Edgar Nahoum, nato a Parigi nel 1921, adottò il nome ” Edgar Morin” quando, 21enne, entrò a far parte della Resistenza. Scrisse il suo primo libro dal punto di vista di un francese, sulla sua esperienza come soldato a Berlino dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nei primi anni Settanta ha soggiornato per qualche tempo in California. Successivamente è tornato in Francia ed è diventato un antesignano del movimento ecologista. Oggi vive a Montpellier.
Signor Morin, a 97 anni lei è ogni giorno su Twitter, cosa non comune per un filosofo della sua generazione. Come mai?
«Tempo fa, un amico mi ha chiesto di pubblicare su Twitter le mie idee sulla riforma della scuola in Francia. Da allora ho incominciato a “twittare” tutto quello che mi passa per la testa: pensieri, versi, citazioni, commenti politici, tutto ciò che costituisce il mio universo. Ho scoperto che concetti molto complessi si possono sintetizzare utilizzando la scorciatoia del paradosso.
Mi diverto a raccogliere i pensieri che mi capita di trovare in giro. E Twitter offre la possibilità di formulare massime e aforismi, come già aveva fatto La Rochefoucauld».
Per lei Twitter è uno strumento che sostituisce altre forme di scrittura?
« Questo no. In questi giorni sto finendo di scrivere un libro di memorie. Ho parlato più volte della mia evoluzione intellettuale, ma più raramente delle mie relazioni, amicizie, sentimenti. Ho raccontato per esempio la Resistenza, ma più in senso politico e storico, mentre ora preferisco parlare delle persone. Dunque continuo a scrivere».
Lei arriverà presto a compiere un secolo di vita. Quale periodo considera il migliore?
« Dopo la guerra c’ è stata una breve fase di euforia. La liberazione, la fratellanza Poi, con la Guerra fredda le cose sono cambiate rapidamente. Ma ho avuto la fortuna di vivere meravigliose oasi del tempo. Nel 1969 in California, oppure in Toscana, dove ho lavorato alla stesura della mia opera principale, Ci sono fasi che ho chiamato “estasi della Storia”: la liberazione di Parigi fu uno di questi momenti assolutamente estatici. Ho anche vissuto, a Lisbona, la fine della dittatura, la Rivoluzione dei garofani. Anche l’inizio del Maggio 1968 è stato magnifico. Nella vita questi attimi indimenticabili vanno vissuti. Oggi so che le speranze sconfinate di quei momenti si dissolvono e si ricade subito nel grigiore prosaico del quotidiano. Ma i momenti poetici della vita vanno celebrati, sono meravigliosi, soprattutto se sono eventi collettivi. Per esempio, la vittoria della Nazionale di calcio francese ai Campionati mondiali ci ha regalato una serata stupenda. Ho scritto su Twitter che quella del 15 luglio è stata la vera Festa nazionale, di una Francia unita, repubblicana e multiculturale. Ero a Parigi, e ho visto innalzare la bandiera francese da gruppi di neri, francesi di origine africana e algerini, tutti in festa… È stato uno di quegli attimi estatici. La mattina dopo era tutto finito. Ma quei momenti, io li amo».
Nel luglio 1945 lei arrivò a Berlino da soldato francese, con le truppe alleate. Quale fu la sua impressione davanti a quella città distrutta?
« Avevo già visto altre città martoriate dai bombardamenti, come Karlsruhe o Mannheim. Ma la distruzione di Berlino era incredibile. In particolare fui sorpreso di vedere le strade quasi vuote. Sembrava che a nessuno importasse più nulla di quella città… Mi recai, a piedi, alla Cancelleria del Reich: non era neppure sorvegliata. Entrato nell’ufficio di Hitler, mi portai via alcune carte con la sua firma. Ma la cosa più affascinante fu sentire da un altoparlante, ai piedi della Porta di Brandeburgo e sul viale Unter den Linden completamente deserto, Evidentemente un’iniziativa dei russi. Qualcosa di indimenticabile ».
Col passare degli anni, le è più difficile mettersi alla scrivania a lavorare?
« Finora ho sempre scritto per un impulso interiore. Non so se sarà così anche dopo che avrò terminato le mie memorie. Come opera successiva, ho in mente qualcosa di molto breve. Ciò che comunque più mi sgomenta è il vuoto del pensiero politico. Già da qualche tempo tengo conferenze sul tema delle basi scientifico- filosofiche di una sua rinascita. In passato ho collegato tra loro vari campi del sapere: è quello che chiamo il metodo del “pensiero complesso” (vedi Focus in pagina, Non ho inventato nulla, più che altro ho aggregato diverse parti tra loro. Oggi la scienza non è più deterministica come nel XIX secolo, riconosce l’indeterminatezza e il caso; guarda ai confini del sapere, ha una concezione dell’essere umano nella sua triplice essenza di specie, individuo e società. L’uomo è al tempo stesso è un essere complesso, e di ciò si deve tener conto. Per capire la Storia dobbiamo combinare insieme Shakespeare e Marx».
Lei da decenni prova a spiegare come il pensiero diventi sempre più complesso. Le fa rabbia il modo in cui i politici cercano di dissimulare la complessità del mondo agli occhi dei loro elettori?
« Il pensiero complesso dovrebbe fare passi avanti. Invece, è sicuramente frustrante dover constatare come oramai tra le élite politiche si sia imposto un pensiero riduttivo, dominato da criteri tecnico- economici. Stiamo assistendo ad una riduzione del sapere, soppiantato dal dominio delle cifre.
Via via che la complessità del mondo aumenta, il pensiero predominante appare sempre più incapace di comprenderla. È una visione cieca. E questo mi preoccupa molto. Ma ovviamente, può capirmi solo chi si trova a disagio in questo clima. Dunque sto predicando nel deserto. Ma ciò non mi turba, dato che credo in quello che dico».
« Il problema è che la democrazia non possiede una verità. Ai partiti si concede un lasso di tempo per realizzare la loro visione di ciò che ritengono giusto. Al contrario, i regimi teocratici o totalitari sostengono di essere in possesso della verità. La conseguenza è che sotto le dittature totalitarie si sogna sempre la democrazia, la quale però perde tutto ciò che aveva di poetico non appena ci si ritrova nei bassipiani della quotidianità democratica. La democrazia può vivere solo della competizione delle idee; ma questa competizione è oramai pressoché azzerata, dal momento che anche i partiti d’ opposizione accettano il liberismo, per esempio. Non esiste più un’alternativa comunista, e neppure socialdemocratica, cosa che spiega la disgregazione dei partiti della sinistra moderata. Ma non si intravede neppure un’ altra linea di pensiero di sinistra, o un’ alternativa. E affinché una nuova concezione possa affermarsi c’ è bisogno di tempo».
Crede che il suo pensiero possa destare nuove speranze?
«Faccio quello che posso, ma come ho detto, ci vuole tempo. Oggi siamo arrivati proprio a un punto zero. Perciò credo che una fase prolungata di regresso sarà probabilmente inevitabile, anche perché la crisi ha dimensioni globali. Siamo in presenza di una gravissima crisi da un punto di vista dell’ecologia, con conseguenze politiche immani. L’assenza di regole nell’ economia mondiale, inoltre, produce un gigantesco divario dei livelli di benessere, che a sua volta mette in moto i movimenti migratori. Per di più viviamo in una situazione mondiale multipolare e instabile, con l’aggravante del pericolo di diffusione di armi nucleari e di nuove aggressive offensive in campo digitale E mi fermo qui». « Come detto, i pericoli sono enormi. Inoltre, il progresso tecnologico sta producendo le prime creature transumane. Avremo individui che vivranno molto più a lungo nella condizione di persone giovani grazie all’ uso di tecnologie in grado di allungare la vita collegando intelligenza artificiale e umana.
Si delinea così il profilo, inquietante, di una società resa ottimale e omogenea dagli algoritmi. Ma l’omogeneità uccide la creatività. Potrebbe anche accadere che l’uso di tecniche transumaniste porti alla creazione di una sorta di casta di ” superumani”, isolati in un spazio protetto, mentre la grande maggioranza sarebbe ridotta a sopravvivere nella miseria, tra conflitti incessanti. Non ne sappiamo nulla. Tutto sta cambiando molto velocemente ».
C’è anche qualche vantaggio ad arrivare a un’età molto avanzata?
« A condizione di mantenersi in buona salute. Non oso pronunciare la parola ” esperienza”. Molti hanno fatto le loro esperienze senza riuscire a trarne conseguenze morali o intellettuali. Un esempio è quello della Germania dell’Est, che dopo la Guerra mondiale ha mantenuto in attività il lager di Buchenwald per rinchiudervi gli oppositori, anche se in passato molti quadri di quel regime avevano subito la reclusione in quello stesso campo. Sono stato spesso violentemente attaccato per il mio atteggiamento critico nei confronti di Israele. Tuttavia, benché sia io stesso di origine ebraica, non riesco ad accettare che i discendenti di un popolo perseguitato per secoli siano oggi gli oppressori dei palestinesi.
Ma, per tornare all’ età, non è necessariamente un male, dato che può renderci più equanimi».
Quali sono le cose che ancora oggi le fanno rabbia?
«Viviamo in un’ epoca triste, inquietante, ma al tempo stesso anche affascinante. Per questo mi fa rabbia l’idea di non fare più in tempo a vivere gli eventi straordinari che accadranno nel prossimo futuro».
Un po’ di malinconia?
«Beh, sì».
(*) Tra le opere fondamentali Edgar Morin c’è la “Méthode”, opera enciclopedica scritta tra il 1967 e il 2006, che gli è valsa il soprannome di «Diderot del Novecento». Pensatore poliedrico, ha scritto anche saggi di spettacolo, ecologia e politica.
La Repubblica, 18 agosto 2018 (da Die Welt)