Primarie: solo una premessa

03 Dicembre 2012

Probabilmente ha ragione Prodi: quando si combatte all’interno dello stesso partito, c’è un limite alla polemica perché la gente vuole “sentirsi parte di una famiglia”. Si dovrà disegnare una strada per il futuro, e nessuno potrà chiamarsi fuori. E’ la sfida che Bersani è chiamato a guidare, ma che Renzi non potrà limitarsi ad osservare.

E’ stato un bello spettacolo, che ha restituito ai cittadini la percezione della politica come dovrebbe essere e non come è stata negli anni del berlusconismo. Bersani ha vinto con un margine decisamente superiore alle aspettative. Renzi ha perso dignitosamente, ma peggio di quel che credeva. Probabilmente ha ragione Prodi: quando si combatte all’interno dello stesso partito, c’è un limite alla polemica perché la gente vuole “sentirsi parte di una famiglia”. Renzi ha superato quel limite con la rissa in extremis sulle regole, ed ha pagato l’errore.
Adesso comincia un’altra storia, e le premesse sono interessanti. Il sindaco di Firenze merita applausi per il suo “discorso della sconfitta”: netto, per niente autoassolutorio, leale verso il vincitore. Bersani ha ricambiato con un atteggiamento rassicurante verso i suoi alleati e cavalleresco nei confronti dell’avversario. Ma bisognerà aspettare per capire se, da parte di entrambi, è solo fair play o è sincera volontà per il futuro. Se cioè, Bersani e Renzi sapranno non solo convivere, ma anche collaborare.
Di buono c’è che, in questo caso, le convenienze personali potrebbero coincidere con l’interesse generale. Il 40 per cento del sindaco di Firenze non rimarrà tale se verrà chiuso in frigorifero: è un patrimonio da investire e far fruttare. Indubbiamente Renzi ne è consapevole e cercherà il modo giusto per farlo. Che non sarà accettare poltrone o strapuntini, cosa che apparirebbe intollerabile a lui e a chi l’ha votato, ma avanzare idee e lavorare per realizzarle. Così riuscirebbe a costruirsi l’immagine di un leader a tutto tondo, non solo quella del giovane maschio che sfida il capobranco.
Da parte sua, Bersani sembra altrettanto consapevole dell’opportunità che Renzi gli offre. Il suo 60 per cento lo legittima ad agire nei confronti della vituperata nomenklatura del partito senza complessi di inferiorità. E questa stessa forza gli consente di porsi al centro del Pd e di governare il partito e la coalizione prendendo il meglio da tutti. Così può sventare il rischio di diventare ostaggio della sinistra vendoliana, ma può anche sottrarsi agli eccessi “neoliberistici” del renzismo. E’ un difficile esercizio di equilibrio, ma il vincitore delle primarie ha dimostrato di avere tutte le qualità per riuscire nell’impresa.
Se andrà bene, ne guadagnerà il Pd, la politica volterà pagina, e il paese tirerà il fiato. Perché nei partiti la lotta politica interna, anche aspra, è normale e perfino salutare, ma di fronte ad una crisi economica e sociale come quella che stiamo vivendo le forze responsabili devono sospendere le ostilità e dare il massimo per superare la tempesta. Le primarie sono solo la premessa, il modo per far vedere alla gente che un’altra politica è possibile. D’ora in poi si dovrà parlare d’altro. Si dovrà disegnare una strada per il futuro, e nessuno potrà chiamarsi fuori. E’ la sfida che Bersani è chiamato a guidare, ma che Renzi non potrà limitarsi ad osservare.

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