Alberto Vannucci, “Il caso Consip ci dice che è centrale la vendita di informazioni, sulle persone e sugli appalti”
In Italia la corruzione è cambiata, perché siamo passati dai partiti che controllavano tutto a tanti soggetti diversi. E questo porta ai facilitatori di cui si parla nell’inchiesta sulla Consip.
Perché per fare affari servono rapporti, come e più di prima, ma sono necessarie anche le informazioni”. Alberto Vannucci, docente di Scienza politica presso l’ Università di Pisa, è uno studioso della corruzione. Dal 2010 coordina un master universitario in “Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione”.
Cosa pensa del caso Consip?
Lasciando da parte l’ aspetto penale, la prima sensazione è che l’ Italia sia ancora il Paese del familismo amorale, per citare il sociologo Banfield. E che gli affari di un certo peso con la Pubblica amministrazione, se non hai i contatti giusti, sia davvero difficile farli.
I rapporti pesano in tutti i Paesi.
Vero. Ma la specificità italiana è il peso di queste relazioni, e di certi codici. Per dire, leggendo i giornali mi ha colpito un’ intercettazione in cui un imprenditore viene definito come “affidabile” perché ha trascorso 80 giorni in carcere senza aprire bocca.
Intervistato dal Corriere della Sera , l’ amministratore delegato di Consip Luigi Marroni geme: “Non siamo monaci tibetani, se ti chiedono un favore non è che ti metti subito a urlare e rovesci il tavolo”.
Affermare che non si è come monaci è puro buon senso. Ma il nodo è un altro, ossia che i protagonisti della vita pubblica delegano alla repressione.
La definizione di ciò che è accettabile si basa solo sul codice penale: ciò che non è reato, va bene.
Lo dice anche Marroni. Ma dov’ è il problema?
Esistono due linee, e la prima è quella stabilita dalle leggi.
Ma ce n’ è anche un’ altra, fatta di standard di comportamento che un funzionario dello Stato dovrebbe seguire.
Per esempio?
Se ti chiedono un favore dovresti alzarti e andartene. E in situazione dubbie dovresti valutare seriamente le dimissioni. Però questi standard da noi sono poco diffusi, ed è un’ altra anomalia italiana.
Qui in ballo c’ è anche il padre dell’ ex premier Renzi. E questo è certamente molto italiano: la famiglia che arriva ovunque.
Attorno a Matteo Renzi, che da questa inchiesta non è lambito, si muove molto potere. E lui ne è il centro, anche indirettamente. È inevitabile.
Appunto, il potere: corrompe e si fa corrompere oggi come ieri? È appena trascorso il 25° anniversario di Mani Pulite.
Nessuno può dire con certezza se la corruzione sia più o meno di prima. Di certo il fenomeno è cambiato.
Spieghi.
Ai tempi di Mani Pulite gestiva tutto il cartello dei partiti, ovunque, con i suoi parametri: chi non era considerato affidabile veniva allontanato.
E invece ora?
Siamo passati a tanti piccoli cartelli, come quello di Mafia Capitale e di Expo.
E come potrebbe essere quello di Consip.
Esatto. E non solo. Ormai sono sempre più importanti i facilitatori o i “prototipatori” (definizione coniata dall’ imprenditore Alfredo Romeo, ndr). Persone che gestiscono e offrono informazioni su persone e appalti, su quali funzionari avvicinare e su come formulare una determinata offerta per farsela accettare.
Informazioni preziose.
Sempre di più, perché con il tempo le tecniche investigative si sono raffinate. E allora bisogna trovare nuovi modi per aggirarle, puntando sulle soffiate e su alcune cautele.
Invece che con le mazzette di soldi, ora certe prestazioni si pagano con le consulenze.
I facilitatori abbondano.
Certo. Ma molti sono millantatori, perché non c’ è più il controllo dei partiti. Ci sono tanti centri di corruzione, tanti che si offrono, e tanta confusione.
Magari molti millantano anche nel caso Consip.
Possibile, certo. Però il nodo è che con le attuali norme si può fare poco. Se si dovesse arrivare a condanne per traffico di influenze, molti se la caverebbero con la prescrizione.
In Italia non si rischia.
I detenuti per i cosiddetti reati dei colletti bianchi sono un decimo della media europea.
Domina il senso d’ impunità. E se non si parte da questo.
Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2017