Non un nuovo partito, né un’adunanza di nostalgici conservatori di sinistra. Per Stefano Rodotà sabato a Roma i protagonisti delle «battaglie vinte» usando la Costituzione cercheranno di costruire una «rete» per cambiare la politica italiana. Cominciando dal respingere le derive presidenzialiste che per Rodotà si nascondono nel pacchetto di riforme costituzionali promosso dal governo.
Professore cosa non va nella strada imboccata dal governo?
«L’articolo 138 è la regola delle regole e quindi non dovrebbe essere disponibile. Non dovrebbe essere modificata».
Ma si tratta di una procedura molto complessa che rende lunga e faticosa qualsiasi modifica costituzionale.
«Non è vero. Non è una procedura particolarmente pesante soprattutto se confrontata con quello che succede in altri Paesi. Negli Stati Uniti per approvare una modifica alla Costituzione federale devono essere d’accordo tutti gli Stati. In Belgio quando si modifica la Costituzione si sciolgono le Camere e si va a votare in modo che i cittadini possano dare anche un giudizio politico su chi l’ha modificata. L’articolo 138 è una garanzia per tutti. Invece prevedono una deroga, ma così si crea un precedente. Ci sono dei punti fermi che non vanno toccati perché appartengono alle garanzie democratiche».
Nel merito però tutti o quasi concordano sul fatto che certi aspetti vadano riformati: dal bicameralismo perfetto alla riduzione dei parlamentari. È sbagliato?
«No. Dalla riduzione dei parlamentari alla fine del bicameralismo perfetto alla modifica del Titolo V che ha creato un contenzioso sempre più ingarbugliato fra Stato e Regioni, c’è largo consenso».
Allora qual è l’obiezione?
«Che proprio perché così largamente condivise queste riforme potevano essere fatte tranquillamente con la procedura normale. Se fossimo partiti quando il governo ha scelto la strada della deroga, a quest’ora saremo già un bel pezzo avanti nella direzione giusta. La verità però è un’altra».
Quale?
«Che facendo una sorta di pacchetto da prendere tutto intero si vuole inserire una modifica della forma di governo accentrando i poteri».
E voi siete contrari.
«Sono contrari i cittadini. Il governo Berlusconi nel 2005 approvò una riforma costituzionale in questa direzione. Poi però ben 16 milioni di cittadini la bocciarono col referendum. Oggi si fanno tante polemiche sui referendum disattesi, da quello sul finanziamento pubblico ai partiti a quello sulla responsabilità civile dei giudici. Quel referendum che è molto più impegnativo invece non viene considerato».
Il nodo è la forma di governo?
«Su quel passaggio che punta ad accentrare il potere nelle mani del presidente del Consiglio con una larvata curvatura presidenzialista non c’è consenso. Ma si cerca di farlo passare legandolo alle altre riforme su cui invece il consenso c’è».
Ma c’era un’altra strada?
«Certo. Sarebbe stato più opportuno approvare singolarmente le riforme condivise largamente. Invece così al referendum sarà portato un pacchetto, un prendere o lasciare. E io che sono d’accordo sulla riduzione dei parlamentari, sulla fine del bicameralismo perfetto, sulla riforma del Titolo V, ma non sull’accentramento dei poteri al premier, sarò obbligato a votare o contro, quindi dicendo no a quello su cui concordo, oppure a votare a favore, dicendo sì anche a una forma di governo più o meno presidenziale».
Il professore Zagrebelsky mette in guardia da modifiche anche sulla seconda parte della Costituzione che, a suo giudizio, comprometterebbero anche la prima parte. Quella sui valori fondamentali che lo stesso premier Letta ha più volte detto che non si tocca.
«Io sono per la “buona manutenzione” di cui parla Alessandro Pizzorusso. Quindi se riduco i parlamentari non incido sulla prima parte. Ma se tocco l’autonomia della magistratura o il modo in cui si approvano le leggi tocco quei diritti fondamentali che per la Costituzione possono, appunto, essere limitati solo in forza di legge o di decisione autonoma e motivata dell’autorità giudiziaria».
La piazza di sabato non rischia di essere l’appuntamento della sinistra, sì nobile, ma che vuole conservare le cose così come sono?
«No, perché quella di sabato non è solo l’iniziativa di chi si oppone alla proposta di revisione costituzionale del governo. È qualcosa di più e di diverso».
Cosa?
«In questi anni ci sono stati soggetti sociali e collettivi che hanno utilizzato la Costituzione in maniera vincente. 27 milioni di persone coi referendum, uno strumento costituzionale, hanno detto no al nucleare, no alle leggi ad personam, sì all’acqua pubblica. E quando si è tentato di aggirare il referendum sull’acqua, i promotori si sono rivolti alla Corte Costituzionale che ha stabilito che i risultati devono essere rispettati. È stata una battaglia costituzionale vincente. La Fiom ha fatto garantire attraverso le leggi e la Costituzione il diritto alla rappresentanza nelle fabbriche. Una garanzia che vale non solo per i propri iscritti, ma per tutti i lavoratori e i sindacati. Libera di Don Ciotti, impugnando come dice lui Vangelo e Costituzione, combatte concretamente per la legalità, ad esempio sui beni confiscati alla mafia. Alla Costituzione fanno riferimento Emergency per il diritto universale alla salute, l’Arci per la promozione della cultura».
Volete fare un nuovo partito?
«Non vogliamo fare né un partito né un raggruppamento della sinistra, come dicono alcuni di Rifondazione, ma vedere se questi vari soggetti possano creare una massa critica per influire sulla politica non in opposizione né col Parlamento né coi partiti. Qui non c’è anti-politica, ma l’esatto contrario. Perché l’obiettivo è creare un forte movimento sociale e civile che dia forza a chi vuole fare battaglie sul reddito minimo, sui beni comuni, sui diritti civili. Dal 13 ottobre in avanti vogliamo provare a creare una rete civile, uno spazio politico in cui si elabora e si propone per far sì che la politica di questo Paese sia una vera politica costituzionale».
Non sono d’accordo con Rodotà per la risposta data all’ultima domanda.
Ritengo ormai indispensabile la nascita di un nuovo partito di sinistra, laico, antifascista, antiomofobo, antirazzista che, prendendo le distanze da tutti gli attuali partiti della sinistra italiana, attui quelle riforme politiche, sociali, economiche, sindacali, di cui noi Cittadini abbiamo bisogno, e che costituiscono anche alcune delle finalità dell’associazione, oltre che le basi per la ripresa del Paese.
Diversamente non vedo come si possa influire sulla politica se non sostituendo fisicamente la vecchia classe politica con una nuova.
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Sacrosanta la manifestazione di Roma……peró non tutti possono venire a Roma.
Sarebbe il caso di farne anche a Milano o Torino ed i quanche grossa citta del sud.
Riconosco di non aver capito come si possa proporre un referendum su un blocco così importante al di fuori della procedura prevista dall’art. 138 della Cost. Si tratterebbe di un referendum consultivo?. Per ottenere un viatico politico a una riforma che in Aula non raggiungerebbe i 2/3 ed evitarlo successivamente? L’unico referendum confermativo è proprio quello previsto nelle revisioni della vigente cost all’art. 138 quando la maggioranza non raggiunge quella percentuale. Come può una riforma cost. essere approvata ed essere ritenuta non eversiva se non passa secondo le regole dell’art. 138? Se così non fosse saremmo di fronte a una Costituzione nuova, a un colpo di Stato, anche se approvato dalla maggioranza più uno degli aventi diritto. Come possono dei costituzionalisti aver concepito una mostruosità simile che spaccherebbe il paese in due? Per favore, il prof. Rodotà o chi egli voglia in sua vece mi spieghi che cos’è questo immangiabile pasticcio. Sarò molto grato a chi vorrà fare, forse per l’ennesima volta, questo servizio per un uomo “dalla dura cervice”