Caos o austerità? Accordo o default? Gli iscritti all’associazione giovanile di Syriza, l’elite del piccolo partito della sinistra radicale che conta complessivante appena 30mila iscritti su 2,2 milioni di voti incassati a gennaio, non hanno dubbi: caos e tenere duro contro le richieste di nuove misure di austerità. I giovani in Grecia sono disoccupati al 50%, il doppio delle media Ue, e dopo cinque anni di austerità che ha bruciato loro ogni aspettativa di migliorare la propria esistenza futura non hanno molto altro da perdere. Così sposano la linea dura, quella delle “linee rosse” invalicabili, certi che i creditori hanno molto più da perdere di quanto possa loro accadere.
Anche le migliaia di famiglie che sono finite sotto la soglia di povertà (si calcola il 30% della popolazione), o quelli che non non hanno più la corrente elettrica e devono vivere di carità della Chiesa ortodossa o assistenza laica di Medecin sans frontières non vogliono cedere: per loro tornare alla dracma o restare nell’euro non fa più nessuna differenza. Come pure paventare lo spettro dei controlli dei capitali, dato che di soldi non ne hanno e vivono della pensione dei nonni, praticamente l’unica forma di welfare a questa latitudini.
La Costituzione materiale dell’Europa, visto che quella reale non ha mai visto la luce poiché è stata affondata dai doppi referendum francese ed olandese del 2005, l’hanno provata sulla loro pelle dopo cinque anni di austerità. E ora non sono affatto disposti a cedere altra sovranità a Bruxelles che all’inizio della crisi nel 2010 diede prestiti ad Atene al 5% di interesse.
Dall’altra parte, invece, ci sono i resti della classe media, polverizzata dai tagli a stipendi e pensioni, dalla devastazione del servizio sanitario, dell’istruzione pubblica e della previdenza sociale. I greci, al 71% secondo i sondaggi, stanno con Tsipras ma vogliono restare nell’euro e nell’Europa. Una contraddizione? Forse, ma ad Atene da 2.500 anni, la chiamano democrazia.
Il Sole 24ore, 20 giugno 2015