E’ di pochi giorni orsono il dibattito aperto da questo giornale per confrontare diverse posizioni sulla legge che deve riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso: un’iniziativa tempestiva, rispetto non solo ai lavori parlamentari, ma anche agli obblighi che l’Italia ha assunto ratificando (1955) la Convenzione europea dei diritti umani. E’ proprio di ieri la sentenza della Corte europea che ha condannato l’Italia per la mancanza di una legge che dia forma legale alle coppie omosessuali e ne regoli i diritti e i doveri.
Quella mancanza – prima ancora che questo o quel suo contenuto – viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare protetto dalla Convenzione. La Corte ha indicato al governo italiano che una legge deve essere introdotta. La Corte ha ribadito ciò che ha già più volte affermato, che le coppie dello stesso sesso possono, come quelle di sesso diverso, entrare in una relazione stabile e responsabile e hanno la stessa necessità di riconoscimento legale e protezione della loro relazione.
Oltre al riconoscimento legale, importante in sé, esse devono veder garantiti i diritti essenziali e propri di una coppia stabile e responsabile. La Corte non ha indicato quali siano quei diritti essenziali, ma ha sottolineato l’importanza di un riconoscimento legale attraverso una legge apposita. Non è una novità, poiché già in una sentenza riguardante la situazione in Austria all’inizio degli anni 2000, la Corte aveva affermato il principio. Nel frattempo la situazione europea ha subito una univoca e rapida evoluzione, di cui la Corte ha tenuto conto, nel senso del riconoscimento da parte di molti Stati del matrimonio oppure delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
La Corte ha anche menzionato il risultato di un sondaggio di opinione condotto dall’Istituto Nazionale di Statistica e segnalato alla Corte dalla Associazione Radicale Certi Diritti, che, insieme ad altre organizzazioni, si è costituita nel giudizio per portare argomenti: dalla ricerca dell’Istat risulta la larga accettazione delle coppie omosessuali da parte dell’opinione pubblica italiana. E il governo italiano davanti alla Corte ha ammesso che il movimento dell’opinione pubblica va in quella direzione.
Il governo italiano ha sostenuto che la materia dovrebbe essere lasciata alla discrezionalità dei singoli Stati. Però la limitazione di un diritto deve fondarsi su ragionevoli motivi legittimi, che il governo non ha indicato. In particolare il governo ha negato che il motivo della perdurante assenza di una legge come quella richiesta, derivi dall’esigenza di difendere la famiglia tradizionale o la morale (ciò che avrebbe aperto la discussione sull’idoneità a restringere i diritti delle coppie dello stesso sesso). Il governo ha solo sostenuto che occorre tempo perché la nuova realtà familiare venga accettata e riconosciuta unanimemente dalla comunità nazionale. Ciò che ha condotto la Corte a costatare che non vi è un motivo valido per continuare a omettere una simile legislazione.
Se fin qui la sentenza della Corte europea non costituisce una novità, anche se per la prima volta riguarda specificamente l’Italia. Vi è però un profilo della motivazione adottata dalla Corte che è propria della situazione italiana. E non per il meglio. La Corte ha notato che da tempo la Corte costituzionale (sentenza n. 138 del 2010) ha indicato che una legge sulle unioni omosessuali è costituzionalmente necessaria. Conformemente si è espressa anche la Corte di cassazione. E già due anni orsono l’allora presidente della Corte costituzionale Franco Gallo, riferendosi proprio a quella sentenza, aveva sottolineato l’importanza per l’equilibrio costituzionale che il Parlamento desse sollecitamente seguito alle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale.
La Corte europea da parte sua ha notato che non è compatibile con un sistema come quello della Convenzione europea dei diritti umani, un atteggiamento che veda il governo e il parlamento ignorare le sentenze dei giudici, tanto più quando si tratta dei giudici che occupano la posizione più elevata. E’ in gioco la «preminenza del diritto», su cui la comunità degli Stati europei si fonda. Chi in Italia lamenta che troppo spesso l’Europa che compare è solo quella delle restrizioni economiche, dovrebbe, per coerenza, prendere sul serio la critica che alle abitudini italiane viene dalla Corte europea e dar mostra di credere che l’Europa ha le sue radici su un altro terreno.
La Stampa, 22 Luglio 2015