Si è concluso di recente a Terlizzi (Bari), presso la biblioteca comunale Marinelli Giovene (di Via Marconi 37), la VI edizione del Festival per la Legalità. Alla manifestazione -svoltasi nelle giornate 12, 13 e 14 ottobre- hanno partecipato diverse associazioni tra cui: Il Circolo di Bari di Libertà e Giustizia, Libera contro le mafie e l’associazione Sulle regole di Gherardo Colombo, ex magistrato del pool Mani Pulite, ora presidente della Garzanti.
L’evento ha avuto come protagonisti uomini e donne della società civile, che hanno raccontato vita e vicende di alcune vittime di mafia in Puglia; giornalisti e scrittori che hanno ripercorso la storia di David Rossi, responsabile dell’area comunicazione di Banca Monte dei Paschi di Siena. La giornata del 12 ottobre era incentrata sul caporalato e sulle nuove schiavitù, tema introdotto e approfondito dal magistrato Ettore Cardinali con Lorenzo Gadaleta, magistrato e presidente Anm di Bari; Anna Lepore, segretario generale Flai Cgil; Leonardo Palmisano, autore del libro “Mafia Caporale” (Fandango Editore). Il dibattito è stato moderato dal giornalista di Telenorba, Giovanni di Benedetto.
Il caporalato è un fenomeno che pone sotto i riflettori le agromafie e la gestione del mercato delle braccia, non necessariamente legato agli immigrati, ma anche ai lavoratori italiani. Protagonista di questa vicenda, assurta a simbolo, è Paola Clemente, lavoratrice 49 enne di San Giorgio Jonico, deceduta a causa della fatica, mentre lavorava all’acinellatura dell’uva.
Il 13 ottobre la Biblioteca ha ospitato Daniela Marcone, vice presidente nazionale di Libera e referente nazionale del settore “Memoria”; il giornalista Sandro Ruotolo ed Elvira Zaccagnino, direttrice delle edizioni “La meridiana”. Daniela Marcone ha presentato il suo libro “Non a caso”, che narra le vicende di “vittime pugliesi di mafia” e non di “vittime di mafia pugliese”, come ha tenuto lei stessa a precisare. Ha ricordato perciò Hyso Telharaj, uno dei tanti schiavi che si era ribellato allo sfruttamento e per questo è stato picchiato e ucciso; Antonio Montinaro (di Calimera), agente della scorta del giudice Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992, e il suo collega Rocco di Cillo (di Triggiano); Gaetano Marchitelli, vittima innocente della Sacra Corona Unita in Puglia e Michele Fazio ucciso per sbaglio, perché si trovava nel momento sbagliato al posto sbagliato. Dalle indagini poi emergerà che venne usato come scudo da Giuseppe De Felice, detto «Pinuccio ù napoletan», del clan Strisciuglio, nel corso di un agguato.
Ospiti del Festival della Legalità sono stati poi, nella serata conclusiva del 14 ottobre, Davide Vecchi, autore del Libro “Il caso David Rossi, Il suicidio imperfetto del manager Monte dei Paschi di Siena”, (Chiarelettere), Giuliano Foschini, giornalista de La Repubblica e Giovanni di Benedetto, giornalista di Telenorba che hanno cercato di fare chiarezza su questo particolare caso di “suicidio” del manager del Monte Dei Paschi di Siena.
La vicenda di Rossi è un punto ancora oscuro, doloroso e incerto. Per ben due volte le indagini sono state archiviate, ma la sua famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, in quanto la ricostruzione presenta ancora oggi molte incongruenze.
Il 6 marzo del 2013, il corpo senza vita di Rossi, senese, ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi, viene rinvenuto sotto la finestra del suo ufficio, in una stradina chiusa del centro storico della città. Nel suo studio sono stati trovati tre biglietti, indirizzati alla moglie, poi gettati nel cestino, probabilmente con la finalità di inscenare un ipotetico messaggio di saluto. Tuttavia, secondo i periti calligrafici e l’avvocato della famiglia Rossi, il manager sarebbe stato costretto a scrivere i bigliettini d’addio e sarebbe quindi stato ucciso con un colpo alla testa e in seguito gettato dalla finestra da almeno due persone.
La morte di Rossi resta ancora oggi un mistero: molte le discordanze provenienti dalle ricostruzioni delle perizie del medico legale, come una ferita alla testa e le ecchimosi sulle braccia. La famiglia chiede anche l’esibizione di prove che sarebbero scomparse e, soprattutto, si oppone all’archiviazione del caso. Alcuni giorni prima di morire, il manager senese aveva più volte manifestato la volontà di essere sentito dai giudici.
(*) L’autrice è socia del Circolo di Libertà e Giustizia di Bari.