Far tesoro della Costituzione per combattere l’illegalità

05 Giugno 2014

Il discorso di Alberto Vannucci a Modena. “Oggi siamo qui per un’Italia libera e onesta, e sottolineo onesta. Perché senza onestà non c’è vera libertà, se non c’è onestà a decidere i destini di questo paese saranno oggi come ieri le oligarchie criminali delle cupole, delle cricche, dei comitati d’affari”. L’intervento di Elisabetta Rubini . L’intervento di Gaetano Azzariti

vannucciOggi siamo qui per un’Italia libera e onesta, e sottolineo onesta. Perché senza onestà non c’è vera libertà, se non c’è onestà a decidere i destini di questo paese saranno oggi come ieri le oligarchie criminali delle cupole, delle cricche, dei comitati d’affari. Non c’è libertà dove mafie e corruzione la fanno da padrona, perché quello dei poteri occulti e corrotti è un potere invisibile – come ci insegnò Norberto Bobbio – un potere opaco e irresponsabile, sciolto da ogni controllo, profondamente antidemocratico. Quali libertà esistono in un paese dove nelle decisioni pubbliche che contano dominano le piccole dittature dei corrotti e dei clan mafiosi, un paese dove – sono le parole recenti di un boss del clan dei casalesi – “c’erano soldi per tutti in un sistema completamente corrotto”, e “non faceva alcuna differenza il colore politico del sindaco, perchè il sistema operava allo stesso modo”. Pochi giorni fa un imprenditore della cupola dell’Expo – siamo a Milano, non a Casal di Principe – ha parlato lo stesso linguaggio: “Il sistema in Italia è marcio, io mi sono adeguato perché se non fai così non lavori. Il sistema tangenti è sistematico nei grandi lavori. Lì se vuoi entrare devi pagare”.
In Italia ogni anno lo Stato spende 250 miliardi di contratti pubblici, e se si paga una tangente – quasi sempre, a giudizio di chi se ne intende – i costi aumentano del 40 per cento, a volte raddoppiano, in qualche caso lievitano fino a sei volte, come nel caso delle linee ad alta velocità: in un’Italia più onesta basterebbe prosciugare l’immensa rendita della corruzione per diventare un po’ più liberi. Sarebbe sufficiente una spending-review sulle decine di miliardi di euro di costo delle tangenti per scongiurare i tagli che da decenni pesano su istruzione, sanità, università, ricerca, cultura, diritti sociali.
Eppure una democrazia sana avrebbe in sé gli anticorpi per isolare e liberarsi dei corrotti e dei disonesti, per quanto potenti siano, però perché questo accada occorrono partiti politici e cittadini degni di questo nome, c’è bisogno di una società attiva e responsabile. La lezione di un grande pensatore liberale dell’800, Tocqueville, è che la democrazia si trova in pericolo quando la coscienza pubblica viene inquinata dalla sensazione che siano proprio immoralità e corruzione le qualità che portano al successo, quando si diffonde l’idea che la disonestà sia la chiave che apre le porte all’ascesa nei partiti, nelle imprese, nella burocrazia, nelle professioni. Potremmo tradurla in questi termini: la democrazia è in pericolo quando quasi ogni giorno si arresta un ex-ministro e nessuno sembra sorprendersi, quando un politico condannato in primo grado per corruzione vince un seggio europeo con 280 mila preferenze, quando i corrotti e i corruttori già presi con le mani nel sacco vent’anni fa oggi si scoprono ancora all’opera, ad accumulare profitti nell’ombra dei grandi appalti come veri “devoti della dea tangente” che non si fanno scrupoli a nutrire i propri figli con il “pane sporco” della corruzione – sono queste le parole che Papa Francesco ha usato per definire gli amministraori corrotti.
Purtroppo questo scenario ci è familiare. La classe politica italiana è considerata nel mondo più corrotta di quelli del Ruanda, della Giordania, di Cuba, paesi di tradizioni democratiche non particolarmente limpide. Troppi amministratori italiani si rispecchiano nei meccanismi distorti di selezione della classe dirigente che da tempo premiano il servilismo dei portaborse, il rampantismo di piccoli oligarchi di provincia, le relazioni politiche dei faccendieri, la ricattabilità di chi ha costruito le proprie fortune in spregio alle leggi.
Viene da chiedersi perché una politica screditata si intestardisce con armonia bipartisan a perseguire propositi di palingenesi costituzionale, perché proprio questo Parlamento di nominati in virtù di una legge incostituzionale stia maturando la volontà di trasformarsi in una fucina di futuri Padri Costituenti. Da dove viene questa fregola di buttare la Costituzione come un vecchio arnese, perché tutta questa fretta, dopo aver lasciato incancrenire per anni i problemi del paese? L’importante, dicono, è fare presto, il paese non può più aspettare. Ma questa urgenza che ora s’invoca per riscrivere la costituzione a tappe forzate sembra di riconoscerla: somiglia a un modello già sperimentato sfruttando emergenze reali o creandone a tavolino di artificiali, come i rifiuti nelle strade o i ritardi dei lavori di un’esposizione universale, moltiplicandole poi all’infinito senza mai risolverle, visto che la loro funzione è una sola: creare centri straordinari di potere grazie ai quali arricchire qualche comitato d’affari scavando voragini nei bilanci pubblici. Ma se si affronta la riforma della costituzione come se fossero gli appalti dell’Expo il risultato finirà per essere lo stesso, però in questo caso il rischio è la corruzione della stessa democrazia.
Non ci sorprende che la direzione verso cui si vuole indirizzare la riforma costituzionale non sia un’ordinaria manutenzione, condivisibile e di buonsenso. Quella che si propone è invece una riscrittura coerente con un disegno “aziendalistico” di presunta razionalizzazione dei meccanismi di governo, un rafforzamento dell’esecutivo che cancella i necessari contrappesi istituzionali, un parlamento di fatto al guinzaglio, magari anche una mordacchia alla magistratura spacciata per riforma della giustizia. Qualcuno ha evocato l’ombra del Piano di rinascita nazionale di piduista memoria, più tristemente – viste le qualità morali esibite da alcuni segmenti della nostra classe politica e imprenditoriale – questo coagulo di poteri forti sciolti dai controlli rischierebbe di tradursi in una di “cupola dell’expo” o una cricca della protezione civile all’ennesima potenza, una patina efficientista che maschera gli interessi del partito unico degli affari, collante invisibile di questo misterioso connubio bipartisan chiamato patto del Nazareno.
Non è la nostra Costituzione il problema, ma la rimozione dei suoi valori, delle sue disposizioni più scomode dalla prassi politica e dall’etica pubblica. Se tradotto in pratica corrente, la nostra Costituzione può diventare il più potente baluardo contro la corruzione che dilaga. Basti pensare alla portata rivoluzionaria dell’art. 54, che sposa il dovere di tutti i cittadini di rispettare le leggi con quello di adempiere con “disciplina e onore” le funzioni affidate a tuti gli amministratori pubblici, o dell’art. 97 che sancisce i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, cui si deve accedere per concorso: concorsi veri, dove si premiano i migliori, concorsi che sembrano una rarità in un paese dove ci sono rettori si “prosternano” mettendosi “a disposizione” del politico di turno per assicurare un 30 al suo raccomandato, e aspiranti medici che si guadagnano l’accesso alla specializzazione facendo da autisti al barone di turno. Uno grande scrittore francese, Balzac, ha scritto che “la corruzione è l’arma della mediocrità che abbonda”. Chi ha talento, competenze e abilità, l’imprenditore che investe in innovazione, il professionista capace non hanno bisogno di ricorrere alle tangenti perche ottengono ciò che è loro diritto grazie al valore del loro lavoro, e il riconoscimento dei loro meriti si traduce in un valore sociale. Al contrario, un paese corrotto è un paese che si è arreso al proprio declino, alla mediocrità di una classe dirigente dove la disonestà è di casa.
Facciamo tesoro della nostra Costituzione nata dalla resistenza, la stessa che ci ha permesso di ricostruire il paese dalle macerie della guerra mondiale e di resistere in questi anni difficili, la sola che può darci oggi la speranza di risollevare l’Italia dalle macerie della bancarotta morale, prima ancora che finanziaria, nella quale ci ha sprofondati in questi anni la mediocrità della corruzione e dei corrotti.

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