ROMA Il tempo dei veti è finito. La legge elettorale non cambierà e il vicesegretario del Partito democratico, Lorenzo Guerini, è convinto che alla fine anche gran parte dei bersaniani si turerà il naso e voterà l’Italicum.
Solo per disciplina di partito?
«Stiamo parlando di lealtà, che è una cosa ben diversa».
Metterete la fiducia?
«Questione prematura. Il ministro Boschi ha detto con chiarezza che la fiducia è l’estrema ratio».
Senza Berlusconi la maggioranza si è ristretta e Renzi sembra pronto ad assumersi dei rischi in aula.
«L’Italicum è stato votato in Senato da tutta la maggioranza e anche da Forza Italia. Voglio vedere quante forze in Parlamento si sottrarranno e mi piacerebbe capire su quali basi Forza Italia ha cambiato giudizi, nel passaggio tra Palazzo Madama e Montecitorio».
Ma i numeri, li avete? Dice Brunetta che un centinaio di deputati del Pd non voterà.
«Brunetta si occupi dei suoi dissidenti. Lezioni di compattezza da un esponente di Forza Italia non ne prendiamo».
Quanti kamikaze prevede?
«Ci ascolteremo reciprocamente domani sera nella riunione del gruppo, poi si vedrà. Non credo ci siano tanti deputati del Pd disposti a non dare seguito in aula alle decisioni prese dal gruppo, altrimenti viene meno uno dei principi che regola la vita di un gruppo. Ripeto, parliamo di lealtà e non di disciplina».
Bersani è stato leale, ma l‘Italicum non lo vota.
«È sbagliato porre la questione in termini ultimativi, mentre è giusto considerare il percorso fatto fin qui. L’impianto originario dell’Italicum è stato modificato in più punti sostanziali, anche come esito del confronto con la minoranza. Ora siamo in condizioni di chiudere. E continuare a spostare l’asticella chiedendo modifiche rischia di procrastinare la conclusione del percorso».
Avanti, anche senza la minoranza?
«Dopo diverse sedute e pronunciamenti della direzione del Pd ci si confronterà nell’assemblea del gruppo. Il segretario darà le sue indicazioni e, dopo il dibattito, si voterà. Io mi auguro un consenso ampio, perché le decisioni assunte assieme si rispettano. Dopodiché, si andrà in aula».
Sarà difficile evitare lo strappo dei deputati della minoranza che hanno firmato il documento del capogruppo Speranza.
«Queste ore servono per ragionare. Poi vale il principio per cui non è ammissibile che vi sia un potere di veto che blocca i processi decisionali».
La rottura è nel conto?
«Spero che l’assemblea sia utile a trovare un consenso ampio, è molto importante il tono della discussione».
Il tono dipende da Renzi…
«Dipende da tutti. Se non si tiene conto del lavoro che abbiamo alle spalle si omette una valutazione politica importante, perché la maggioranza si è aperta a molte posizioni della minoranza».
Chiederete le dimissioni di Bersani dalla commissione Affari costituzionali?
«Non mi addentrerei in ragionamenti ipotetici».
Speranza è il leader di Area riformista, il suo ruolo di capogruppo è in discussione?
«Per quanto mi riguarda, no».
E la scissione, è nell’aria?
«Io sto al merito della questione e non immagino che su una legge elettorale che serve al Paese e garantisce governabilità ci possano essere discussioni incomprensibili per i nostri elettori. Domenica ero in Emilia e l’appello dei militanti è “state uniti”. Sono stufi di leggere sui giornali delle nostre divisioni, che rischiano di compromettere il lavoro che si sta facendo».
Civati in Liguria sosterrà Pastorino e non la Paita.
«È sbagliato produrre sperimentazioni o laboratori in qualche elezione regionale. Al centro vanno messi i territori e non la costruzione di alchimie politiche».
C’è una questione morale nel Pd?
«Dove ci sono comportamenti scorretti vanno sanzionati pesantemente, incoraggiando l’opera della magistratura. Ma contesto la lettura negativa che qualcuno sta dando del Pd nei territori».
Ercolano, Enna, Agrigento… Non è un bello spettacolo.
«Su Ercolano la segreteria nazionale interverrà in modo molto chiaro e nelle prossime ore la questione sarà risolta. Però io giro l’Italia e possono dire che il tessuto del Pd è sano. Abbiamo 6052 circoli, fatti di persone per bene».
Il Corriere della Sera, 14 aprile 2015