Non «scissione», ma «diaspora»: così la definisce Pippo Civati. Luca Pastorino, il suo braccio destro, il deputato che con lui ha votato no al Jobs Act, esce dal Pd e si candida alla presidenza della Liguria contro il Pd di Raffaela Paita e Claudio Burlando.
E Civati che fa?
«Rimane nel Pd».
Suona un po strano: il politico più vicino a Civati esce dal partito e si candida contro quel partito che è anche di Civati.
«Luca ha posto un problema che rispecchia un disagio che vado segnalando da tempo, ma che è rimasto inascoltato. Comprendo bene il suo gesto e le sue ragioni. In Liguria è successo qualcosa che ha costretto addirittura Sergio Cofferati a lasciare il Pd. E un problema locale che si somma a quello nazionale. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso».
Sta dicendo che per ora la considera una scissione locale?
«Sto dicendo che è una diaspora, più che una scissione, un progressivo allontanamento di iscritti, elettori, tra cui molti miei sostenitori, come i centinaia di siciliani che hanno detto addio al Pd, o come il consigliere comunale di Pisa Stefano Landucci. Sta emergendo con forza quel problema che io da tempo rappresento all’interno del Pd. Non è una scissione di gruppi dirigenti: piuttosto è una scissione personale e collettiva che si manifesta in modi diversi. Matteo Renzi non ha mai fatto nulla per ridurre questo divario, anzi ha solo e sempre fatto delle caricature».
Intanto a Venezia le primarie del Pd le ha vinte Felice Casson.
«Casson ha vinto contro gli apparati del Pd. E la dimostrazione che io non ho sciolto il centrosinistra, ma vorrei ricostruirlo. Da una parte, però, c’è Casson, dall’altra Pastorino, lo so
»
Cosa sceglie?
«Con Pastorino ho vissuto la vicenda ligure e tante altre con molta sofferenza. Ma mi piacerebbe vedere il centrosinistra rappresentato dal centrosinistra e non da Maurizio Lupi o da un governo che si allea con la destra e imbarca chiunque passi. A Bologna ho detto che non mi ricandiderei di nuovo con il Pd, se si andasse a votare oggi».
Non le pare contraddittorio restare nel Pd a questo punto?
«Vivo queste contraddizioni sulla mia persona. Dicono che sono indeciso ma non è così: mi dispiace vedere la sinistra divisa. E l’atteggiamento di chi si concede l’estremo tentativo di credere ancora nel progetto Pd».
Fino a quando ci crederà?
«Non c’è un quando, perché non sto costruendo un nuovo soggetto politico: diciamo finché credo di poter riportare alla ragione chi dentro il Pd la pensa come me, ma poi vota sempre sì alle riforme di Renzi. Io rimango a combattere fino all’ultimo, segnalo però che elettori, dirigenti locali e iscritti non sono tenuti a fare lo stesso. Temo che sia un processo inarrestabile che spinge molti dei nostri a essere attratti da soluzioni più radicali tipo Landini».
Maurizio Landini potrebbe essere la sintesi di una sinistra sempre troppo frammentata e litigiosa?
«Io ho sempre collaborato con Sel e con quella che Landini chiama coalizione sociale. Il problema sarà dare una rappresentazione politica a questa coalizione. Ma aspettiamo prima di vedere di che si tratta».
La Stampa