Il Ddl 1345, che introduce norme per i delitti contro l’ambiente nel codice penale, è diventato legge. Il testo, sbandierato come un grande successo da diversi partiti e da alcuni associazioni ambientaliste, ha subito vari emendamenti e modifiche, e nella sua formulazione risulta talmente ambiguo da rappresentare de facto un condono ai grandi inquinatori attuali e potenziali.
Esso mette a rischio i processi per disastro ambientale, in corso e futuri, escludendo la possibilità per la magistratura di avviare nuove indagini sui delitti ambientali e di rimettere in discussione impianti inquinanti dotati di autorizzazioni ad operare o produrre.
Come? Attraverso l’inserimento dell’avverbio “abusivamente”, che, nell’articolo 452, sancisce il principio che un disastro ambientale è tale solo se “cagionato abusivamente”.
Ovvero l’art. 452 dice che chiunque “abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni, costituendo disastro ambientale l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.
Un reato ambientale, secondo la norma, sarà tale solo se sarà stato compiuto al di fuori delle norme. Ma nel caso in cui uno stabilimento industriale, una discarica o altro soggetto inquinante fossero provvisti di un’autorizzazione a produrre e a funzionare, non sarebbero abusivi e non potrebbero essere giudicati per disastro ambientale.
La legge mette a rischio il processo Ilva “Ambiente Svenduto” e rappresenta un’àncora di salvataggio per i grandi inquinatori e per le lobbies di attività industriali potenzialmente inquinanti. Poiché l’Ilva produce inquinando (lo dice il GIP Todisco del Tribunale di Taranto e fa eco la Commissione Europea), ma produce con una regolare autorizzazione ambientale. L’Ilva non rispetta, secondo il GIP e secondo la Commissione, i dettami contenuti in tale autorizzazione ma una volta approvata questa legge, essa non potrebbe mai più essere sanzionata poiché il suo inquinamento non sarebbe abusivo. Non importa che non si rispetti l’autorizzazione, l’importante è che l’autorizzazione esista.
Con l’approvazione del Ddl 1345, la salute dei cittadini e l’ambiente passano in secondo piano rispetto ai diritti garantiti agli inquinatori, protetti da autorizzazioni e quindi non abusivi. L’esistenza del delitto ambientale dipenderà, infatti, esclusivamente dalla concessione autorizzativa di tipo amministrativo. Tutto qui.
Il Ddl 1345, promosso da quasi tutti i partiti e con particolare slancio dal Partito Democratico, dal Movimento 5 Stelle e da SEL, rappresenta uno scudo di impunità eccezionale in quanto sarà molto difficile immaginare impianti che funzionino senza una seppur minima (anche se inosservata) autorizzazione amministrativa.
L’Ilva sarà protetta dalla sua AIA, modificata, non rispettata, ancora non completata e molto lontana da un minimo di realizzazione effettiva. Un’AIA che è stata ulteriormente depotenziata dalla nuova legge pro-Ilva del 5 gennaio 2015, ma che sarà molto efficace nel proteggere lo stabilimento e i quadri dirigenziali, quali che siano le azioni che verranno compiute a discapito di cittadini, operai e ambiente.
Contro questa legge si sono espressi in pochi.
“Vox clamantis in deserto”. Con Peacelink, il co-portavoce dei Verdi Angelo Bonelli ed il magistrato Gianfranco Amendola, figura autorevole del diritto ambientale italiano, il quale ha sottolineato che, per decretare un disastro ambientale, tutto dipenderà adesso dalla presenza o dalla mancanza di un’autorizzazione.
Ovvero, “punire solo chi cagiona “abusivamente” un disastro ambientale o un inquinamento rilevante, significherebbe, cioè, a contrario, accettare che possa essere lecito o, addirittura, autorizzato un disastro ambientale (con morti, devastazioni ecc.). Purché non sia “abusivo””. Ma un’autorizzazione amministrativa può mai rendere lecita una condotta che sia suscettibile di portare ad un disastro ambientale?
Si sarebbe dovuto pertanto cancellare l’avverbio “abusivamente” scrivendo “chiunque cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione”, che in caso di ipotesi colposa di disastro ambientale ha una pena massima che tuttavia non supera i 5 anni di reclusione.
Gianfranco Amendola ha scritto che: “Avremo, così, unico Paese al mondo, il delitto di disastro ambientale ‘abusivo’ e cioè un disastro che può essere punito solo se commesso “abusivamente”. Altrimenti, il fatto non sussiste e l’imputato può essere assolto. È evidente, infatti, che punire solo chi cagiona abusivamente un disastro o un delitto di inquinamento rilevante, significa accettare che possa essere lecito o, addirittura, autorizzato un disastro ambientale (con morti, devastazioni ecc.), che non sia però abusivo”. Ma esistono reati ambientali non abusivi?
Oltre al disastro ambientale abusivo questa legge ha un altro punto molto debole, in quanto recita che per essere considerato tale, il disastro ambientale deve poter essere definito come “alterazione irreversibile dell’ecosistema”, senza che i concetti di “compromissione” e di “deterioramento” dell’ambiente stesso siano ulteriormente definiti, lasciando così ampi margini d’interpretazione.
L’astrazione della definizione di reato ambientale e il lavoro di ricognizione scientifica che il testo chiama in causa fanno presupporre che il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo lunghi anni di studio e di ricerca, visto che per dichiarare “irreversibile” un danno ambientale, si dovrebbe aver già provato a ripristinare la situazione antecedente all’inquinamento, attraverso una serie di tentativi di bonifica e di decontaminazione.
Come si misura il danno irreversibile secondo la norma? E perché ci deve essere uno sconto della pena importante per ravvedimento operoso?
La legge approvata il 19 maggio rappresenta una norma di salvataggio per chi ha inquinato, causato malattia e morte come a Taranto (lo dicono le perizie del Tribunale) e per chi continuerà a farlo, a Taranto come altrove.
Ma come è possibile che il Parlamento voti una norma che permette l’utilizzo degli “air-gun” (esplosioni per ispezioni petrolifere in mare)?
“Neanche una virgola” era la frase che troneggiava in conferenze stampa, tweets e foto di rappresentanti di diversi partiti, felici di contribuire al successo di una legge che si piega ai diktat di grandi lobbies di attività inquinanti e che cancella ogni baluardo di protezione dei nostri mari. Con il beneplacito di Pd, M5S, Legambiente e di altri ambientalisti da salotto.
Adesso abbiamo capito. “Neanche una virgola” voleva dire che non si dovevano accogliere le proposte di Peacelink e dei Verdi, e che gli emendamenti migliorativi dovevano rimanere in un cassetto.
Adesso tutto è permesso, l’Ilva può finalmente inquinare senza preoccuparsi più di nulla.
Micro-Mega, Maggio 2015