Islam: antropologia della convivenza 

10 Dicembre 2015

Massimo Marnetto

L’incontro con l’Imam Yahya Pallavicini e l’antropologa Amalia Signorelli su “Islam, antropologia della convivenza” è stato molto vivace e in alcuni passaggi ha mostrato persino la reale distanza tra la studiosa e il religioso.

Nell’introduzione, l’accento è andato sul pericoloso concetto su cui si fondano  tutte le religioni le religioni: la verità. Che non è relativa, ma assoluta perché rivelata. Questo approccio  ha condizionato  per secoli verità a dignità. Chi non aveva la mia stessa verità (religione) non poteva avere il mio stesso valore (dignità), quindi andava discriminato o persino ucciso.
Solo l’avvento della laicità illuminista ha affermato la dignità delle persone, prima della loro religione e anche per chi non ne ha alcuna. La nostra Costituzione su questo tema ha principi molto avanzati, perché riconosce ad ogni individuo il diritto di professare il proprio credo, assumendo però l’uguaglianza come principio assoluto, a cui devono riferirsi la pluralità delle fedi.
La professoressa Signorelli ha messo subito in guardia dall’ etnocentrismo, “che non solo pone la propria cultura come centro rispetto alle altre, ma così facendo adotta parametri di misura unilaterali (i propri) per classificare inferiori le altre.
“Questo approccio ce lo portiamo dietro dai greci che consideravano barbari, cioè letteralmente “balbuzienti”, tutti quelli che non parlavano il greco. L’etnocentrismo si supera solo con l’educazione alla diversità, cioè a non considerare inferiore – o peggio ancora, un pericolo – tutto ciò che non è conforme alle nostre abitudini. Ma questo atteggiamento culturale è possibile solo con una pedagogia appropriata e sempre nel rispetto dei diritti umani. Non solo a parole, ma nella quotidianità. Ciò che per esempio non accade nella parità di genere. Proclamata e non realizzata in occidente, ma persino negata ancora in vaste aree del pianeta. In questa disparità le religioni hanno la loro responsabilità e l’Islam appare quella più in ritardo.
L’Imam Pallavicini raccoglie la provocazione, ma gli preme subito stabilire la distanza tra Islam e terrorismo, partendo dall’analisi della paura diffusa, che tende invece a non coglierla.
“Dobbiamo avere paura solo di ciò che provoca dolore. E l’Islam predica la pace. Chi invoca l’Islam per uccidere, abusa della religione per usarla come pretesto per mere azioni di potere. I musulmani non hanno un papa. E questo pone ogni credente nel dovere di trovare la propria adesione sincera al corano, nella “jihad”, che vuol dire non guerra santa, ma personale lotta per il bene contro il male,
Dalla sala arrivano domande sui diritti e la democrazia e la loro compatibilità con l’Islam.
Pallavicini dichiara la diversità di approccio delle molte “scuole”, del pericolo dei predicatori-fai-da-te. Ma ricorda anche che da tempo  si è fatto portavoce di una proposta presso il Parlamento, affinché possano predicare in Italia solo gli imam provenienti da stati dove si riconoscono i basilari diritti umani e forme di democrazia.  “Non sarebbe la soluzione dei complessi temi di “intersezioni culturali” ancora aperti, ma sarebbe sicuramente un segnale forte di differenziazione dagli estremisti”.
Si fa fatica a finire l’incontro, perché domande e risposte si moltiplicano incuranti dell’orario, facendo emergere il bisogno di confrontarsi per poter rinforzare la conoscenza e la fiducia reciproca. La rivendicazione convinta del metodo scientifico della professoressa Signorelli ha creato più di un corto circuito con le posizioni dell’Imam Pallavicini, ma senza ma spezzare il filo del dialogo.
Laicità e Islam sono ancora lontani, ma devono incontrarsi, per contribuire ad ampliare una democrazia accogliente per ogni spiritualità, religiosa o atea.
Con meno paure e più diritti.
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