Oggi, mentre le dimensioni morali, culturali, politiche ed economiche della civiltà italiana si stanno riducendo tanto penosamente, nessuno dei grandi partiti in lizza ha altro orizzonte che se stesso e la lotta politica interna all’Italia. È desolante ma vero: lo spirito di queste elezioni ci invita a un moto espansivo, ad allargare l’orizzonte del nostro respiro politico, e soprattutto a esercitare il nostro ruolo di cittadini europei (“Unione europea” sta scritto sulla copertina dei nostri passaporti sopra “Repubblica italiana”). E centinaia di migliaia di ragazzi, figli di Erasmus – cioè dell’Europa – sono già a tutti gli effetti, nelle città che abitano, nel lavoro che fanno o nelle prospettive che hanno, cittadini europei prima che del loro paese di provenienza. Ma i partiti non ci dicono qual è la posta in gioco di queste elezioni. Vincere le elezioni, per loro, significa risultare i primi in Italia . Nessuno ci dice che invece non può essere un partito italiano, ma solo un raggruppamento politico europeo a “vincere le elezioni”. Che dunque chi non aderisce a un raggruppamento politico europeo (come M5S), quand’anche prendesse tanti voti, manderà una pattuglia di 20-30 deputati (sui 73 eleggibili in Italia), a disperdersi nel mare dei 751 eletti al Parlamento europeo. E che la vera sfida sarà quella di chi avrà titolo per allearsi ai socialisti di Schulz: i popolari rappresentati da Juncker (Merkel) o la Sinistra Europea (Tsipras) e i Verdi della Keller? E quanto peserà l’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa, rappresentata da Verhofstadt?
“UNA VOLTA è stata messa in minoranza la linea Thatcher, quando è stato fatto l’euro”, ha scritto Barbara Spinelli. Oggi la chance di un’Europa più simile a quella che Altiero Spinelli sognava, è mettere in minoranza la Merkel. Ma l’altra cosa che nessuno ci dice è cosa verrà tradito, se anche in Europa dovesse vincere l’intesa socialisti-popolari. Verrà tradito esattamente lo spirito e il senso di queste elezioni. Che sono fatte per passare dall’Europa inter-governativa del Consiglio europeo (quello che riunisce i capi di Stato e di governo europei, e che fa dell’Europa sostanzialmente il luogo del dominio degli interessi nazionali più forti), attualmente presieduto da Van Rompuy, all’Europa sovranazionale della cittadinanza, che sarà effettivamente rappresentata nel Parlamento solo quando la Commissione europea sarà l’effettivo governo dell’Unione. Nessuno ci dice che queste elezioni sono state organizzate (Risoluzione del Parlamento del 4 luglio 2013), per “parlamentarizzare” l’elezione del presidente della Commissione, e cambiare i rapporti di forza fra la Commissione e il Consiglio, in modo che la prima diventi gradualmente il vero organo di governo dell’Unione europea, e il suo presidente, il capo del governo, al diretto servizio del bene comune dell’intera unione, come vorrebbe il Parlamento. E non, come vorrebbe la Merkel, quel mero coordinatore dei capi dei governi nazionali che è oggi Barroso.
Nel luglio 1939, Altiero Spinelli sbarcava a Ventotene, dopo aver scontato fra carcere e confino dodici anni dei sedici inflittigli – a neppure vent’anni – dal Tribunale Speciale fascista per la sua opposizione attiva al regime. Nel ’37, a Ponza, era stato espulso dal Partito comunista, perché, come Spinelli scrive nella sua autobiografia – una delle più intense della letteratura mondiale (Come ho cercato di diventare saggio, Il Mulino 1999) – era stato “tutto un monologo sulla libertà” quello che aveva iniziato “dal momento che le porte del carcere si erano chiuse alle [sue] spalle”. Nel ’41 nasce – sotto la sua penna e in parte quella di Ernesto Rossi, frutto delle conversazioni con Eugenio Colorni e pochi altri, il Manifesto di Ventotene, con il suo memorabile attacco: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero” . Tutti: e fra questi il contrasto fra la politica concepita sulla base degli Stati nazionali e l’economia globale. Vere democrazie che siano esclusivamente interne ai singoli stati, oggi, non sono più possibili. Quell’uomo visionario lo vide settant’anni fa. Ma la politica italiana vuole ridurre anche quella visione alla sua misura. Quella di una classe dirigente che affida la gestione della massima chance di riscatto nazionale agli occhi del mondo, l’Expo, ad alcuni avanzi di galera di vent’anni fa. Ecco l’Europa a misura d’Italia.
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