La partita delle primarie è cominciata, e va dato atto a Matteo Renzi di aver dissipato un po’ della nebbia che negli ultimi tempi aveva avvolto il Pd e le sue dispute interne. Il sindaco di Firenze può piacere o non piacere, ma ora si potrà cominciare a discutere di progetti politici, e questo è indubbiamente un bene.
Quello che invece è assai discutibile, e anzi rischia di trasformarsi in un boomerang per l’intero partito, è l’aver avviato una campagna elettorale interna, con tutto ciò che significa in termini di polemiche e lacerazioni, senza sapere se poi le primarie si faranno davvero. Già, perché non sappiamo ancora con quale legge elettorale gli italiani saranno chiamati alle urne. Ed è ovvio che se riuscisse il colpo di mano a cui la destra e l’Udc stanno lavorando, e cioè varare una legge sul modello tedesco, proporzionale con soglia di sbarramento, le primarie non avrebbero senso. In quel caso ciascun partito si presenterebbe alle elezioni per proprio conto, senza alleanze predefinite, e sarebbe l’elettorato a determinare i rapporti di forza intorno ai quali, dopo il voto, si costruirebbe una maggioranza e si sceglierebbe (i partiti sceglierebbero) il presidente del consiglio.
E’ un’ipotesi tutt’altro che remota, perché Pdl,Lega e Udc hanno la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento e non fanno mistero di volerla usare. Sarebbe un bello smacco per il Pd se, dopo aver avviato un grande rito collettivo, dovesse affrettarsi a ricucire dialettiche e contrapposizioni per schierare uniti nei comizi personaggi che fino al giorno prima duellavano senza esclusione di colpi.
Certo, le primarie sarebbero obbligatorie se si approvasse una nuova legge elettorale maggioritaria o se si riesumasse il Mattarellum. Ma ciò non accadrà, vista l’ostilità della maggioranza rappresentata, appunto, da Pdl, Lega e Udc. Quel che è possibile, invece, è che resti il Porcellum. E anche in questo caso le primarie sarebbero un merito per il Pd, chissà se sufficiente a bilanciare il discredito che investirebbe tutte le forze che si sono dimostrate incapaci di cambiarlo. Ma ci sono anche molti rischi.
Il primo riguarda la platea elettorale delle primarie. Bersani ha fin qui lasciato cadere gli inviti a creare un albo degli elettori, o qualche altro strumento che metta al riparo il centro sinistra dalla possibilità che a partecipare al voto non siano solo i suoi elettori. Diamo per scontato che Renzi, nel suo appello ai berlusconiani delusi, pensasse alle elezioni vere, e non alle primarie. Ma deve essere chiaro che scegliere il leader di una coalizione è una facoltà che spetta solo agli elettori di quella coalizione: nessuno ha il diritto di decidere chi comanda in casa d’altri.
Il secondo rischio riguarda il Pd: che senso ha presentarsi alle primarie di coalizione con una miriade di candidati? Così si favorisce il candidato altrui. Le primarie per la scelta dei sindaci dovrebbero aver insegnato qualcosa. Bisognerebbe che il Pd facesse primarie di partito per scegliere il suo candidato, e poi lo sostenesse nelle primarie di coalizione. Processo lungo e farraginoso, certo, ma capace di offrire un risultato chiaro.
Bersani non ascolta simili obiezioni perché non intende farsi accusare di voler blindare le primarie o di fuggire la sfida in campo aperto. E’ una prova di coraggio e un tentativo di superare il clima di sfiducia che circonda il Pd. Lodevole. Ma intanto i veleni circolano. Non resta che sperare che i candidati che si affrontano nelle primarie diano il meglio di sé. Finora l’unica ventata di freschezza è venuta da Laura Puppato, candidata anche lei e, purtroppo, ancora sconosciuta ai più. La sua intervista a Repubblica del 13 settembre è un modello di serietà, lealtà e intelligenza. Sarebbe bene che tutti ci meditassero attentamente.
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