenitore di una linea, più volte manifestata, che avrebbe provocato, probabilmente o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro”. E ciò era stato reso evidente “dall’impennata dello spread e dalle perdite in Borsa che stavano già bruciando risorse e risparmi delle aziende e di coloro che vi avevano investito.” [4]
Non si entrerà qui nel merito delle diverse posizioni, a favore o contro, sull’operato del Capo dello Stato manifestate dal mondo politico e dalla dottrina costituzionalista. Certo è che autorevoli giuristi hanno escluso, con un richiamo all’insegnamento di Costantino Mortati, un potere di veto del Presidente della Repubblica rispetto ad un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato, il prof. Giuseppe Conte, sulla base di motivazioni legate non ad una eventuale inidoneità giuridica a vario titolo ma connesse all’indirizzo politico della maggioranza parlamentare uscita dalle urne il 4 marzo e di cui il Presidente incaricato era espressione. La questione è ormai superata e potrà essere oggetto al più di dibattiti tra costituzionalisti.
Il governo Lega-M5S si è insediato, dopo la breve parentesi della rinuncia all’incarico di Conte di fronte al veto presidenziale e al successivo incarico a Carlo Cottarelli, sfumato in un batter di ciglia, con Savona al Ministero degli affari comunitari e l’economista Giovanni Tria al Ministero dell’Economia.
LE COPERTURE FINANZIARIE
Tuttavia, sul programma esposto dal Presidente del Consiglio alle Camere per ottenerne la fiducia, diversi commentatori ed esponenti di forze politiche di opposizione hanno espresso aspre critiche per la sua genericità e forti dubbi sulla sua concreta attuabilità[5], definendolo una sorta di libro dei sogni o dei desideri o peggio ancora una mera propaganda, inevitabilmente destinato a scontrarsi con la realtà data la mancanza di coperture finanziarie rispetto alle ipotesi di spesa.
L’Osservatorio sui conti pubblici italiani, diretto da Carlo Cottarelli, ha effettuato una analisi quantitativa delle misure espansive e delle coperture calcolando per le prime una forbice tra un minimo di 108,7 ed un massimo di 125,7 miliardi e per le seconde in 0,5 miliardi.[6] In particolare, la stima, in miliardi di euro, è stata la seguente per le misure espansive:
flat tax irpef 50,00; sterilizzazione delle clausole di salvaguardia 12,5; eliminazione delle accise sulla benzina 6,0; reddito e pensioni di cittadinanza 17,0; rafforzamento dei centri per l’impiego 2,0; uscita dal mercato del lavoro di categorie escluse 5,0; riforma delle pensioni 8,1; politiche per le famiglie 0-17; investimenti 6,0; assunzioni straordinaria di polizia penitenziaria 0,2; assunzione di 10.000 unità nelle Forze dell’Ordine 0,2; innalzamento della indennità civile 1,8.
Per le coperture: riduzione dei parlamentari 0,1; riduzioni delle pensioni d’oro 0,1; eliminazione dei vitalizi 0,1; riduzione delle missioni internazionali 0.2.
Sì è messa in evidenza, da altri,[7] l’incompatibilità tra la riduzione delle imposte da una parte e l’aumento della spesa sanitaria, sociale, pensionistica e per la sicurezza dall’altra. Si è posto l’accento sul fatto che quand’anche in una prima fase di attuazione del programma si rinviasse il reddito di cittadinanza e si limitasse la flat tax al 20% alle sole imprese, per disinnescare l’aumento dell’Iva e delle accise, per concretizzare la riforma dei Centri per l’impiego, per introdurre la c.d. quota 100 per andare in pensione modificando la legge Fornero, per gli investimenti indicati ed altri interventi occorrerebbero risorse, non individuatein modo realistico, stimate in almeno 50 miliardi.
Si è sottolineato che qualora si volesse procedere comunque su questa strada si andrebbe ad una notevole lievitazione del deficit e tale decisione politica porrebbe il Governo in rotta di collisione con le istituzioni comunitarie rispetto ai vincoli di bilancio europei, oltre ad essere in contrasto con il vincolo dell’equilibrio di bilancio introdotto in Costituzione con la revisione dell’art. 81 dalla legge costituzionale n. 1/2012. Si precisa anche che la disciplina di bilancio dell’Unione Europea è ritenuta dalla dottrina prevalente operativa nel diritto interno oltre che indirettamente costituzionalizzata in virtù del primato del diritto dell’Unione ai sensi degli articoli 11 e 117 della Costituzione. Inoltre le previsioni del novellato articolo 81 in tema di equilibrio di bilancio con il rimando della legge attuativa n. 243/2012 al diritto della UE sono coincidenti con le norme prescritte da quest’ultimo.[8]
INDEBITAMENTO E DEBITO PUBBLICO – I DATI DEL MEF
Poiché il tema dell’indebitamento e del debito pubblico riveste un ruolo centrale in questo scritto, si ritiene opportuno riportare alcuni dati ufficiali del MEF per fornire un quadro dei maggiori aggregati di finanza pubblica, in particolare dell’indebitamento sia netto che strutturale e del debito. L’indebitamento netto misura la differenza tra le entrate e le uscite complessive del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ed è un parametro che rileva ai fini della “procedura europea per deficit eccessivo” nel caso di superamento della soglia del 3% in rapporto al PIL. L’indebitamento netto strutturale è quello corretto per gli effetti del ciclo economico sulle componenti di bilancio e per gli effetti delle misure una tantum, che influiscono solo temporaneamente sull’andamento del disavanzo.
In base alla tavola I.2 [9] del Documento di Economia e Finanza 2018, Sezione 1 – Programma di Stabilità, deliberato dal Governo Gentiloni il 26 aprile 2018, si evidenziano i seguenti indicatori del quadro tendenziale di finanza pubblica in percentuale del PIL:
Indebitamento netto: -2,5 ( 2016); -2,3 (2017); -1,6 (2018); -0,8 (2019); 0,0 (2020); 0,2 (2021)
Indebitamento netto strutturale: -0,9 ( 2016); -1,1 (2017); -1,0 (2018); -0,4 (2019); 0,1 (2020); 0,1(2021)
Variazione saldo strutturale: -0,8 ( 2016); -0,2 (2017); 0,1 (2018); 0,6 (2019); 0,5 (2020); 0,0 (2021)
Debito pubblico: 132,0( 2016); 131,8 (2017); 130,8 (2018); 128,0 (2019); 124,7 (2020); 122,0 (2021)
Si precisa che nella tavola mancano i dati relativi al quadro programmatico relativo agli obiettivi di politica economica di competenza del nuovo governo.
In base alla Tavola R.1[10] di pag. 50 del DEF 2018 relativa alla flessibilità accordata dall’UE del Patto di Stabilità risultano i seguenti dati:
– output gap[11] DEF 2018 (% del PIL potenziale): -4,3 (2015); -3,3 ( 2016); -2,2 (2017);
-1,3 (2018);
– condizioni cicliche: eccezionalmente negative( 2015); molto negative ( 2016); negative ( 2017); normali ( 2018);
– aggiustamento richiesto sulle base delle condizioni cicliche e del livello del debito (p.p.di PIL): 0,25 (2015); 0,25 ( 2016); 0,50 (2017); 0,60 (2018);
– flessibilità accordata (p.p.di PIL): 0,03 ( per rifugiati, anno 2015); 0,83 ( anno 2016, per riforme, investimenti, rifugiati, sicurezza); 0,35 (anno 2017, per rifugiati e terremoto).
Si è già riferito in merito allo scetticismo circa la possibilità dell’attuale Governo gialloverde di trovare le adeguate coperture per far fronte alle numerose promesse effettuate in campagna elettorale, alcune, come la flat tax e il reddito di cittadinanza, molto impegnative dal punto di vista finanziario. A tale proposito si evidenzia che in previsione della Nota di aggiornamento del DEF 2018 di fine settembre diversi esponenti della maggioranza di governo hanno avanzato seri dubbi, seppure a fasi alterne, sulla possibilità di rispettare le regole europee di bilancio chiedendo alla UE non solo una significativa flessibilità ma arrivando anche a prospettare uno sforamento del deficit del 3%.
Al riguardo Moscovici, Commissario europeo per gli affari economici e monetari, in occasione di un’intervista rilasciata a fine agosto[12], pur con toni garbati e concilianti, ha dichiarato ingiustificate le critiche alla Commissione poiché l’Italia era il paese “che più aveva beneficiato di flessibilità di bilancio” (30 miliardi di euro dal 2015 al 2018) in quanto si era per anni “tenuto conto di circostanze eccezionali: la sicurezza, i terribili terremoti, l’emergenza migratoria.”
Ha poi aggiunto che all’Italia nel 2018 era stata richiesta, a causa della fragilità della ripresa, una riduzione dell’indebitamento netto strutturale dello 0,3% rispetto allo 0,6% previsto dalle regole (come evidenziato dai dati riportati sopra sulla flessibilità accordata dall’UE e dall’aggiustamento del disavanzo richiesto sulla base del ciclo e del livello del debito per il 2018). Inoltre, essendo interesse del Paese controllare il debito pubblico, al 132% del PIL, “lo sforzo richiesto per il 2019 sarebbe stato dello 0,6% del PIL”, di fatto un ritorno alla normalità dopo la riduzione accordata per il 2018.
Circa le esternazioni su un’ipotesi di bilancio che portasse il deficit (indebitamento netto nominale) oltre il 3% del PIL, Moscovici ha ribadito che “il 3% non era un target, ma un tetto”. Ha concluso l’intervista dichiarando che non avrebbe risparmiato “sforzi per definire un percorso di bilancio che fosse europeo e di beneficio all’Italia”. Dopo aver espresso parole di apprezzamento per il Ministro Tria, definito un “interlocutore serio e ragionevole”, Moscovici ha tuttavia aggiunto che “l’euro prevedeva il rispetto di regole. Non rispettarle significava voler uscire dall’Unione monetaria”.
Invero, il Ministro Tria più volte è intervenuto con dichiarazioni pacate e misurate finalizzate a rassicurare le istituzioni europee e i mercati. In una intervista rilasciata ad un quotidiano all’inizio di settembre,[13] rispetto alla domanda concernente l’effettiva volontà del M5S o della Lega di portare il deficit al 2,9% del PIL o di arrivare a “sfondare” persino il tetto del 3%, il Ministro ha chiarito che vi era stata una riunione con il premier Conte e i vice premier Salvini e Di Maio in cui era stata trovata un’intesa sui confini di bilancio, intesa che sarebbe diventata un concreto impegno entro la fine di settembre. Ha concluso affermando che “il nostro non era per nulla il Paese della finanza allegra, aveva contribuito ai programmi di sostegno a Grecia, Spagna, Irlanda, senza mai aver richiesto a sua volta alcun tipo di sostegno”.
LA PREOCCUPAZIONE PER L’ITALEXIT
Va segnalato che se da un lato, rispetto ad un’eventuale Italexit, vi è chi ha delineato scenari drammatici sotto il profili del tessuto sociale e della tenuta democratica del paese, come conseguenza dell’inevitabile default, della fuga di capitali, dell’isolamento dell’Italia dai mercati finanziari internazionali, della drastica riduzione del sistema del welfare, della probabile svalutazione della nuova lira rispetto all’euro di almeno il 40%, con grave impoverimento di lavoratori dipendenti e pensionati[14], dall’altro vi è stato chi, in nome del rispetto della volontà popolare, ha invitato a non demonizzare le posizioni del governo di critica ai vincoli europei e la conseguente volontà di una rinegoziazione dei Trattati comunitari. Vi sono infatti intellettuali che hanno stigmatizzato il coro mediatico ed informativo che, sulla base di una presupposta neutralità, in relazione ad un possibile governo gialloverde, ha parlato dell’arrivo di “nuovi barbari”, e dell’euro, della finanza, dei mercati, come se fossero mostri sacri intoccabili, innominabili, pena lo scatenamento delle vestali del tempio sacro che li custodisce. Si afferma, al contrario, che di euro, di finanza, di pareggio di bilancio, del rapporto tra economia e politica, in un sistema democratico, si può parlare, così come di sovranità senza essere tacciati di sovranismo. [15]
Di fronte alla crescita della disoccupazione, delle povertà, delle disuguaglianze dell’ultimo decennio, il voto popolare ha premiato le forze politiche che hanno individuato la causa della sofferenza sociale nei vincoli europei ed indicato il rimedio nel recupero della libertà da quei vincoli e nella riconquista della sovranità. Dinanzi a questo fenomeno vi è chi invita la sinistra che non c’è, che è tutta da ricostruire, a non limitarsi a demonizzare i populismi e sovranismi oggi al potere. Se vuole vincere alle prossime elezioni, la sinistra “dovrebbe riconoscere la gravità della situazione”, analizzare le cause del loro successo, “non lasciare alle destre e ai populismi la protesta contro condizioni di vita che la maggioranza degli Italiani giudica inaccettabili”. Deve saper criticare, con strumenti e valori diversi, l’Europa a trazione tedesca con il suo modello ordoliberista[16] che considera il lavoro, il diritto al lavoro, subalterni alla stabilità dei prezzi, togliendo terreno all’idea che i Trattati europei e l’euro possono essere sottratti alla politica democratica.[17]
IL CRESCENTE EUROSCETTICISMO
In questi ultimi anni in Italia e in Europa si è assistito alla nascita e all’ ascesa di partiti e movimenti populisti ed euroscettici che si caratterizzano per politiche nazionaliste e sovraniste con chiara matrice di destra, xenofoba e razzista, quando non apertamente neofascista.
Il 1° maggio di quest’anno, Marine Le Pen ha dato avvio di fatto alla campagna elettorale per le Elezioni europee del maggio 2019 invitando a Nizza le forze politiche che si riconoscono nel Movimento per un’Europa delle Nazioni e delle Libertà, costituitosi nel 2014. Questo incontro definito “ Prima Festa delle Nazioni”, può leggersi come la volontà e la determinazione del Front National, persa la partita per l’Eliseo, di porre fine all’Unione Europea e di restituire il potere ai singoli Stati attraverso una battaglia politica transnazionale dei partiti della destra nazionalista, identitaria e sovranista nelle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.
Al tradizionale raduno annuale della Lega a Pontida, il vice premier Salvini ha proposto di dar vita ad una “Lega delle Leghe”, così esprimendosi a proposito delle Elezioni europee del 2019 : “Le Europee dell’anno prossimo saranno un referendum fra l’Europa delle élites, delle banche, della finanza, dell’immigrazione e del precariato, e l’Europa dei popoli e del lavoro. Il progetto consiste nel fare una alleanza internazionale dei populisti, che per me è un complimento. Penso che saremo maggioranza”.[18]
Degno di attenzione in questo contesto il progetto DiEM25 ( Democracy in Europe Movement 2025), movimento politico il cui Manifesto ha come titolo “L’Europa sarà democratizzata. O si disintegrerà”. DiEM25 si è fatto promotore di una lista transnazionale per le elezioni europee del 2019 (Primavera Europea) come sforzo di unione tra le forze progressiste europee per contrastare il fronte delle destre sovraniste. Il programma politico “un New Deal per l’Europa” presenta una serie di proposte concrete che mirano a cambiare il volto dell’Unione Europea. Tra queste, quelle sulla povertà, sullo sviluppo degli investimenti, sulla riduzione del debito pubblico e sulla gestione di quello privato. Si propone di destinare i profitti della BCE (decine di miliardi di euro all’anno) al finanziamento di un fondo UE contro la povertà; di destinare 500 miliardi di euro agli investimenti in tecnologie green; di reperire questi 500 miliardi attraverso bond emessi dalla European Investment Bank con l’impegno della BCE di acquistarli nel mercato secondario qualora i tassi dovessero salire; di far rimanere in capo ai singoli Paesi il debito eccedente il 60% del PIL e di cartolarizzare mediante bond emessi dalla BCE la parte “legale” (quella fino al 60%) dei debiti di paesi come la Grecia e l’Italia ( che dovranno comunque onorare il debito con la BCE ma con 0% di tasso di interesse).[19]
Anche nella sinistra più radicale e nel sindacalismo di base si sono affermate in questi ultimi anni posizioni sovraniste ed euroscettiche che mirano ad un recupero della sovranità monetaria e alla conseguente autonomia delle politiche di bilancio anche in deficit spending per favorire il rilancio della domanda aggregata, con la ripresa degli investimenti pubblici e privati e dell’occupazione.
Sono posizioni che muovono da una critica severa alle politiche neoliberiste di austerity poste in essere, con l’assenso di larga parte dei Governi degli Stati membri, dalle istituzioni dell’Unione Europea che presentano un carattere sostanzialmente tecnocratico e oligarchico, fatta eccezione per il Parlamento Europeo che è l’unico organo che gode di una legittimazione diretta da parte dei cittadini dell’’Unione.
NELLA MORSA DELL’AUSTERITÀ
Il rafforzamento delle politiche di austerity è stato il risultato della riforma della governance economica nella UE, in particolare tra il 2011 e 2013, in seguito alla grande crisi economica e finanziaria, iniziata nel 2008 negli USA con la grave crisi bancaria dovuta all’insolvibilità dei mutui subprime, poi estesasi a livello globale. In quella temperie economica diversi Stati membri della UE hanno attuato il salvataggio delle loro banche, per evitarne il fallimento, con aggravamento dello squilibrio dei conti pubblici soprattutto in quegli Stati che già si caratterizzavano per ingenti debiti sovrani.
Come è noto, a partire dal 2009, in Grecia, in Irlanda, in Portogallo e Spagna e in Italia si sono verificate crisi dei debiti sovrani.
Di fronte all’eventualità di default di uno o più Stati la cui moneta comune era l’euro e al rischio che la speculazione dei mercati potesse mettere in pericolo tutta la zona euro, creando incertezze sulle prospettive della stessa moneta unica, le istituzioni europee hanno approntato una serie di misure:
- il Patto Euro Plus
- il c.d Six Pack
- la riforma dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti TFUE)[20] finalizzata alla istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
- il Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione Economica e Monetaria, noto come Fiscal Compact
- il c.d. Two Pack[21]
Nel pacchetto complessivo di provvedimenti, alcuni come il Six Pack sono stati adottati nell’ambito del diritto dell’Unione, altri, come il MES e il Fiscal Compact sono accordi intergovernativi tra Stati membri, cioè trattati internazionali che si collocano formalmente al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione. [22] La riforma della governance economica si è mossa lungo due direzioni.
Sul primo versante è stato istituito un Fondo salva stati, creato attraverso il Trattato istitutivo del MES, firmato nel febbraio 2012 da parte dei soli Stati membri dell’euro zona. Il MES rappresenta la versione perfezionata di più fondi di natura temporanea che si sono susseguiti nel tempo, costituiti successivamente ai primi prestiti concessi alla Grecia[23] con accordi bilaterali tra quest’ultima e alcuni Stati membri. il MES è invece un meccanismo permanente di gestione delle crisi ed è un vero e proprio ente finanziario di diritto internazionale. Benché sia dotato di organi autonomi, al suo funzionamento partecipano la Commissione europea e la BCE. Una volta decisa l’assistenza ad uno Stato in difficoltà, la Commissione, in collegamento con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, la c.d. Troika, negozia le condizioni di politica economica di austerity cui lo Stato deve attenersi rigorosamente sotto il controllo di quest’ultima.
Sul secondo fronte, la riforma della governance ha previsto il rafforzamento sia del coordinamento delle politiche economiche nazionali che della sorveglianza sulle stesse, per evitare il ripetersi di situazioni analoghe a quelle che avevano avuto luogo a partire dal 2009.
IL PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA
L’obiettivo di stabilizzare l’area euro è stato perseguito rafforzando il Patto di Stabilità e Crescita (d’ora in avanti PSC) del 1997, che era stato rivisto una prima volta nel 2005 con diversa finalità. Il PSC, costituito da due regolamenti, aveva completato la definizione delle regole di bilancio del Trattato di Maastricht del 1992 che aveva stabilito i requisiti richiesti agli Stati per l’adozione della moneta unica: un rapporto tra disavanzo pubblico annuale e PIL non superiore al 3%, soglia cui si è più volte fatto menzione, e un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.[24]
Il PSC, che mirava ad una applicazione rigorosa del Trattato, nella prima parte, il c.d. braccio preventivo, stabiliva le regole finalizzate a prevenire gli squilibri di bilancio eccessivi, nella seconda, il c.d. braccio correttivo, prevedeva le procedure e le sanzioni volte alla correzione di tali squilibri. In particolare, il Regolamento n.1466/97 [25] prescriveva l’obbligo per gli Stati dell’euro zona di presentare al Consiglio i programmi di stabilità finalizzati al pareggio di bilancio nell’ambito dei poteri di sorveglianza e di coordinamento esercitato da quest’ultimo. Gli Stati dovevano infatti fornire informazioni rispetto al loro “obiettivo a medio termine” (OMT) di un saldo prossimo al pareggio o in attivo e sul percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto del rapporto debito pubblico/PIL su base annua e per i tre anni successivi.
Il Regolamento n.1467/97[26] era invece finalizzato ad accelerare e chiarire le modalità di attuazione della procedura per disavanzi eccessivi da attivarsi in caso di sforamento del tetto del 3% del deficit. Infatti, mentre l’art. 104 C del Trattato di Maastricht si limitava a prevedere in termini generici la possibilità di superare il valore di riferimento in via “eccezionale e temporanea” e qualora “il rapporto resti vicino” a tale parametro, il Regolamento 1467/97, al fine di circoscrivere tale possibilità, specifica i casi in cui il superamento può considerarsi “eccezionale e temporaneo”. L’art. 2 lo limita a due ipotesi ossia se esso è stato determinato: a) “da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato ed abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della Pubblica Amministrazione”; b) da “una grave recessione economica pari ad almeno il 2% del PIL”.
PSC – UNA DISCIPLINA DIFFICILE DA RISPETTARE
Il Patto di Stabilità e Crescita del 1997 costituiva una disciplina di bilancio molto rigorosa che non è stata rispettata da più Stati membri. In particolare, da parte di Italia e Francia vi sono stati, tra il 2001 e il 2006, plurimi sforamenti della soglia del 3% rispetto al PIL, ma anche da parte della Germania (3,7% nel 2002, 4% nel 2003, 3,8% nel 2004, 3,3% nel 2005).[27]
Può essere interessante osservare che nel novembre 2002 e nell’aprile del 2003 furono avviate procedure per disavanzo eccessivo nei confronti rispettivamente di Germania e Francia. Poiché le misure adottate non vennero ritenute sufficienti, la Commissione propose al Consiglio (organo composto dai rappresentanti diretti degli Stati membri) di intimare ai due Stati di porre fine alla situazione di disavanzo eccessivo entro il 2005. Il Consiglio, nella seduta del 25 novembre 2003, non adottò alcuna decisione poiché non era stata raggiunta la maggioranza necessaria. Si limitò a prendere atto degli impegni unilateralmente assunti dai due Stati interessati ma sospese la procedura per disavanzo eccessivo. La sospensione fu annullata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea che accolse il ricorso della Commissione che riteneva tale atto ingiustificato. La Corte ha affermato che le procedure per disavanzo eccessivo potevano essere sospese solo qualora lo Stato membro interessato avesse ottemperato ad una raccomandazione o intimazione, ottemperanza nel caso in esame ovviamente insussistente dato che dal Consiglio non erano stati adottati i suddetti provvedimenti.[28]
VERSO LA FLESSIBILITÀ: SALDO STRUTTURALE E OMT DIFFERENZIATI
Proprio questa rigidità del PSC aveva portato alla sua riforma nel 2005, spostando il “pendolo” dal rigore verso elementi di flessibilità.[29] In primo luogo si introduce il saldo strutturale che si affianca al target di pareggio di bilancio in termini nominali. Si tratta di un obiettivo di saldo di bilancio depurato dagli effetti del ciclo economico, dalle misure temporanee e da quelle una tantum. Di fronte all’eterogeneità della situazione economica e finanziaria dell’Unione, al fine di tenere conto della diversità delle posizioni e degli sviluppi sul piano economico e di bilancio nonché del rischio finanziario legato alla sostenibilità delle finanze pubbliche, si stabilisce che l’obiettivo di medio termine nei singoli Stati membri può divergere dal saldo prossimo al pareggio o in attivo. L’OMT diventa quindi differenziato per ogni singolo Stato. Per i Paesi dell’area euro deve essere specificato in un intervallo tra il – 1% del PIL e il pareggio o l’attivo.
Per quanto riguarda la valutazione e la decisione sull’esistenza di un disavanzo eccessivo si abbandonano i parametri numerici fissi e per la Commissione e il Consiglio possono considerarsi eccezionali uno sforamento del valore del 3% dovuto a grave recessione economica in qualunque ipotesi di un tasso di crescita negativo del PIL o di una diminuzione prolungata della produzione rispetto alla crescita potenziale.
E’ previsto comunque un saldo di bilancio strutturale corrispondente all’OMT o in rapida convergenza con esso con una correzione annuale pari almeno allo 0,5% del PIL.[30]
Nonostante la riforma del PSC del 2005, in relazione alla grave crisi finanziaria, la soglia del deficit individuata nel 3% del PIL è stata ugualmente disattesa da più Stati e per più anni. Da uno studio effettuato dalla Confederazione Generale Artigianato risulta che nel periodo 2008-2017 la soglia del 3% è stata superata da Spagna e Francia 10 volte, Grecia 9 volte, Portogallo 8 volte. L’Italia in tre anni e la Germania in due.[31]
IL RITORNO AL RIGORE: SIX PACK E IL BRACCIO PREVENTIVO
Pochi anni dopo la riforma del PSC del 2005, in seguito alla crisi economica e finanziaria, come si è già accennato, le istituzioni europee hanno rivisto la governance con un ritorno al rigore sul presupposto che i paesi con finanze pubbliche allegre hanno rischiato di estendere il contagio agli Stati con i conti pubblici in ordine. Approntando le nuove misure già elencate, hanno mirato al rafforzamento delle procedure di sorveglianza e di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nazionali. I provvedimenti del Six Pack del 2011 (cinque regolamenti e una direttiva) hanno infatti lo scopo di rafforzare il PSC sia sotto il profilo del braccio preventivo che di quello correttivo.
Per quanto riguarda il braccio preventivo, con il Regolamento n. 1175 del 2011, sulla base della considerazione che il saldo strutturale si era dimostrato un indicatore insufficiente rispetto alle posizioni di bilancio degli Stati, viene introdotta una regola sulla spesa pubblica, di cui si stabilisce un limite massimo di incremento allo scopo di rafforzare e facilitare il raggiungimento dell’obiettivo a medio termine. Ciò proprio perché durante il periodo di crescita, anteriore alla crisi del 2008, alcuni Stati avevano aumentato la spesa pubblica, anziché controllarla per avere margini nelle fasi avverse del ciclo. Il limite all’aumento della spesa pubblica è stabilito per i singoli paesi in rapporto al tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale e si differenzia in base alla loro posizione rispetto all’OMT. In particolare, per gli Stati che non hanno raggiunto ancora il proprio OMT, poiché il saldo strutturale deve migliorare comunque dello 0,5% del PIL annuale, il tasso di crescita della spesa pubblica deve essere inferiore al tasso di crescita del PIL potenziale, valutato sulla base di proiezioni su un arco temporale di dieci anni.[32]
Si definiscono inoltre in modo puntuale le procedure e la tempistica dell’azione di sorveglianza ex ante sul bilancio e sulle politiche economiche nazionali attraverso l’introduzione del “semestre europeo” finalizzato al coordinamento delle politiche economiche. Il semestre europeo era stato istituito nel settembre del 2010 da una delibera dell’Ecofin ma è stato formalizzato dal Regolamento n. 1175 del 2011. Esso ha lo scopo di assicurare il rispetto dei limiti del 3% di deficit e del 60% del debito rispetto al PIL. Più dettagliatamente, il semestre europeo detta le scadenze per la presentazione dei Programmi di Stabilità (PdS) e dei programmi di riforma dei singoli Stati (PNR) per consentire alla Commissione e al Consiglio di valutare la corrispondenza delle politiche di bilancio con gli obiettivi di medio termine e il rispetto della regola sulla spesa. Il giudizio di conformità si basa sulle priorità definite dalla Commissione nel mese di novembre nell’Analisi annuale della crescita e sugli orientamenti della UE per le politiche nazionali definiti dal Consiglio Europeo (nel mese di marzo).
Entrambi i documenti devono essere presentati dagli Stati entro il 30 aprile di ogni anno alla Commissione che elabora raccomandazioni approvate nel mese di giugno dal Consiglio Europeo. Le procedure del braccio preventivo sono finalizzate al raggiungimento dell’ OMT. La Commissione valuta ex ante per l’anno corrente e per gli anni successivi ed ex post per l’anno precedente. Qualora si verifichi una “deviazione significativa” dall’OMT e cioè un allontanamento dal saldo strutturale di almeno lo 0,5% del PIL in un anno o almeno dello 0,25% del PIL in media per due anni consecutivi, [33] agli Stati della zona Euro può essere imposto l’obbligo di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2% del PIL, che sarà restituito solo dopo l’accertamento da parte del Consiglio del risanamento della situazione di bilancio. E’ quindi prevista una procedura sanzionatoria anche nella parte preventiva in assenza di uno sforamento della soglia del deficit del 3% del saldo nominale.
La riforma del 2011 introduce anche il principio del voto a maggioranza inversaper molte delle deliberazioni relative alle sanzioni. Con questo meccanismo, le proposte di decisione della Commissione al Consiglio si intendono approvate a meno che il Consiglio decida di respingerle con le maggioranze necessarie. Si tratta di un sostanziale rafforzamento del potere in materia di bilancio della Commissione, organo tecnico privo di una diretta legittimazione democratica, che tende a “valorizzare la rigidità delle regole” riducendo “ a complesse formule numeriche nozioni per loro natura flessibili ( ad esempio gli effetti del ciclo economico, gli incrementi della spesa pubblica)”[34]
SIX PACK E IL BRACCIO CORRETTIVO
Per quanto riguarda il braccio correttivo, viene introdotta la regola della riduzione del debito, ossia della parte eccedente il 60% del PIL ad un ritmo medio di un ventesimo l’anno come parametro di riferimento. Dal Trattato di Maastricht del 1992 fino al Six Pack del 2011, l’articolo 104 del TCE, poi 126 del TFUE, si limitava a richiedere genericamente, ai fini della conformità della disciplina di bilancio, una riduzione del debito “in misura sufficiente” e un avvicinamento “al valore di riferimento con ritmo adeguato”. Con il Regolamento n. 1177 del 2011 si stabilisce invece che ai fini dell’attuazione di una procedura per disavanzo eccessivo, anche nel caso del rapporto debito/PIL, è necessario “un termine di riferimento numerico” per valutare se la riduzione è sufficiente e il ritmo adeguato.
Con il Six Pack si stabilisce la misura della riduzione del debito nel medio termine, come già era avvenuto per l’indebitamento con la riforma del PSC del 2005, in cui si era fissata la percentuale di riduzione annuale dello 0,5% nel medio termine di tre anni. Si prevede inoltre, come poco sopra anticipato, l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo anche per violazione della regola del debito. Va tuttavia precisato che, come per il deficit, l’avvio della procedura non è automatico e si tiene conto anche dell’andamento del ciclo al fine di consentire una minore riduzione del debito.
Circa l’aspetto sanzionatorio, in caso di apertura di una procedura per disavanzo eccessivo per aver superato la soglia del 3%, le disposizioni del braccio correttivo prevedono la costituzione per lo Stato di un deposito infruttifero pari allo 0,2% del PIL, convertibile in ammenda in caso di mancata correzione del disavanzo. Può essere anche comminata la sospensione di finanziamenti relativi ai fondi di coesione europei.
Con due nuovi Regolamenti, n. 1176/2011 e n. 1174/2011, il Six Pack introduce anche una normativa finalizzata ad individuare gli squilibri macroeconomici nei vari Stati membri. Sulla base del legame tra finanze pubbliche e stato dell’economia nel suo complesso, evidenziatosi nella crisi finanziaria del 2008, la riforma della governance rivolge una maggiore attenzione alla sorveglianza macroeconomica, con un meccanismo basato anch’esso sull’azione preventiva e correttiva.
iene introdotta la “procedura di squilibrio macroeconomico”, in cui il ruolo centrale è sempre attribuito alla Commissione Europea, che presenta una relazione annuale (Alert Mechanism Report ) sulla base di una serie di indicatori di squilibrio, differenziati tra Paesi dell’euro zona e non, con corrispettive soglie di allerta e, successivamente, una lista di Stati a rischio di squilibrio. Questi ultimi sono sottoposti ad un esame più approfondito che potrebbe culminare nell’apertura di una procedura per squilibrio eccessivo che ricade nel braccio correttivo e che si applica solo ai Paesi dell’eurozona. In base a tale procedura può essere comminata una sanzione sotto forma di una multa dello 0,1% del PIL in relazione alla sottoposizione di piani correttivi inadeguati oppure, in caso di mancata attuazione dell’azione correttiva, la costituzione di un deposito fruttifero che può arrivare allo 0,1% del PIL, convertibile in ammenda.
IL FISCAL COMPACT
Non ci si è soffermati sul Patto Euro Plus, firmato da 23 Stati a margine del Consiglio Europeo del 24 – 25 marzo 2011, poiché da esso non derivano impegni vincolanti sul piano giuridico in ordine alle regole di bilancio.[35]
Come già sopra evidenziato, il Fiscal Compact è un accordo intergovernativo, sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 Stati membri, che formalmente si colloca al di fuori del diritto dell’Unione Europea per l’opposizione del Regno Unito e della Repubblica Ceca che lo ha tuttavia adottato nel 2014. Il Fiscal Compact, all’art.16, stabilisce che entro 5 anni dall’entrata in vigore (avvenuta nel gennaio 2013 ), devono adottarsi le misure necessarie per incorporare il contenuto del Trattato nell’ordinamento giuridico della UE. L’Italia ha ratificato il Trattato con legge n.114 del 23 luglio del 2012 a larghissima maggioranza.
Il Fiscal Compact conferma in larga parte le regole del Six Pack in materia di bilancio, rendendo più stringenti alcuni obblighi già presenti nel diritto della UE. In particolare, esso ribadisce la regola del pareggio di bilancio, da intendersi sempre come saldo strutturale corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum e temporanee e della sostenibilità del debito. Prevede tuttavia che tale regola sia recepita negli ordinamenti nazionali attraverso una normativa vincolante e permanente, preferibilmente di natura costituzionale.
La regola della posizione di bilancio si ritiene rispettata se il saldo strutturale annuo della P.A. è pari all’OMT specifico per il paese, come definito nel PSC rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del PIL. Rispetto al novellato PSC del 2011 è quindi consentito programmare un disavanzo strutturale massimo non più del -1% ma dello 0,5% del PIL.
Gli Stati possono deviare temporaneamente dal rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento ad esso solo in circostanze eccezionali, ossia nel caso di eventi inconsueti non soggetti al controllo dello Stato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione. Nelle circostanze eccezionali rientrano anche i periodi di grave recessione economica ma la deviazione temporanea consentita non deve compromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine.
Si conferma, come già nel Six Pack, l’obbligo per ogni Stato membro di ridurre di un ventesimo la parte di debito eccedente il 60% nel rapporto debito/PIL.
In caso di “deviazione significativa” dall’OMT, in una prospettiva di maggior rigore, si prevede anche l’obbligo di costituire un meccanismo automatico finalizzato ad attuare in tempi definiti le necessarie misure correttive.
Si stabilisce anche l’obbligo di costituire organi indipendenti con il compito di controllare il rispetto delle regole del Trattato.
Il Fiscal Compact prevede all’art. 7 che gli Stati dell’euro zona si impegnano a sostenere le proposte o le raccomandazioni della Commissione nel caso in cui, nel quadro di una procedura per disavanzi eccessivi, uno Stato membro abbia violato il criterio del deficit, a meno che vi sia l’opposizione a maggioranza qualificata degli altri Stati. Si evidenzia che tale disposizione implica un vincolo di natura politica e non risulta quindi giuridicamente cogente.
In base all’art. 8 del Trattato, qualora la Commissione nella sua relazione sui singoli Stati membri concluda per il mancato rispetto delle norme di cui al patto di bilancio (art. 3 comma 2), la Corte di giustizia europea può essere adita da uno o più Stati membri. Questi ultimi possono adirla anche sulla base di proprie valutazioni, indipendentemente dalla relazione della Commissione. La Corte di giustizia può, nell’ipotesi di una mancata ottemperanza ad una sua sentenza, imporre il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità che può arrivare allo 0,1% del PIL da versare al fondo MES.
L’INCORPORAZIONE DEL FISCAL COMPACT NELL’ORDINAMENTO DELLA UE
Va sottolineato che il Fiscal Compact, ratificato nel 2012 e in vigore dal gennaio 2013, nell’ambito delle fonti sulla disciplina di bilancio riveste un ruolo meno incisivo di quanto sia diffusamente ritenuto o sostenuto dai media o da parte delle forze politiche e sindacali critiche della normativa europea di bilancio. Il Trattato rende, come si è evidenziato, certamente più rigida la disciplina della UE, integrandola con alcune disposizioni più restrittive ma si colloca in una posizione giuridica subordinata rispetto ai Trattati e al diritto derivato dell’Unione Europea [36].
Circa il dibattito, peraltro episodico, sulla incorporazione del Fiscal Compact nell’ordinamento dell’Unione Europea prevista dall’art. 16 del Trattato, va precisato che:
a) la clausola non prefigura un termine di scadenza degli obblighi assunti pattiziamente; b) la gran parte delle regole di bilancio è già prevista nel diritto della UE come disposizioni giuridicamente vincolanti;
c) gli obblighi di natura politica di cui all’art. 7 non sono suscettibili di trasposizione.
Pertanto, la discussione sull’incorporazione del Trattato non riveste quella rilevanza che le viene solitamente attribuita ma può essere l’occasione, a prescindere dall’art. 16 del Trattato, per una riflessione a tutto campo sul quadro complessivo della disciplina di bilancio.[37]
Il dibattito potrebbe, infatti, ampliarsi per toccare, ad esempio, i punti fondamentali indicati nell’Appello “Per un nuovo sviluppo europeo” del 7 dicembre 2017, sottoscritto da numerosi economisti, giuristi, intellettuali, esponenti del mondo sindacale, quali:
- lo scorporo degli investimenti pubblici dal computo del disavanzo;
- la modifica della procedura utilizzata nella UE per il calcolo del PIL potenziale e del saldo strutturale, su cui non vi è unanimità di opinioni nell’ambito della scienza economica, ma determinante ai fini della possibilità di avviare politiche espansive anti cicliche;
- l’aumento del valore medio del debito fisiologico dal 60% del PIL fino al valore medio attuale del 90%;
- una riconsiderazione della mission della BCE che vada oltre l’obiettivo della stabilità monetaria per perseguire anche quello della riduzione della disoccupazione.[38]
In ogni caso va menzionata la seduta alla Camera dei Deputati del 7 febbraio del 2018 delle Commissioni riunite di Bilancio e Politiche della UE nella quale la quasi totalità delle forze politiche ha espresso un parere contrario al documento della Commissione europea di inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento giuridico dell’Unione.[39]
IL TWO PACK
Per quanto riguarda, infine, il Two Pack [40] si tratta di due Regolamenti che completano il ciclo di sorveglianza di bilancio. Essi trovano la loro base giuridica nell’’art. 136 del TFUE e riguardano pertanto solo gli Stati della zona euro. Hanno lo scopo di integrare il quadro della riforma della governance europea per prevenire che uno Stato con problemi di stabilità finanziaria possa contagiare il resto della zona euro e in generale l’Unione. Si concentrano sull’obiettivo di una sorveglianza rafforzata sui progetti di bilancio, sul presupposto di una sempre maggiore interdipendenza tra gli Stati membri con possibili effetti reciproci di ricaduta delle rispettive decisioni di bilancio.[41]
Il Regolamento n. 472/2013 rafforza la sorveglianza economica e di bilancio e il monitoraggio sugli Stati dell’euro zona che:
1) si trovano o rischiano di trovarsi in grave difficoltà rispetto alla stabilità finanziaria o alla sostenibilità delle finanze pubbliche, con potenziali ripercussioni negative sugli altri Stati membri;
2) chiedono o ricevono assistenza finanziaria esterna da uno o più Stati membri, da Stati terzi, da fondi di stabilità o dal FMI.
Mentre per i primi la sorveglianza rafforzata è adottata all’esito di una valutazione specifica, per i secondi la sorveglianza rafforzata è comunque prevista. Il Regolamento estende le funzioni e il ruolo della c.d. Troika, Commissione, BCE e FMI, per quanto concerne sia l’elaborazione delle misure correttive che il monitoraggio (anche con missioni di verifica nello Stato membro) sull’attuazione delle stesse.
Nel caso di richiesta di aiuti finanziari, lo Stato deve elaborare, d’intesa con Commissione, BCE ed eventualmente FMI, un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico, basato su una valutazione discrezionale di sostenibilità del debito da parte della Commissione, rivolto ai rischi che lo Stato pone alla stabilità finanziaria della zona euro e a ripristinare la sua capacità di autofinanziarsi su mercati. Una volta approvato dal Consiglio, su proposta della Commissione, quest’ultima, di intesa con BCE e FMI, monitora la corretta attuazione del programma di aggiustamento macroeconomico. Il Regolamento prevede anche che lo Stato possa essere soggetto alla sorveglianza rafforzata finché non abbia rimborsato almeno il 75% dell’aiuto finanziario ricevuto.
Il Regolamento, n. 473 del 2013, contiene regole comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio degli Stati della zona euro. Esso prevede una tempistica comune per la presentazione di tali documenti. Gli Stati devono trasmettere alle istituzioni europee i loro progetti di bilancio per l’anno successivo entro il 15 ottobre dell’esercizio precedente e devono approvarli entro il 31 dicembre. Su di essi la Commissione esprime un parere entro il 30 novembre evidenziando la loro conformità o meno ai requisiti del PSC come modificato dal Six Pack. In caso di valutazione di non conformità la Commissione può chiedere allo Stato di apportare modifiche entro un tempo definito. Tuttavia il Regolamento non attribuisce alla Commissione il potere di cambiare il progetto di bilancio né crea un’obbligazione per gli Stati membri di seguire nei singoli dettagli il parere della Commissione.[42]
La sorveglianza coordinata da parte della Commissione si svolge in autunno, tra un semestre europeo e l’altro, a completamento del quadro della governance esistente, per verificare la corrispondenza alle raccomandazioni formulate agli Stati nel semestre precedente. Inoltre, il Regolamento obbliga gli Stati membri a redigere i progetti di bilancio sulla base di previsioni macroeconomiche indipendenti, cioè prodotte o avallate da un ente indipendente (Fiscal Council) rispetto ai decisori politici nazionali, evidentemente ritenuti non sempre sufficientemente affidabili nel rispetto delle regole di bilancio. Nel nostro paese tale organismo indipendente (Ufficio Parlamentare di Bilancio) è stato istituito con la legge n. 243 del 2012 attuativa della legge costituzionale n.1 del 2012 sull’introduzione del principio dell’equilibrio di bilancio, cui si è fatto già menzione.
CONCLUSIONI
Dopo aver passato in rassegna la complessa normativa di bilancio costruita nell’arco di un ventennio da parte delle istituzioni europee, con le sue regole, i suoi criteri, parametri, vincoli, si ritiene opportuno concludere con un ritorno alle prime pagine di questo scritto, nelle quali si sono indicati gli obiettivi di politica economico-sociale di Lega e M5S confluiti nel contratto di governo stipulato dalle due forze di maggioranza. In quelle pagine si sono evidenziate anche le perplessità manifestate da più parti in merito alla loro concreta realizzabilità per la mancanza di adeguate coperture finanziarie, così come il timore che la decisione di “onorare” comunque le promesse elettorali e il contratto di governo avrebbe comportato il mancato rispetto dei parametri europei, in particolare il superamento del tetto del deficit nominale del 3% del PIL con conseguente innalzamento del debito pubblico.
Come evidenziato all’inizio di questo scritto, in questi primi mesi di governo si sono registrate, da parte dei due vice premier, dichiarazioni mutevoli e altalenanti in relazione al rispetto dei vincoli europei con “parole” che, secondo il Presidente della BCE Mario Draghi, avrebbero provocato danni, a causa della crescita dello spread, a famiglie, imprese e Stato per la lievitazione dei tassi di interesse.[43]
IL RAPPORTO DEFICIT/PIL: dall’1,6% al 2,4%
In base a quanto si apprendeva dalla stampa, verso la metà di settembre le trattative con la UE ruotavano intorno ad un numero, l’1,6% del rapporto deficit/PIL nel bilancio 2019, richiesto dalla Commissione Europea, su cui si ventilava che il ministro dell’economia Tria avesse dato il suo assenso.[44] Moscovici nell’intervista rilasciata a fine agosto aveva dichiarato che il nostro Paese avrebbe dovuto ridurre nel 2019 il deficit strutturale dello 0.6%. Con un rapporto deficit/PIL all’1,6% questo obiettivo non sarebbe stato centrato e si sarebbe realizzata una riduzione minore del disavanzo strutturale pari allo 0,1% ma si trattava di una soglia di deficit su cui la UE aveva dato la sua disponibilità. Tuttavia mantenere il deficit entro il tetto indicato avrebbe generato risorse per circa 12 miliardi, sufficienti solo ad evitare l’aumento dell’IVA che sarebbe altrimenti scattata a gennaio 2019 in modo automatico risultando così compromessi sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, anche in versione ridotta.
E’ noto che nelle due ultime settimane del mese di settembre Lega e M5S hanno insistito per portare il rapporto deficit/PIL a quota 2,1% – 2,2% al fine di ottenere risorse per circa 15-17 miliardi di euro che avrebbero consentito, anche grazie al gettito proveniente dalla c.d. ”pace fiscale”, l’avvio del reddito di cittadinanza (pensioni di cittadinanza e Centri per l’impiego), l’introduzione di quota 100 per il pensionamento, una flat tax differenziata con tre aliquote per piccole imprese e professionisti.”[45]
Dopo un braccio di ferro durato più di dieci giorni che ha visto il ministro Tria fermo sulle sue posizioni, (nonostante si ventilasse di una mediazione che attestava il deficit al 2%), al termine di una lunga giornata di trattative, nel Consiglio dei Ministri del 27 settembre, è prevalsa la volontà politica di Lega e M5S di superare il limite dell’1,6% – 1,8% e di portare nella Nota di aggiornamento del DEF il deficit al 2,4 % del PIL per un triennio.[46] Con questa nuova soglia la manovra finanziaria dovrebbe superare i 30 miliardi permettendo quanto meno il decollo delle misure promesse in campagna elettorale e previste nel contratto di governo.[47]
VERSO LA PROCEDURA DI INFRAZIONE?
Naturalmente da parte dei commenti critici dell’innalzamento del deficit si sono messi in evidenza la probabile reazione negativa dei mercati con il conseguente aumento dello spread e la valutazione sicuramente negativa da parte dell’Unione Europea a metà ottobre sul Documento programmatico di bilancio che potrebbe portare, anche se in tempi lunghi, ad un’apertura di una procedura di infrazione per la deviazione significativa dal percorso di riduzione di deficit e debito.
Si è anche sottolineato che non sono sostenibili parallelismi con la Francia che prevede un deficit al 2,8%, poiché il debito pubblico francese risulta molto inferiore a quello dell’Italia e sarebbe comunque attuata, come previsto dalle regole europee, una riduzione del deficit strutturale.[48]
Dopo quella che è stata definita una sua “sconfitta” , il ministro Tria non ha rassegnato le dimissioni, molto probabilmente per non provocare un clima di maggiore incertezza politica, ed ha difeso la manovra come il risultato di un importante attività di mediazione tra esigenze di bilancio ed esigenze di spesa, sottolineando che essa non rappresenta una sfida all’Unione Europea.
Ha dichiarato che non avviare le riforme, in una prospettiva di minore crescita tendenziale per il 2019 (pari allo 0,9%), rispetto alle precedenti previsioni (1,4%) avrebbe prodotto “conseguenze disastrose, ancora bassa crescita, alta disoccupazione e difficoltà crescente a conciliare la discesa del debito con la stabilità sociale”. Al contrario, si sarebbe raggiunto un punto di equilibrio che ha evitato un conflitto sulla manovra e una conseguente situazione di instabilità politica. Il livello di deficit stabilito darebbe spazio ad un piano straordinario di investimenti pubblici finalizzato alla crescita. L’aumento degli investimenti pubblici nel triennio, stimato in circa 15 miliardi di euro potrebbe, secondo il ministro, recuperare metà della perdita di PIL accumulatasi negli ultimi dieci anni, anche attraverso interventi strutturali di snellimento di procedure per l’esecuzione degli investimenti e nuovi strumenti operativi di progettazione e valutazione, creando una sorta di “nuovo genio civile”.
Tria ammette che quella sulla crescita è una “scommessa” a fronte delle misure di spesa ma non di una “scommessa senza rete”, poiché l’accordo raggiunto nel Governo si fonda su di una clausola di salvaguardia, richiesta dallo stesso ministro, ossia una “revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto al limite posto” in caso di mancato o parziale raggiungimento dell’obiettivo della crescita. Tria sottolinea che sarebbe stato indegno per un Paese con l’Italia, settima potenza industriale del mondo, non intervenire con misure di sostegno al reddito per le persone in cerca di occupazione e di aiuto all’uscita dalla povertà.[49]
IL DOCUMENTO DEL MINISTRO SAVONA
In questi primi giorni successivi all’approvazione della Nota di aggiornamento del DEF è tornato prepotentemente alla ribalta il ministro per gli Affari Europei Paolo Savona con ripetute dichiarazioni a sostegno della manovra di bilancio. Lo stesso ministro aveva recentemente inviato un documento a Bruxelles, a nome dell’intero Governo, contenente le indicazioni per la ricostruzione di una nuova architettura europea. In esso si sostiene che l’Europa e la moneta unica si possono salvare solo con la crescita economica ed è pertanto necessario creare le condizioni per lo sviluppo in termini di investimenti, flessibilità, integrazione dei sistemi fiscali degli stati membri.
I punti salienti del documento sono la trasformazione della BCE attraverso un ampliamento dei suoi poteri, il che permetterebbe alla Banca Centrale di garantire il debito degli Stati, azzerando i differenziali di rendimento dei titoli di stato tra paesi che condividono la stessa valuta, evitando così situazioni favorevoli alla speculazione che tende a colpire le economie più deboli; il superamento del parametro di Maastricht del 3% del rapporto deficit/PIL che si è rivelato un freno allo sviluppo; un grande piano di investimenti, utilizzando anche la Banca europea per gli investimenti, sia a livello di Unione che dei singoli Stati e un tetto del deficit, flessibile, che possa oscillare in base alla crescita dell’economia. Quanto al rientro dal debito, esso dovrebbe avvenire attraverso un piano di rimborsi a lunghissima scadenza, fornendo alla BCE, sino al raggiungimento del parametro del 60% del PIL, l’ipoteca sul gettito fiscale futuro o sulle proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una più rate.[50]
Nella sue dichiarazioni più recenti, Savona, in linea con il Documento inviato a Bruxelles, ha affermato che il programma di politica economica e finanziaria è coerente con il contratto di governo e con la risoluzione parlamentare approvata il 19 giugno 2018 che hanno trovato espressione nella cancellazione degli aumenti dell’IVA per il 2019, nell’introduzione del reddito e delle pensioni di cittadinanza, nel superamento della legge Fornero, nell’introduzione della flax tax per le piccole imprese, nel rilancio degli investimenti pubblici e privati.
Il ministro ha evidenziato che in relazione alle circostanze eccezionali ed urgenti legate al crollo del ponte Morandi si intende chiedere alla Commissione Europea il riconoscimento della flessibilità di bilancio per il rilancio dei settori chiave dell’economia in particolare nel manifatturiero avanzato, nelle infrastrutture e nelle costruzioni.
Savona si mostra più fiducioso di Tria sulle prospettive di crescita affermando che anche le misure di spesa, presentando una componente di stimolo della domanda, unitamente agli investimenti, tenendo conto dei moltiplicatori di spesa, potrebbero portare ad una crescita del 2% nel 2019 e di un ulteriore mezzo punto annuo sino a raggiungere la soglia del 3%, che permetterebbe di guardare positivamente al futuro in termini di occupazione e di stabilità finanziaria.[51] Per il Ministro occorre superare il “mito europeo” del pareggio di bilancio e le politiche deflazionistiche e puntare invece sulla crescita che sola garantisce dal rischio di insolvibilità del debito pubblico.
Savona non auspica un’uscita dell’Italia dall’euro zona anche se ritiene che tutte le banche centrali e quindi anche la Banca d’Italia dovrebbe avere un piano di emergenza, il c.d. Piano B . Ribadisce tuttavia che dopo quasi trent’anni dalle decisioni che hanno condotto alla firma del Trattato di Maastricht, di fronte alle trasformazioni geopolitiche che hanno avuto luogo in questi anni, in primo luogo la globalizzazione, è necessario modificare regole e parametri europei, rendendo i vincoli di bilancio meno stringenti, per creare una Europa diversa, più forte, più equa e più attenta alle istanze socio-politiche dei Paesi membri.[52]
IL DEF TRA SPREAD E PROMESSE ELETTORALI
In conclusione ci si trova di fronte ad una situazione aperta ed in continua evoluzione.[53] Da una parte vi sono i vincoli europei e costituzionali di bilancio (questi ultimi peraltro ribaditi in modo molto soft dal Capo dello Stato Mattarella)[54], le ormai prossime valutazioni delle agenzie di rating con il rischio di declassamento del debito pubblico e le possibili reazioni dei mercati con impennate dello spread. Dall’altra l’esigenza di mantenere almeno parzialmente le promesse elettorali da parte delle due forze politiche di maggioranza soprattutto in vista delle elezioni europee di primavera.
E’ una partita ancora tutta da giocare, con una posta molto alta, la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea pur con tutte le sue criticità e asimmetrie e l’emergere di un’altra Europa caratterizzata dall’affermazione di forze politiche di destra populista, sovranista e razzista, di democrazie illiberali.
Sulla Nota di aggiornamento del DEF e sulla legge di bilancio si scontrano due visioni politiche ed economiche alternative. Su di un versante si sottolinea l’incongruenza strutturale tra politica ed economia, frutto della governance economica a partire dal Trattato di Maastricht che ha dato origine ad una moneta comune in assenza di una politica e di un governo comuni. Da un lato si è centralizzata la politica monetaria attraverso la BCE, dall’altro si è lasciata, almeno formalmente, all’autonomia dei governi nazionali la politica fiscale e di bilancio cercando però di controllarla attraverso le regole del Patto di Stabilità e Crescita, rese più rigorose e stringenti dopo la crisi finanziaria del 2008.
Secondo questa visione, fortemente critica della manovra di governo, incrementare il deficit con un debito pubblico enorme costituisce “ un azzardo morale” che sarà sicuramente sanzionato dai mercati e che non potrà essere accettato dalle istituzioni della UE e da molti degli Stati membri dell’euro zona che chiederanno alla Commissione Europea di sanzionare l’Italia in base alle norme europee di bilancio.
Si mette in guardia dai rischi di questa contrapposizione radicale alle istituzioni e alle regole della UE, poiché potrebbe essere utilizzata come un ottimo argomento nella campagna elettorale delle elezioni europee per dimostrare la necessità di una messa in discussione della collocazione dell’Italia nell’euro zona configurando così una possibile Italexit.[55]
Sul versante opposto, vi è chi sostiene al contrario che la politica del rigore ha da tempo ormai mostrato tutti i suoi limiti. L’ austerity e i vincoli europei hanno prodotto povertà, lavoro precario, aumento delle disuguaglianze, alimentando così il populismo. Muovendo dall’analisi del voto del 4 marzo 2018, sarebbe autolesionista per la sinistra, in cerca ancora di sé stessa, schierarsi a sostegno dell’austerità, avversando le politiche di sostegno al reddito e di lotta alla povertà. Occorre accettare il rischio dello spread, pena l’ulteriore aumento di consensi verso quelle forze populiste e sovraniste che sembrano ormai dilagare in Italia e in Europa.[56]
Come sopra già accennato resta quindi aperta, in questa fase di grande divisione nell’ Unione Europea (e non si tocca qui lo scottante tema dei flussi migratori) la questione di fondo della sopravvivenza della stessa Europa unita, così come si è configurata da Maastricht in poi, con la rigidità delle sue regole, con la sua politica neoliberista, con l’assoluta priorità assegnata all’obiettivo della stabilità dei prezzi a discapito della lotta alla disoccupazione, con le sue asimmetrie tra Paesi forti del Nord e Paesi deboli periferici del Sud, con il suo deficit di democrazia istituzionale, con la sua distanza dai cittadini dei Paesi membri.
UN’EUROPA DEMOCRATICA E SOLIDALE
Tuttavia, in un mondo multipolare e globalizzato, ad avviso di chi scrive non è comunque condivisibile ripiegare su un’Europa delle Nazioni, delle piccole patrie, delle culture identitarie, dei sovranismi. Vi sono diverse proposte per il suo rilancio e altre si auspica saranno avanzate in vista delle elezioni europee. Di alcune di esse si è dato qui parzialmente conto, da quelle di DiEM 25 a quelle dell’Appello “Per un nuovo sviluppo europeo” a quelle dello stesso documento inviato dal Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona a Bruxelles, contenente i suggerimenti per la ricostruzione di una nuova architettura europea.
Si tratta di proposte diverse, che muovono da visioni ed approcci politici anche molto differenti ma che, almeno sul piano delle dichiarazioni, sono tutte accumunate dalla volontà di salvare l’unità europea, puntando sul suo sviluppo, sull’occupazione e sul miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini degli Stati membri, sulla riduzione delle asimmetrie tra Stati, sulla democratizzazione delle sue istituzioni.
Un’altra Europa, democratica e solidale, è possibile?
(*) L’autrice veneziana è socia di Libertà e Giustizia
[1] Ministro per le Politiche Europee nel Governo Conte, è stato direttore presso la Banca d’Italia, direttore generale di Confindustria sotto la Presidenza di Guido Carli, docente di Politica Economica presso più università, Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con delega al riordinamento delle partecipazioni statali nel governo Ciampi (aprile 1993 – aprile 1994), Capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie nel biennio 2005-2006 durante il governo Berlusconi III.
[2] Savona intervenne nel Convegno di Scenari Economici “Un Piano B per l’Italia” del 3 Ottobre 2015 con una relazione dal titolo “Origini, significato e funzioni di un piano A e B per l’Italia”. Il testo integrale in https://scenarieconomici.it/origini-significato-e-funzioni-di-un-piano-a-e-b-per-litalia-in-europa-di-paolo-savona/
[3] Comunicato del 27 maggio 2018, in https://scenarieconomici.it/comunicato-prof-paolo-savona/
[4] Dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine del colloquio con il professor Giuseppe Conte, 27 maggio 2018, in http://www.quirinale.it/elementi/1345
[5] Tra altri, Carlo COTTARELLI: «Con Lega e Cinque Stelle i conti non tornano», in Vanity Fair, 06.03.2018.
[6] in https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-elezioni-2018-commenti-ai-programmi-di-finanza-pubblica
[7] M. RUFFOLO, Solo riducendo il deficit il sistema regge, La Repubblica, 6 giugno 2018.
[8] G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno – Seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013, p. 2.
[11] L’output gap è la differenza tra il prodotto lordo effettivo e il prodotto potenziale: maggiore è la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale, maggiore è l’effetto negativo del ciclo, cioè la gravità della situazione economica, e maggiore la possibilità di correggere il saldo strutturale con politiche economiche espansive anti cicliche.
[12] IL SOLE 24 ORE, 31 agosto 2018: “Toni ostili con noi ma saremo costruttivi sui conti. Bene Tria”.
[13] LA REPUBBLICA, 2 settembre 2018, La fine degli aiuti Bce farà soffrire l’Italia ma non siamo i malati UE”.
[14] MARCELLO ESPOSITO, Europa, il fantasma dell’Italexit, in Repubblica – Affari e Finanza, 3 giugno 2018.
[15] RANIERO LA VALLE, Tragedia greca in Italia, nuovAtlantide, 9 maggio 2018, https://www.nuovatlantide.org/tragedia-greca-italia/
[16] C. GALLI, Democrazia senza popolo, Feltrinelli, 2017, p. 87 e ss.
[17] C. GALLI, Popolo, istituzioni e vuoto a sinistra, Patria Indipendente, 1 giugno 2018, in http://www.patriaindipendente.it/idee/cittadinanza-attiva/popolo-istituzioni-e-vuoto-a-sinistra/
[18] LA REPUBBLICA, 1 luglio 2018. “Pontida, bagno di folla per Salvini. “Governeremo per i prossimi 30 anni. Farò la Lega delle Leghe”. Il 28 agosto 2018 a Milano si sono incontrati il vice premier Salvini e il premier ungherese Orban per discutere di immigrazione e di come fermarla. I principali quotidiani hanno riportato il seguente messaggio “provocatorio” di Salvini al Presidente francese Macron: “chiediamo collaborazione anche a Macron, che passa il suo tempo a dare lezioni a governi stranieri: dia l’esempio aprendo Ventimiglia”. Pronta è stata la replica del Presidente francese: “non cederò niente ai nazionalisti e a coloro che difendono i discorsi di odio. Se vogliono vedere in me il loro oppositore principale, hanno ragione”, LA REPUBBLICA, 28 agosto 2018. Si veda anche la versione on line del quotidiano francese LIBERATION del 29 agosto 2018 : “Macron se pose en «opposant principal» d’Orban et de Salvini: Le président français Emmanuel Macron a répliqué mercredi aux dirigeants hongrois et italien Viktor Orban et Matteo Salvini qu’ils «ont raison» de le voir comme leur «opposant principal» en Europe sur le dossier des migrants.Je ne céderai rien aux nationalistes et à ceux qui prônent ce discours de haine. S’ils ont voulu voir en ma personne leur opposant principal, ils ont raison», a-t-il lancé, répondant à des journalistes lors de sa visite au Danemark.”
[19] Il programma “un New Deal per l’Europa” in https://diem25.org/new-deal-europeo-it/. Si veda anche l’intervista all’ex ministro greco delle finanze Varoufakis, IL SOLE 24 ORE del 14 giugno 2018 e “IL MANIFESTO” del 13 giugno 2018.
[20] La riforma dell’art. 136 del TFUE era legata al dubbio in sede comunitaria della compatibilità del MES con l’art. 125 del TFUE che prevede il divieto per l’Unione e per gli Stati membri di farsi carico dei debiti di altri Stati.
[21] Per la ricostruzione della normativa europea di bilancio, cfr., tra molti, L. DANIELE, Il diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2014, pp. 39 – 47; SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, XVII legislatura, La governance economica europea, giugno 2013 n. 3, pp. 1-23 e approfondimenti A,B,C,D,E; G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno – Seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma 22 novembre 2013, pp. 1-11; A. POGGI, Crisi economica e crisi dei diritti sociali nell’Unione Europea, Rivista AIC n. 1 /2017, che evidenzia gli effetti delle misure poste in essere dalle istituzioni europee sulla sostenibilità economica dei diritti sociali, che costituisce “precondizione” della democrazia e dello stesso impianto teorico del costituzionalismo europeo; M. ESPOSITO, Pareggio ed equilibrio di bilancio: fra scientificità e “feticismo” tecno-economico, in Diritto & Diritti, marzo 2018, in https://www.diritto.it/2-pareggio-ed-equilibrio-bilancio-fra-scientificita-feticismo-tecno-economico/#_ftn61.
[22] G. L. TOSATO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, in Il Fiscal Compact, Roma, 2012, l’A. argomenta contro la tesi secondo cui dalle misure per fronteggiare la crisi “sarebbe derivato un declassamento delle istituzioni sovranazionali dell’Unione e del metodo comunitario rispetto alle istituzioni e al metodo intergovernativi”.
[23] Con un comunicato stampa del 22 giugno 2018 L’EUROGRUPPO ha dichiarato l’uscita della Grecia dal programma di aiuti. Invero, permane una sorveglianza (Post programme surveillance framework), anche rafforzata (Enhanced Surveillance), finalizzata ad un costante e rigoroso monitoraggio della situazione economica, fiscale e finanziaria. E’ stato consentito alla GRECIA di posticipare di 10 anni ( dal 2022 al 2032) il pagamento dei 110 miliardi di euro di prestiti ricevuti dal vecchio Fondo salva-Stati Efsf ed è stato esteso di ulteriori 10 anni il periodo di grazia (cioè quello in cui non scattano sanzioni se non si ripaga il prestito). EUROPEAN COUNCIL E COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION, Eurogroup statement on Greece of 22 June 2018, http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2018/06/22/eurogroup-statement-on-greece-22-june-2018/ . Critico l’ex ministro greco delle finanze VAROUFAKIS secondo cui “chiamano alleggerimento del debito l’estensione della bancarotta greca fino al 2060”, il Fatto Quotidiano.it, 22 giugno 2018. AVVENIRE.it, 23 giugno 2018, “Dopo 8 anni. La Grecia fuori dalla «sorveglianza» Ue. Ma il Paese è da rianimare”. Sul punto cfr. G. FERRAINO, La Grecia esce dal programma di aiuti: addio alla troika dopo 8 anni di crisi, in www.corriere.it, 19 agosto 2018.
[24] Art. 126 TFUE ( ex art. 104 TCE) e protocollo ( n. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi.
[25] Regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.
[26] Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi.
[27] R. GIARDINA, La Germania sforò il tetto del 3%, Italiaoggi – N. 048 del 26/02/2014 in https://www.italiaoggi.it/archivio/la-germania-sforo-il-tetto-del-3-1867343 ; si veda il grafico in F. MOSTACCI, La vera storia dell’aiuto italiano a Germania (e Francia) nel 2003, in http://www.francomostacci.it/?p=1658.
[28] La sentenza della Corte in
[29] G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012, cit. pp. 9-10, il quale afferma “che gli sviluppi nel tempo della normativa europea di bilancio riflettono la tensione tra i due poli della rigidità e della flessibilità e della conseguente dialettica tra regole e discrezionalità”.
[30] Regolamenti CE n. 1055 e 1056 del 2005.
[31] Si veda il grafico in https://www.confartigianato.it/2016/09/studi-in-francia-e-spagna-deficit-sempre-oltre-il-3-del-pil-in-10-anni-per-italia-persiste-criticita-del-debito-pubblico-ma-deficit-eccessivo-solo-in-3-anni-su-10-germania-e-olanda-squilibrio-mac/
[32] SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, XVII legislatura, La governance economica europea, cit., approfondimento C, p. 30.
[33] Art. 6 comma 3 del Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.
[34] G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione, cit., pp 10-11.
[35] Gli obiettivi del Patto erano: stimolare la competitività, stimolare l’occupazione, concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche, rafforzare la stabilità finanziaria. Il Patto, Allegato I alle Conclusioni del Consiglio Europeo del 24 -25 marzo 2011, prevede, tra l’altro, che “Gli Stati membri partecipanti si impegnano a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’UE fissate nel patto di stabilità e crescita. Gli Stati membri manterranno la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere ma faranno sì che abbia una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro).” In http://europa.eu/rapid/press-release_DOC-11-3_it.htm . Circa la natura di soft law del Patto, cfr. L. DANIELE, Il diritto dell’Unione Europea, cit. pp. 44 e 47. Cfr. anche G. L. TOSATO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, cit. p. 17.
[36] Cfr. G. L. TOSATO, La riforma costituzionale del 2012, cit., p. 22.
[37] Ufficio Parlamentare del Bilancio, L’inserimento del Fiscal Compact nel diritto UE, Flash n. 7/4 agosto 2017, in http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2017/08/Flash-n.-7_20171.pdf
[38] Cfr. l’Appello “Superare il Fiscal compact per un nuovo sviluppo europeo” che conclude a favore di una riforma strutturale della macchina europea che punti “verso un modello di sviluppo trainato dai salari, dai consumi interni e da nuovi investimenti, anziché verso un modello mercantilista, problematico sotto il profilo dell’equilibrio globale quanto incapace di assicurare progresso, convergenza e coesione economica e sociale all’interno dell’Unione”; in https://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/lappello-superare-il-fiscal-compact-per-un-nuovo-sviluppo-europeo/
[39] Commissioni riunite V e XIV – Mercoledì 7 febbraio 2018, Allegato 4 di valutazione contraria alla “proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce disposizioni per rafforzare la responsabilità di bilancio e l’orientamento di bilancio a medio termine negli Stati membri ( COM (2017) 824).”
[40] COMMISSIONE EUROPEA, MEMO – Entra in vigore il “two-pack”: completato il ciclo di sorveglianza di bilancio e migliorata ulteriormente la governance economica per la zona euro, Bruxelles, 27 maggio 2013, in http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-457_it.htm. Cfr. anche SERVIZIO DEL BILANCIO DEL SENATO, cit., p. 12 e ss.
[41]Regolamento UE n.472/ 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, Considerando n. 3.
[42] SERVIZIO DI BILANCIO DEL SENATO, cit., p. 12.
[43] IL SOLE24 ORE, 14 settembre 2018, L’altolà di Draghi all’Italia: ”danni dalle parole, ora ai fatti”,; LA REPUBBLICA, 14 settembre 2018, Draghi: ora è allarme sull’Italia “ danni dalle parole del governo”.
[44] LA REPUBBLICA, 16 settembre 2018, C. TITO, Nel DEF deficit- PIL all’1,6% basta solo per sei mesi di reddito di cittadinanza”
[45] IL SOLE 24 ORE del 16 settembre 2018, “Manovra, partita su 5-7 miliardi”
[46] IL MANIFESTO, 27 settembre 2018, Doppio pressing, Tria resiste
[47] LA REPUBBLICA, 28 settembre 2018, Vincono LEGA e M5S, Tria nell’angolo, il deficit sale al 2,4%; cfr. anche IL SOLE 24 ORE, 28 settembre 2018, Manovra oltre 30 miliardi
[48] LA REPUBBLICA, 28 settembre 2018, E Bruxelles prepara la bocciatura della manovra
[49] IL SOLE 24 ORE, 30 settembre 2018, La manovra non è sfida alla UE – il giudizio sul 2,4% può cambiare
[50] Si veda l’intervista a P. Savona, in LIBERO, 16 settembre 2018, Ecco il Piano per salvare l’Unione; si veda anche l’intervista del ministro SAVONA sul quotidiano LA VERITA’, “Un ribaltone in Europa e trovo subito 50 miliardi”, in http://www.politicheeuropee.gov.it/it/ministro/rassegna-stampa/vi-presento-il-mio-piano-a-un-ribaltone-in-europa-e-trovo-subito-50-miliardi/
[51] IL FATTO QUOTIDIANO, 30 settembre 2018
[52] LA REPUBBLICA, Affari&Finanza, 1 ottobre 2018
[53] Di fronte alla reazione negativa ancora informale di Bruxelles, per rassicurare la UE e i mercati il Governo ha rivisto il rapporto deficit/PIL dal 2,4 %per il triennio al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021, cfr. LA REPUBBLICA, 4 ottobre 2018
[54] Si veda , IL MANIFESTO, 2 ottobre 2018, VILLONE, La saggia prudenza di Mattarella
[55] IL SOLE 24 ORE, 30 settembre 2018, FABBRINI, La distanza che separa politica ed economia
[56] IL FATTO QUOTIDIANO, 30 settembre 2018, Questo DEF è giusto – La sinistra non può tifare per lo spread