Il manifesto per il sud contro la vecchia politica

31 Maggio 2012

Il Manifesto, presentato lunedì 21 maggio al Presidente Napolitano, di fronte ad una platea di studiosi e di rappresentanti delle parti sociali, è stato condiviso dai ministri presenti, Passera, Barca e Profumo. Una rivoluzione ispetto agli inveterati, pietistici appelli a continue deresponsabilizzanti elargizioni. Si tratta invece di riscoprire opportunità derivanti da risorse sottoutilizzate, e di bypassare rivendicazionismi, abitati da scambi clientelari, sostanzialmente corruttori

«Porre l´attenzione sulla politica come causa fondamentale dei problemi irrisolti» significa pensare ad «una strategia che tenga seriamente conto dei modi di funzionamento della politica se non si vuole ricadere in altri fallimenti”, ha scritto Carlo Trigilia, rifacendosi anche a sue analisi che, già molti anni fa, facevano derivare da un attento studio di modalità della politica più un aggravarsi dei problemi che un favorirne la soluzione. Siamo così, semplificando, alla sostanza del Manifesto per il Sud nella crescita dell´Italia, predisposto da Trigilia, come presidente della Fondazione Res di Palermo, insieme alla Fondazione Mezzogiono Europa di Napoli. Il Manifesto, presentato lunedi 21 maggio al Presidente Napolitano, di fronte ad una platea di studiosi e di rappresentanti delle parti sociali, è stato condiviso dai ministri presenti, Passera, Barca e Profumo.
Il rapporto dell´Istat, pubblicato negli stessi giorni, sembra pervenire a conclusioni simili soprattutto quando si occupa della debacle dei servizi sociali nel Mezzogiorno.
Anche la rivisitazione delle tragedie del ‘92, nel loro genuino significato liberatorio e di progetto per la riscrittura dei modi della politica, in una logica di nuova qualità della cittadinanza, aggiunge ulteriore valenza alla lettera del manifesto.
Proprio perché la complessiva ripresa del Paese, dovendo necessariamente muoversi dalla crescita del Sud ha urgente bisogno di riformulare i termini di uno sviluppo autosostenuto, che, anche per bloccare i processi di compenetrazione tra criminalità ed economie locali, sia in grado di riqualificare i canoni della gestione, con vincoli severi per esorcizzare “l´uso clientelare delle leve pubbliche regolative”.
Una rivoluzione perciò rispetto agli inveterati, pietistici appelli a continue deresponsabilizzanti elargizioni.
Si tratta invece di riscoprire opportunità derivanti da risorse sottoutilizzate, e di bypassare rivendicazionismi, abitati da scambi clientelari, sostanzialmente corruttori: in situazioni di inquinamento esponenziale che moltiplicano mercati di consenso apparente perché estorto. Con un accentuato moltiplicarsi delle motivazioni del degrado.
Ricominciare daccapo allora, ripartendo dai comportamenti, da un positivo determinarsi di classi dirigenti e di una diversa qualità dell´amministrare, con poteri centrali idonei ad assecondare autonoma maturazione civile: per in sostanza recuperare all´autonomia siciliana lo spirito e i valori, vistosamente assenti della Costituzione repubblicana. Ripetiamo con Moro: per muoversi verso una stagione di doveri che accompagni con merito una responsabile acquisizione di diritti.
E sembra opportuno aggiungere che, in buona misura, l´indignazione emergente, è come se aggiungesse ulteriori input alla non differibilità delle opzioni di cambiamento. Sarebbe infatti improprio definirla antipolitica, piuttosto, magari disordinato, tentativo di generale ripensamento dei modelli e di diverso modo di vivere democrazia e processi di crescita.
Per questo il trincerarsi nell´aristocratico rifiuto dei riti della protesta appare specioso alibi.
Chi non ricorda l´altezzoso monito di Gargonza? Allora i girotondi avevano cercato di indicare alle nomenclature del potere l´urgenza di conversioni utili, proprio partendo dalla ridefinizione dei significati della politica, delle logiche da sottendere ad un rivivere la storia della repubblica. Fu un´occasione perduta.
Umberto Eco quell´altezzoso monito lo tradusse come il farsesco e classico “ragazzino, lasciami lavorare”.
Come se avessimo dimenticato, direbbe Zagrebelsky, che “viviamo in società perché ci siamo impegnati a farlo (…) e che in questo vivere in società riponiamo speranza di cose future”.

*l’autore è ex presidente della Regione Siciliana e socio di LeG Messina

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