Volere la luna è capire che il mondo non si divide in italiani e stranieri. Ma «in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro». E volere la luna significa affermare, con i fatti, che «gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri» (Don Lorenzo Milani).
Volere la luna vuol dire credere ancora, e più di prima, che è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione della Repubblica, art. 3). E volere la luna è ricordare che la Repubblica siamo tutti, e ciascuno: e, dunque, rimbocchiamoci le maniche.
Volere la luna significa pensare che fare solidarietà è fare politica. Che fare la pace è fare politica. Che fare eguaglianza tra i generi è fare politica.
Volere la luna è pensare che la politica serva a cambiare la vita di tutti: non solo di chi la fa.
Volere la luna vuol dire volere, e costruire, un mondo diverso: dove cercare il senno che questo mondo ha smarrito, come Orlando. Perché «altri fiumi, altri laghi, altre campagne / Sono là su, che non son qui tra noi / Altri piani, altre valli, altre montagne» (Ludovico Ariosto). Volere la luna vuol dire pensare che i fiumi, i laghi, le campagne, i piani, le valli e le montagne di questo mondo siano un bene comune. Che non si possono distruggere con Grandi Opere inutili: perché vogliamo invece tramandarli a chi, domani, vorrà la luna.
Volere la luna significa combattere e sconfiggere ogni fascismo: quello vecchio che non è mai morto, quello nuovo che torna – e torna al governo.
Volere la luna: e non rassegnarsi, quando non te la danno. Come Pietro Ingrao: che da bambino chiese la luna a suo padre. E non smise di volerla per tutta la sua lunga vita.
Volere la luna: cioè costruire una democrazia che non si riduca a oligarchia o a plebiscito. Una democrazia che non pensa di salvarsi emarginando il dissenso e truccando le carte in nome della governabilità, ma che si salva con più democrazia, più rappresentanza, più partecipazione.
Volere la luna: quella vera. Non tutte le false lune che ci vengono vendute. «Stupido, ti riempiamo di ninnoli da subito / In cambio del tuo stato di libero suddito / No! / È una proposta inopportuna / Tieniti la terra uomo / Io voglio la luna / Io non sono nero / Io non sono bianco / Io non sono attivo / Io non sono stanco / Io non provengo da nazione alcuna / Io, sì, io vengo dalla luna» (Caparezza).
Volere la luna. Quella in cui «tutti i cittadini sentiranno nella scuola il presidio della Nazione» (Concetto Marchesi). Una nazione per via di cultura: e dunque aperta a tutti coloro che vengono in pace. E che, venendo, la cambieranno: così che «fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna» (Salmo 71).
Volere la luna per stare con i piedi saldamente piantati per terra. Perché è «bellissima cosa, e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna…: con la certezza della sensata esperienza chiunque può comprendere che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze, profonde cavità e anfratti» (Galileo). Guardare la luna non vuol dunque dire immaginare una terra perfetta: ma imparare a governarla, per renderla meno «scabra e diseguale».
«Volere la luna significa proporsi quello che può sembrare impossibile a molti, ma che in realtà dovrebbe essere normale: cambiare radicalmente il proprio modo di essere, di pensare, agire, cooperare e aggregarsi, tenendo fermi i valori di riferimento di un solidarismo radicale. Il mondo è cambiato, è ora di cambiare noi stessi. E il nostro modo di stare insieme. A cominciare da tre obiettivi primari: contrastare le diseguaglianze, promuovere ma soprattutto praticare forme di partecipazione solidale, favorire la rinascita di un pensiero libero e critico. Cioè non limitarsi a proclamare i propri valori, ma praticarli concretamente, con azioni positive quotidiane, creazione di occasioni di prossimità, di spazi, anche limitati, di relazione, di strumenti di comunicazione aperti e critici» (dallo statuto di «Volere la luna»).
Volere la luna, dunque, vuol dire cambiare noi stessi per cambiare le nostre città; cambiare l’Italia per cambiare l’Europa e per cambiare il mondo. Con il tempo che ci vorrà: senza scorciatoie, leaders carismatici o partiti estemporanei.
«Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una, / O come il tuono errar di giogo in giogo, / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna» (Giacomo Leopardi).
Volere la luna è costruirsi queste ali. Insieme.
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