NEL mondo orwelliano della neolingua il bianco è nero, il freddo è caldo, e la guerra è pace. Non abbiamo ancora un ministero della Verità deputato a tagliare le notizie che danno fastidio al grande fratello, ma il sottile, continuo e sordo limare i significati delle parole prosegue a ritmo incessante. Così il governo di emergenza diventa il governo delle larghe intese. La difesa delle istituzioni un conservatorismo codino e reazionario, la legalità un fastidioso impedimento (non legittimo, ovviamente). E infine, a coronamento di questo strisciante rovesciamento del mondo, una situazione eccezionale e transitoria — come giustamente l’ha definita lo stesso auspice di tale situazione, il presidente Giorgio Napolitano — diventa nientemeno che la «pacificazione nazionale». Come fossimo all’indomani del 1945 dopo i due anni di morti e violenze per tutto il paese. C’è da rimanere allibiti per paragoni del genere. Nemmeno alla fine degli anni di piombo, nonostante venisse invocata anche allora dai protagonisti delle violenze, aveva senso parlare di pacificazione: non si poteva riconoscere alcuna legittimità a chi aveva imbracciato il mitra o maneggiato il tritolo contro la democrazia e i suoi rappresentanti. Figurarsi se ha senso adesso quando, per fortuna — e grazie anche al movimento di Beppe Grillo — la frustrazione e la rabbia di tanti non ha preso la via della disperazione distruttiva. Una via che ha solcato la storia della nostra nazione. Fino agli anni Ottanta lo scontro politico non conosceva limiti e l’avversario politico non aveva dignità alcuna, con tutte le conseguenze del caso. Ma poi si aprì una stagione nuova, di «riconoscimento » reciproco, in cui i neofascisti, con Giorgio Almirante in testa, andavano a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer, e i comunisti, guidati da Giancarlo Pajetta, onoravano il feretro di Almirante. Quella stagione ha posto le basi per il superamento di antichi steccati e per il crollo del vecchio sistema dei partiti. Si avviava una fase inedita. Lo prova la fiducia che tanti riformatori riponevano nel cambiamento del sistema elettorale al tempo dei referendum del 1993: quel passaggio metteva in moto un «nuovo sistema», riformato ma intatto nell’impianto. Il bilanciamento tra rinnovamento e conservazione era garantito proprio da un quel clima di ottimismo riformatore. Poi tutto si è invelenito. Basti pensare al fallimento della Bicamerale.
Chi oggi invoca senza retropensieri la riscrittura della Costituzione dovrebbe tenere presente quella esperienza. Finché serve a Berlusconi il dialogo può continuare, ma se le «cose» cambiano allora viene buttato tutto alle ortiche. E per «cose» intendiamo, ovviamente, i processi del leader della destra. Il Cavaliere vuole una cosa sola, l’immunità/impunità. La cerca attraverso varie strade: un ennesimo intervento legislativo ad hoc (e in poche settimane ne abbiamo contati un bel numero), un intervento dall’»alto» per ammorbidire i procedimenti giudiziari, e persino un laticlavio senatoriale. E, in prospettiva, anche una repubblica presidenziale. Il suo destino personale, ancora una volta, si sovrappone al normale funzionamento di un sistema democratico, che si fonda sul bilanciamento e l’autonomia reciproca dei poteri e sul primato della legge. Contro il rispetto di questi cardini fondamentali la destra gioca le carte dell’emotività neo orwelliana, introducendo nel linguaggio politico il termine falso di pacificazione, e dello stravolgimento delle regole. Non c’è nulla da pacificare — ed è sconcertante che questa espressione abbia circolazione al di là del manipolo dei fedelissimi del Cavaliere — perché è la fedeltà alle norme democratiche sancite dalla costituzione che garantisce a tutti una «pacifica» cittadinanza politica. Pertanto, ogni intervento su quel patto fondante va fatto con molta cura e attenzione, per evitare un esito da apprendisti stregoni.
quello che in questo periodo mi disgusta non è tanto il modo falso della destra berlusconiana ma l’allineamento e l’abbraccio mortifero che questo PD ha assunto,non si può smembrare la Carta Costituzionale in questo modo! Io mi auguro che i democratici italiani reagiscano a questo inciuccio!
Non credo sia errato parlare di pacificazione : che ci sia stata una guerra civile o no , però una certa conflittualità anomala esasperata l’abbiamo vista in questi anni . E’ un dato di fatto e quindi ben vengano uomini di buona volontà che capiscano , almeno ascoltino gli Altri .
Chiudere le porte è una forma arrogante di superiorità che non porta da nessuna parte.
Questa mattina a rai3 prima pagina ho sentitoun ascoltatore che si doleva che la pacificazione sia una parolaccia !
Citava la signora Rossanda che in una intervista a repubblica…prova orrore per una societa’ , poi l’inganno della pacificazione e perchè ? Io credo che la pacificazione sia necessaria indispensabile assolutamente indispensabile : dobbiamo continuare a darci schiaffoni e non conversare , proporre , insomma trovare o cercare accordi NO alla guerra civile , termine forse improprio ma che comunque rende l’idea anche ” se non siamo all’indomani del 45 ” ” non c’è nulla da pacificare ed è sconcertanteche questa espressione abbia circolazione al di la’ del manipolo dei fedelissimi del cav….
Io penso che sia saggio pacificare e quindi un bravobene a coloro che a sinistra si impegnano a …pacificare senza inganni ma nemmeno con preclusioni di schieramento.
Grazie GP
Mi chiedo perchè pacificazione sia una parolaccia.
Commento identico a Ignazi quella della signora Rossanda che dal dorato esilio di Parigi spara sulla pacificazione, orrenda situazione ( Repubblica )
ma perchè ? Buttare a mare possibilità di intese per la strana perversa superba sicurezza di avere in sacoccia sempre e soltanto la verità ( negata agli altri, che comunque rammentiamolo esistono in Italia , piaccia o non piaccia ) RF