Tutti gli uomini che non vogliono fare il Presidente. C’è una regola non scritta, ricordata qualche giorno fa a Otto e mezzo dal giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese (anche lui in lizza per il Colle, anche se poco chiacchierato in questi giorni), che viene continuamente infranta: le cariche pubbliche non si sollecitano né si rifiutano. Perché in queste ore di sfibrante Toto-Quirinale, che si dilungherà fino al 29 gennaio, in tanti si sono sfilati dalla corsa per il Colle. Tirati per la giacca chi da un lato chi dall’altro, nomi forti del mondo politico e della cultura non vogliono vedere il loro nome nel pallottoliere dei partiti.
Difficile dire il perché di tanta fretta nel chiamarsi fuori dai giochi: scaramanzia, reale disinteresse oppure il celato desiderio di non veder “bruciato” il proprio nome. Si vuole forse evitare la debacle del 2013, quando nomi come quelli di Prodi e Marini furono sacrificati sull’altare dei 101. Con un pesantissimo strascico politico (chiedere a Pierluigi Bersani).
Eccoli quindi che si affrettano a chiarire: “Io Presidente? No, grazie”. Romano Prodi è l’ultimo in ordine di tempo a dire, anzi a ribadire, che lui alla carica di Capo dello Stato proprio non aspira: “Ho già fatto le mie dichiarazioni. Sto passando una fase molto interessante e creativa della mia vita, non voglio più essere in mezzo a queste tensioni e a questi problemi”, ha detto, memore della scottatura di quasi due anni fa. E lo stesso ha fatto Franco Marini, intercettato prima di prendere parte alla Direzione del Pd: “Io dopo il 2013 ne sono fuori”, taglia corto. “Di nomi ne balleranno ancora diversi. Però ti do un consiglio – dice a un cronista – di aspettare. Quando mancheranno 4 o 5 giorni si comincerà a ragionare. Oggi ci aspettiamo di sentire solo i criteri”.
Anche Dario Fo, quella carica, non la desidera: “No. Perché dovrei rovinarmi gli ultimi anni della mia vita?”, ha detto a Un Giorno da Pecora. Un netto rifiuto arriva poi dal Governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi: “E’ un grande onore essere preso in considerazione, ma non è il mio lavoro. E’ importante il lavoro che sto svolgendo adesso, ne sono contento e continuerò a svolgerlo”. A dargli manforte è l’ad di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne: “Lui al Quirinale? Mah, Mario dice di non volerci andare”.
C’è poi il nome di Gino Strada, già in lizza nel 2013 grazie al Movimento 5 Stelle. E non è da escludere che i grillini ci riprovino anche stavolta. Ma sua figlia prova a sgombrare il campo dalle illusioni: “Mio padre presidente della Repubblica? Lasciamolo fare il medico, lui è contento così”. Due anni fa fu lui stesso a tirarsi fuori: “Preferisco continuare con Emergency”, scrisse in una nota, una volta saputo della sua candidatura. Più sibillino, invece, Stefano Rodotà, altro nome papabile per il Movimento 5 Stelle: “Lasciatemi stare, non chiedete niente”, ha detto a margine di un convegno a Napoli. “Di questo non se ne parla”.
Nessuna intenzione di succedere a Giorgio Napolitano nemmeno per il maestro Riccardo Muti. Il direttore d’orchestra ha già avuto modo di esprimere il suo punto di vista: “Ma perché non mi fate continuare a dirigere che mi piace tanto? Ognuno deve fare il suo mestiere”, ha detto un po’ di tempo fa. E c’è poi l’ex segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, la cui candidatura è stata lanciata da Giuliano Ferrara dalle colonne del Foglio: “Io candidato al Colle? Continuate a favoleggiare. Finché si arriva sotto alla votazione, si fa così. Lo capisco”.
E’ quasi un fuggi-fuggi dalla carica istituzionale più prestigiosa. Eppure resta la regola non scritta: “Le cariche pubbliche non si sollecitano né si rifiutano”. Parola di Cassese.