Quando l’autosospensione dei tredici senatori che protestavano per la rimozione di Corradino Mineo dalla commissione Affari istituzionali era rientrata, per Matteo Renzi sembrava essere passata la tempesta. Incassato – o quasi – l’appoggio di Forza Italia sulla riforma del Senato, quello della Lega sulla riforma del Titolo V, anche il “fronte interno” sembrava al riparo dalle intemperie che lo avevano scosso negli ultimi giorni.
Ma l’area democratica – che trova in Pippo Civati e in Vannino Chiti i propri punti di riferimento – che considera il testo di Maria Elena Boschi irricevibile cova la brace sotto la polvere. Ne sono un esempio le parole di Felice Casson, intervenuto a L’aria che tira su La7: “Io in Aula questa riforma non la voterei”.
Una chiusura secca, che ha una motivazione specifica: “Non la voterei perché la questione dell’elettività non è stata superata. Noi siamo convinti che bisogna dare la parola ai cittadini, che devono votare tutti i parlamentari. Abbiamo visto i nefasti effetti del Porcellum, e non si capisce perché bisogna rimanere su quel piano, con eletti di secondo o di terzo livello”.
Gli uomini del Nazareno si presenteranno nell’emiciclo di Palazzo Madama tutt’altro che compatti. Una situazione che a Palazzo Chigi viene monitorata con molta attenzione, e che si mira ad anestetizzare con le maggioranze variabili da costruirsi con gli azzurri e con gli uomini del Carroccio. Non è un caso che la Boschi oggi abbia fissato dei paletti molto precisi in vista dell’incontro con il Movimento 5 stelle in calendario per mercoledì prossimo: “Nessuna modifica se Forza Italia non è d’accordo”. Più che un attestato di stima nei confronti di Berlusconi, un’assicurazione di sopravvivenza della propria riforma. La quale, così com’è, sarà priva dei voti di una manciata di uomini del Pd.