Quando un ministro della cultura invoca pubblicamente la separazione tra etica e politica forse è il caso di cominciare a preoccuparsi.
Oggi Dario Franceschini ha rotto il silenzio politico che ha lodevolmente scelto da quando ha il peso del nostro patrimonio culturale. Lo ha fatto per giustificare la decisione di porre la fiducia sull’Italicum: invocare la libertà di coscienza (o di mandato: art. 67 della Costituzione) sarebbe «Assolutamente sbagliato. Ma come si fa a non vedere che la legge elettorale è il tema più politico del mondo? Non parliamo mica di problemi etici!».
Ora, appena ieri Eugenio Scalfari ha scritto che «Renzi sta smontando la democrazia parlamentare col rischio di trasformarla in democrazia autoritaria. Forse non ne è consapevole, è possibile, ma quella è la strada che sta battendo e sia la legge elettorale sia la riforma costituzionale del Senato rendono quel pericolo ancora più concreto». Si potrà non esser d’accordo (io, invece, lo sono al cento per cento), ma come non vedere che se la posta in gioco è questa, il problema è radicalmente etico?
Ma la spia più interessante del discorso di Franceschini è l’opposizione aperta ed esplicita tra problemi ‘politici’ e problemi ‘etici’. A me pare che una simile scissione – teorizzata e praticata – tra etica e politica rappresenti la vera antipolitica: ed è proprio a causa di questa deriva che in Italia vota ormai meno della metà dei cittadini.
Nelle scorse settimane questo violento divorzio si è celebrato pubblicamente nell’aula del Consiglio regionale toscano. Qui il Pd ha insultato l’assessore Anna Marson – una tecnica prestata al governo della regione –, rea di aver combattuto strenuamente per l’approvazione del Piano del Paesaggio, una conquista di civiltà per la quale i toscani del futuro le saranno grati. I consiglieri del Pd hanno tacciato la Marson di «stupidità politica», trivializzando un’infelice uscita del presidente Enrico Rossi, che aveva definito l’assessore «un grande tecnico… che quando esprime giudizi politici compie scivoloni pericolosi». Nel suo bellissimo discorso finale, la Marson ha rivendicato con forza: «invece il mio agire “diversamente politico”, in quanto non guidato dal desiderio di mantenere un incarico di assessore, né dall’obbligo di restituire favori e accontentare interessi specifici». Questa è la vera politica, quella che rimane saldamente ancorata all’etica, e proprio per questo riesce a fare l’interesse generale. Ma alle prossime elezioni, tra un mese, nessun partito ricandiderà Anna Marson.
E quanti parlamentari del Pd riconosceranno che, con buona pace di Dario Franceschini, la legge elettorale è proprio un grande tema etico, che riguarda la stessa sopravvivenza della democrazia in Italia?
articolo9.blogautore.repubblica.it, 27 aprile 2015