Questa guerra ci coinvolge tutti, noi che abbiamo ereditato dalla Francia i valori di fondo della libertà e della democrazia.
Dobbiamo abituarci dunque ad usarla di nuovo questa parola che ci è tanto estranea quanto odiosa? E’ questa una guerra mondiale?
La nostra vita può davvero cambiare, nel soffio di pochi terribili momenti, le nostre abitudini, l’elenco delle priorità e degli impegni quotidiani. L’11 dicembre non ci è servito da monito: andiamo a New York a visitare il luogo dell’attacco e la ricostruzione, ma come fosse un sito archeologico.
Se è guerra allora dobbiamo senza esitazioni sostenere la nascita di un comitato internazionale di difesa della democrazia contro l’integralismo islamico che distrugge i segni della cultura occidentale, le mura della nostra civiltà insieme ai corpi dei cittadini innocenti. Che insegna ai bambini e alle bambine ad uccidere e ad uccidersi.
Ma se è guerra allora bisogna che la politica cambi: basta davvero con le divisioni pretestuose, il disprezzo, il ridicolizzare il dissenso. Bisogna unire e unirci.
Se è guerra il governo italiano deve dar prova di averlo capito: si rafforzi il ministro del’Interno, quello degli Esteri e quello della Difesa. Chiediamoci e chiediamo a Papa Francesco se è davvero il momento di fare il Giubileo: non perché abbiamo paura, ma perché sicuramente introduce un ulteriore elemento di divisione e incomprensione fra i popoli della terra.
Se è una guerra, non possiamo trasformarla o partecipare alla trasformazione in una crociata.
Se è guerra, la destra italiana non deve poter pensare di approfittarne per guadagnare un pugno di voti: a che servono, quei voti (che tutti dicono sicuri…) se attorno c’è un cumulo di macerie e una civiltà da ricostruire?