Cari architetti, il vostro lavoro comporta una responsabilità etica

16 Maggio 2017

Il nuovo saggio di Salvatore Settis è una riflessione su città e paesaggio sui rischi che corrono, sui valori che incarnano e sul ruolo di una professione che assume uno spiccato rilievo politico Parafrasando Le Corbusier, Leonardo Benevolo insisteva spesso su un concetto: l’ architettura è un servizio che si presta all’ uomo per l’ intera sua vita quotidiana. E questa, aggiungeva l’ urbanista scomparso all’ inizio di quest’ anno, è l’ unica architettura che conti veramente. Dal canto suo un altro urbanista morto anche lui di recente, Bernardo Secchi, raccontava come l’ architettura potesse incrementare o ridurre le disuguaglianze e come essa, compiendo una scelta politica, avesse la possibilità di orientare i propri dispositivi, proponendosi di realizzare una città a misura di ricchi o, al contrario, che migliorasse la condizione dei più poveri.

Si muove in un analogo recinto di concetti, arricchendolo con le proprie specifiche competenze, ‘Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili (Einaudi)’ (*), il nuovo saggio di Salvatore Settis, che, recuperando il frutto di sue precedenti riflessioni, raccoglie rielaborandole una serie di lezioni tenute all’ università di Mendrisio. La destinazione ha il suo senso: storico dell’ arte e dell’ archeologia, intellettuale dal respiro ampio, Settis si rivolge a chi studia architettura esortandolo ad acquisire cognizioni tecniche irrorate però d’ una robusta preoccupazione politica ed etica, perché con il proprio lavoro s’ interviene sugli assetti di una città e di un territorio. E dunque s’ incide in un paesaggio, che non è una veduta, un luogo panoramico, ma l’ ambiente in cui vive una comunità, lo spazio sociale in cui si esprimono valori e diritti.

Nelle ultime pagine del volume Settis cita Lina Bo Bardi, architetta italiana trasferitasi in Brasile nell’ immediato secondo dopoguerra. Per lei, l’ architetto moderno deve essere «un combattente attivo nel campo della giustizia sociale» e deve «alimentare in sé il dubbio morale, la coscienza dell’ ingiustizia umana, un sentimento acuto di responsabilità collettiva ».

Ma il contesto nel quale praticare queste attitudini è quello tumultuoso delle trasformazioni urbane che, argomenta Settis, vanno in tre direzioni: la perdita nelle città di un senso del limite, per cui a centri storici e a periferie novecentesche si sommano espansioni non governate, sparpagliate in un territorio che non acquista nessuna dimensione urbana, pur sottraendo territorio alla campagna; i confini, però, dall’ esterno si trasferiscono all’ interno della città, perimetrando le zone del disagio e quelle dell’ agio; simbolo prorompente, infine, di una penetrante finanziarizzazione delle trasformazioni urbane sono, per Settis, i grattacieli che si sfidano reciprocamente in altezza in una accesa competizione ingaggiata fra città su scala globale.

È evidente quanto il richiamo alla responsabilità etica dell’ architetto sia una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire che città e paesaggi assicurino a tutti uguali diritti: accessibilità, qualità della vita, mobilità, spazi pubblici, servizi, salubrità Le trasformazioni urbane sono in grande misura sottoposte al negoziato fra autorità pubblica, da una parte, e proprietari di aree, investitori e immobiliaristi, dall’ altra.
Per cui il progetto d’ architettura si muove negli spazi dettati da una contrattazione in cui più raramente il pubblico assume posizioni di forza. Le incontrollate espansioni della città o anche certe rigenerazioni di luoghi dismessi e abbandonati sono frutto di calcoli economici o finanziari, prima che intraprese d’ architettura. Ma è anche vero che si trovano spesso architetti di fama disposti a offrire brillanti coperture professionali ad operazioni che mirano soprattutto al profitto privato. E che con un’ alzata di spalle replicano a chi fa loro notare che un’ ottima fattura progettuale e persino un’ efficiente resa ambientale ed energetica possono essere il decorativo belletto d’ una sfacciata speculazione. Quasi che la funzione di un architetto, concentrata sulla qualità dell’ edificio, non investa il chi, il dove, il perché e il per chi si costruisce e sia indifferente a quanto il singolo intervento sia frutto o meno di una corretta pianificazione urbanistica – la primaria garanzia che un’ architettura sia una buona architettura.

La questione etica può riguardare grandi interventi, ma anche trasformazioni di più modeste pretese – modeste, ma estese come dimensioni – nelle quali coinvolte non sono le archistar o presunte tali. Le lezioni di Settis sono rivolte a chi sta formando un repertorio culturale e tecnico, a chi si appresta a disegnare lo spazio in cui agisce la vita di tutti. Esse allargano lo sguardo su cos’ è un paesaggio, su quella che una lunga tradizione filosofica e letteraria chiama la “seconda natura”, sul rapporto fra cultura e natura, fra l’ edificato e il contesto naturale, sul patrimonio storico- artistico e archeologico. E soprattutto sugli obblighi che la nostra contrae con le future generazioni.

(*) Il libro recensito di Salvatore Settis, “Architettura e democrazia”, è pubblicato da Einaudi (pagg. 164, euro 12)

 

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