Sono stato tanti anni maestro, mi piace raccontare storie. Ve ne racconterò due, una quasi contemporanea ed una molto antica, per cercare di spiegarvi il presente ed il futuro che ci aspetta, se non lo fermeremo.
Oggi siamo qui a festeggiare la Repubblica e la Costituzione, vorrei partire proprio da qui. Chi salì sui monti tanti anni fa, rischiando la propria vita, era gente ignorante che a scuola non c’era stata perché doveva lavorare nei campi o che dalla scuola era stata “dispersa” perché non aveva una famiglia ricca e colta alle spalle. Era una scuola dittatoriale, dove il Preside chiamava direttamente gli insegnanti, per primi quelli che si erano distinti in guerra, quelli abituati ad obbedir tacendo, la scuola che cacciava in galera i prof che non giuravano fedeltà al pensiero unico fascista. Ebbene quegli ignoranti, una volta liberata l’Italia, si dimostrarono estremamente sapienti e scrissero una carta costituzionale, forse la più bella del mondo, che alla scuola dedica articoli meravigliosi. Che dice che ci devono essere scuole statali e gratuite per tutti perchè tutti devono poter studiare e che tutti i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi. E proprio per questo la Repubblica ha il compito di rimuovere tutti gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza ed impediscono il pieno sviluppo della persona umana. E perché non si ripetessero mai più arbitri e pensiero unico, fu scritto che ogni assunzione deve essere “trasparente” ed imparziale” e che l’insegnamento deve essere libero, non come privilegio dell’insegnante, ma a garanzia dello studente, perché solo nel confronto delle libere opinioni c’è la possibilità di un apprendimento consapevole e non di un indottrinamento.
Dunque, per la nuova “Repubblica”, una scuola pubblica, inclusiva, gratuita,laica, pluralista, imparziale e trasparente; e adeguatamente sostenuta, , con l’obiettivo dichiarato di assicurare ad ogni giovane cittadino, da Sondrio a Mazzara del Vallo, le medesime opportunità per la propria formazione.
Questo era l’immaginario dei ragazzi che combatterono il nazifascismo: un progetto meraviglioso ed ambizioso che voleva chiudere per sempre con un passato terribile ed ignobile e disegnare un orizzonte pieno di diritti, eguaglianza e libertà.
Prima la scuola non era così e neanche dopo, per molti anni, fu ancora così. Quando ho iniziato ad andare a scuola io, molti miei compagni venivano subito bocciati e dispersi, il figlio del dottore avrebbe fatto il dottore e quello dell’operaio l’ operaio. La mia maestra unica quando facevamo gli asini minacciava di cacciarci nell’ultima aula in fondo a destra – terribile e misteriosa e con la porta sempre chiusa -: l’aula dei “mongoloidi”, la chiamava.
Per fortuna, mentre stavo crescendo, diventavano sempre più quelli che si mobilitavano perché quella scuola cattiva e classista cambiasse e si avvicinasse al dettato costituzionale.
Così fui poi tra i primi, per fortuna, a frequentare la scuola media unica obbligatoria che superava la distinzione istituita dal Fascismo tra la scuola media d’élite e scuola di avviamento professionale, destinata a coloro che non dovevano proseguire negli studi. E nel 1968 la scuola materna statale riconosceva finalmente alle mamme la possibilità di lavorare lasciando i piccoli in una scuola vera, pubblica, laica e non identitaria. E nel 1971 la scuola elementare a tempo pieno, con le compresenze, per lavorare in gruppo ed aiutare chi rimaneva indietro.
Nel 1974 un altro tassello fondamentale: a seguito di uno sciopero generale, a dimostrazione di quanto la scuola fosse considerata, diremmo oggi “un bene comune”, vengono istituiti gli “organi collegiali”: la società, i genitori entrano nei Consigli d’Istituto, il governo della scuola diventa democratico e partecipato.
E nel 1977 finisce finalmente la “segregazione” dei ragazzi disabili: non più separati, concentrati e nascosti come “una vergogna” in classi differenziali, ma fonte di ricchezza e crescita per i compagni. E una valutazione formativa si sostituisce ai giudizi numerici e “incatenatori” nei confronti degli alunni più piccoli.
Io ho avuto la fortuna di cominciare ad insegnare in quegli anni, in quel clima, in quella scuola, che ha saputo raggiungere nella sua punta più avanzata, le elementari, i primi posti nel mondo; le nostre scuole materne e il nostro modello d’integrazione venivano a “studiarcele” da ogni parte del mondo. Con classi con 25 alunni (20 e col sostegno in caso di certificazione), con la carta igienica e tanto di più fornito dallo Stato e non dal contributo volontario/obbligatorio dei genitori, con insegnanti specializzati per l’alfabetizzazione di chi viene da mondi lontani. Una scuola che faticosamente, ma progressivamente, stava avvicinandosi a quella disegnata dai padri costituenti.
Ma poi…
E così siamo arrivati alla seconda storia, quella antica, della guerra di Troia e del suo cavallo.
A partire dalla fine degli anni Novanta sono arrivati I Greci, ed è cominciato l’assedio.
Nel 2000, col primo governo di sinistra!, le “Norme per la parità scolastica” aggirano il dettato costituzionale del “senza oneri per lo stato”. Al ministero dell’Istruzione viene tolta la parola “pubblica”, primo forte segnale simbolico di quello che cominciava ad accadere. La politica scolastica passa nelle mani del Ministro delle Finanze e comincia la spoliazione, l’immiserimento, i tagli, i favori alle private. Dapprima coperti dalla Moratti con fantasiose costruzioni “d’antan”: il grembiulino, la maestra unica e il voto numerico; tagli poi disvelati in tutta la loro arroganza dalla Gelmini: 10 miliardi e 150.000 tra insegnanti e bidelli in meno, che hanno portato a classi sovraffollate ed insicure, integrazione e alfabetizzazione impoverite e risolte con l’invenzione di nuove sigle come BES: “Bisogni Educativi Speciali”, talmente speciali da poter essere risolti senza più sostegni ma con soli progetti di carta… E ancora tante, tantissime ore di insegnamento in meno in ogni ordine di scuola (sommandole tutte, pari a due anni di istruzione in meno).
E’ ancora tempo di grandi mobilitazioni, chi lavora nella scuola e chi manda i figli a scuola – ancora INSIEME, ancora una volta scuola in nome del “bene comune”- non ci stanno. Continuano a resistere, eroicamente, sulle mura di Troia, per dieci anni. Con anche a fianco il Pd con le sue falsissime promesse: aboliremo la riforma Gelmini, risorse al 6% del Pil, mai e poi mai la chiamata diretta, mai e poi mai la diminuzione degli organi collegiali e l’entrata dei privati ideata dall’ Aprea, e non cresceranno i favori alle private…
L’attacco si fa più raffinato, non avviene più solo dentro ma anche fuori dalla scuola, perchè l’esperienza ha insegnato che occorre separare la scuola dalla società, se no non si riesce a procedere. Così parte una poderosa campagna di delegittimazione degli insegnanti agli occhi della società: chi mai arriverà poi in soccorso di insegnanti dipinti come privilegiati, fannulloni, incapaci, che addirittura si fanno umiliare dai loro studenti su youtube?
Ecco, il terreno è pronto per posizionare il cavallo.
Perché i genitori che sono entrati a scuola negli ultimi anni non sanno cosa hanno perduto (tempo, ascolto, accoglienza); per loro la scuola è quella che c’è adesso: Invalsi, “oggettività”, e la foglia di fico dell’informatica. Una scuola che Renzi -nascondendone le vere cause e attribuendone la colpa agli insegnanti – ha gioco facile a definire “non funzionante” e dunque da rinnovare completamente.
Eccolo, allora, il bellissimo cavallo, il dono degli dei: “ Tre miliardi, il più grande investimento sulla scuola e 100.000 nuovi insegnanti”.
Fermiamoci un attimo a considerarlo dall’esterno, questo cavallo. Innanzitutto non si tratta di un “è” ma di un per: non 3 miliardi e 100.000 assunzioni, ma 3 miliardi per le assunzioni: dunque una sola cosa venduta due volte.
Anche un miliardo è venduto 3 volte, basta leggere la finanziaria: il “denaro fresco” è solo di un miliardo, il resto è una partita di giro, proviene da tagli usciti dalla porta della scuola e fatti rientrare dalla finestra: 2000 bidelli in meno, tagli ai Fondi d’istituto e dell’autonomia, bidelli e applicati non sostituiti in caso di malattia, etc.; senza contare ben 1200 milioni che arrivano dal blocco contrattuale degli insegnanti prorogato, dal 2009 al 2018 (per ora). Senza contare il miliardo di euro mai più restituiti alle scuole che avevano anticipato con i contributi volontari dei genitori spese spettanti allo Stato.
Ma per smontare lo spot basta un dato per tutti: questo governo che urla “riprendiamo ad investire sulla scuola!” è lo stesso che abbasserà in 5 anni la spesa per l’ istruzione, portandola dal 3,7 al 3,5 del PIL spedendoci definitivamente all’ultimo posto nella classifica europea (si consulti il Def).
E i 100.00 insegnanti sono solo un terzo di quelli che la sentenza Ue imporrebbe di assumere, solo un terzo di quelli che servirebbero davvero per eliminare la “supplentite”, le classi pollaio, aumentare il tempo pieno, combattere la dispersione scolastica, e tutti gli altri effetti speciali propagandati dal premier; anche in questo caso lo stesso tappeto venduto per coprire tante, troppe cose.
Ma fondamentale è capire cosa il cavallo nasconde in pancia, cosa vuol portare dentro le mura sotto un’apparenza così compassionevole: e cioè i guerrieri e le armi per la residua “distruzione” del progetto fondativo di una scuola di tutti e per tutti.
Non sarà roba di una notte come per Troia, ma l’ancora costituzionale sarà levata e la barca veleggerà, vento in poppa, verso una nuova terra promessa dove edificare, su nuove fondamenta e le 13 deleghe in bianco di questo Ddl, un sistema simile a quello statunitense: scuole private per chi potrà permettersele, poche scuole pubbliche d’eccellenza nei quartieri bene delle città, tante scuole pubbliche senza speranza nelle periferie povere. Nelle prime – finanziate dai privati, libere da lacci e lacciuoli, con la selezione degli insegnanti migliori e fedeli alle caratterizzazioni ideologiche proprie di ognuna di quelle scuole – verranno formate le classi dirigenti. Contrapposte ed attentamente separate dalla stragrande maggioranza delle altre scuole, con gli insegnanti attribuiti “d’ufficio” perché non chiamati da nessuno (perché scarsi, o magari perché troppo sindacalizzati, o con la 104, o gay, o…). Dove non si perda tempo a formare coscienza critica, cittadinanza, alta specialità – ritenuti costi non più “sostenibili” né necessari- ma si formi rapidamente una forza lavoro, flessibile e disponibile, a basso costo.
Renzi da otto mesi non si capacita che noi insegnanti non riusciamo a capire, che abbiamo fatto lo sciopero più grande di tutti i tempi…
Nelle piazze non ci avete sentito urlare per chiedere qualche soldo in più per i nostri miseri stipendi…, ma per qualcosa di molto più grande ed importante che riguarda tutti, che riguarda tutta la società.
Noi questo disegno di legge lo abbiamo studiato e abbiamo capito benissimo il ricatto che nasconde in pancia: le assunzioni se e solo “in cambio” della fine del nostro ruolo di promozione sociale, della nostra libertà, della nostra autonomia, della “sovranità” nostra e dei genitori.
Abbiamo capito che con le detrazioni per le rette estese addirittura alle superiori, a quelli che spesso sono solo diplomifici per ricchi che non hanno voglia di studiare – vengono aggiunti indirettamente altri 137 milioni di contributi al miliardo di cui le scuole paritarie già usufruiscono oggi. Mentre le scuole pubbliche sono costrette a chiedere alle famiglie sempre maggiori contributi “volontari”, le risme, la carta igienica…
Abbiamo capito che con il 5 per mille concesso alla propria scuola, assecondando le diverse capacità contributive tra zona e zona, aumenteranno le differenze già oggi inaccettabili tra scuola e scuola. Che con lo “school bonus” un qualsiasi soggetto privato, sia esso la “Compagnia delle Opere” o un imprenditore “padano”, potrà finanziare e condizionare la “sua” scuola. Per di più il 65% del suo “contributo” verrà defiscalizzato a spese anche di tutti coloro che magari quelle scuole “di tendenza o di parte” non condividono; quel 65% defiscalizzato al privato sarà sottratto ancora una volta alla scuola di tutti, o alla sanità, o ai servizi e non certo alle spese militari.
I privati, come vediamo dagli esempi che già oggi abbiamo – dai bollini che raccogliamo nelle catene alimentari per avere una stampante a fronte di decine di migliaia di euro di acquisti fino alla pubblicità di polli sul libretto delle assenze – non sono benefattori, hanno bisogno di un “ritorno”. Ed invece la scuola deve essere costituzionalmente tenuta libera dalla necessità di dare/offrire “ritorni”, di fare “scambi”. Abbiamo intuito quello che sarà scritto con chiarezza fra non molto: al prossimo giro (o con una delle deleghe in bianco) questi “benefattori” entreranno a far parte del “consiglio di amministrazione” della scuola.
Abbiamo capito che se saremo chiamati e poi, dopo 36 mesi riconfermati o meno sulla base delle nostre capacità ma anche -e potrebbe diventare “soprattutto”- sulla base della fedeltà al “capo” d’Istituto, al contesto, agli obiettivi dei “benefattori”, la nostra libertà di insegnamento e la libertà di apprendimento per i nostri ragazzi sarà pesantemente condizionata che finiremmo con l’avere pesanti remore ad esprimerci liberamente, che tenderemmo a non esporci, a piegarci al contesto parlando in un certo modo piuttosto che in un altro degli immigrati o delle foibe o di Marzabotto, a privilegiare la Bibbia all’australopiteco o viceversa, a non protestare neppure più verso una didattica per crocette che svilisce noi e i nostri ragazzi.
Abbiamo capito bene che la “sovranità” democratica e diffusa passerà di mano per adeguarsi, art.2 del ddl, agli “indirizzi e alle scelte definiti dal dirigente scolastico”.
In questo Ddl – ispirato e scritto da consulenti d’azienda – non c’è neppure una delle parole che dovrebbero essere centrali in una riforma scolastica. Non ci sono parole di pedagogia e didattica, ma solo tante attribuibili al “mercato”: finanziamenti, privati, competizione, organizzazione aziendale, catena di comando, staff, selezione e controllo del personale, “incentivi di produttività”, peraltro miseri e destinati al solo 5% di meritevoli con il 95% di immeritevoli per definizione…
L’ Italia è al penultimo posto in Europa per quanto dà alla scuola, dietro a Paesi ben più poveri del nostro; e se ci riescono loro, perché noi no? Se solo ci fossero date le risorse necessarie, neppure un euro in più della media europea, si vedrebbe che scuola coi fiocchi, saremmo in grado di realizzare…. per tutti e per ciascuno.
Invece le intenzioni sono ben altre, la posta in gioco drammatica, e non riguarda solo chi nella scuola ci lavora, ma l’intero Paese e la sua tenuta democratica. Proprio per questo avremmo un gran bisogno di non essere lasciati soli sulle mura di Troia.
Dove sono i pedagogisti, i filosofi, i letterati, gli scrittori, gli storici, i sociologi?
Oggi 2 giugno, festa della repubblica e della Costituzione, rivolgo al loro assordante silenzio, la stessa domanda che Renzi pone a noi: “Possibile che non capiate?”.
La Buona scuola, la scuola buona è quella della Costituzione, quella così faticosamente conquistata, quella che ancora oggi esiste e resiste. Quella che vuole imporci Renzi è cattiva, cattivissima; un ulteriore passo verso l’ingiustizia.