ORA che lo scandalo dei bilanci-fantasma le ha rese evidenti, sarà bene ricordare le indicibili motivazioni patrimoniali che suggerirono nel 2006 ai dirigenti della Margherita e della Quercia la scelta autolesionistica di presentarsi uniti alla Camera, ma separati al Senato, a costo di disorientare gli elettori e mutilare così la vittoria del centrosinistra: lo fecero per ragioni di cassa. L´unità del nascente Pd, ma soprattutto il progetto di rinnovamento del Paese dopo una fallimentare legislatura berlusconiana, furono sacrificati al vil denaro. Vil denaro ritenuto indispensabile alla conservazione di strutture organizzative separate.
Come andò a finire, lo ricordiamo bene: l´astruso marchingegno dei simboli differenziati fra le due schede, determinò com´era prevedibile un calo di voti al Senato, trasformando l´aula di Palazzo Madama in un campo minato per la risicata maggioranza di centrosinistra. Il governo Prodi nasceva già azzoppato e durò solo due anni. Ad approfittare dell´insperato regalo fu Berlusconi che sopravvisse alla probabile fine del suo ciclo politico e nel 2008 ritornò al governo per tre lunghi, inutili anni. Costati assai cari al Paese.
Nessuno seppe spiegarci perché la lista unitaria dell´Ulivo dovesse andar bene alla Camera ma non al Senato, contro ogni logica di marketing elettorale oltre che di linea politica. “Tanto vinciamo lo stesso”, era la miope risposta fornita in privato dai tesorieri Luigi Lusi e Ugo Sposetti a chi gli chiedeva di destinare maggiori risorse alla campagna unitaria. E difatti, l´anno successivo, lo stesso Partito democratico fu concepito (con esiziale ritardo) in regime di “separazione dei beni”: i partiti fondatori venivano “sospesi” e non disciolti, di modo che i rispettivi dirigenti potessero usufruire fino a oggi non di due, ma addirittura di tre bilanci separati.
Ancora non ci è dato sapere quanti milioni di euro appannaggio dei partiti-fantasma siano stati utilizzati nel frattempo per l´attività politica dei diversi spezzoni del Pd, distribuiti con quale criterio, e se abbiano trovato impiego anche nella competizione interna delle primarie. Un dirigente della Margherita è giunto a parlare con imbarazzo di una vera e propria «spartizione del malloppo». Mentre sorge il dubbio che a quei fondi abbiano potuto attingere perfino esponenti politici che nel frattempo hanno cambiato partito o schieramento.
Non basta che la magistratura faccia giustizia dell´appropriazione indebita di tredici milioni perpetrata da Luigi Lusi (eventualmente con il concorso di altri) ai danni della fu Margherita. Gli elettori del Partito democratico hanno il diritto di sapere se le risorse accantonate grazie ai simboli dei partiti “sospesi” vengano oggi usufruite con una discrezionalità che, seppure non determini infrazioni di legge, risulta gravemente impropria. Opaca. Nascosta nelle pieghe di bilanci alimentati in ogni caso da troppo denaro pubblico.
Naturalmente ciò vale anche per i partiti della destra; quanti cittadini sono al corrente della lucrosa sopravvivenza di Forza Italia e Alleanza nazionale con i loro tesoretti scaturiti dai rimborsi elettorali? E i fondi esteri costituiti dal “cerchio magico” della Lega Nord non sono forse la rappresentazione plastica di come l´attuale normativa favorisca la creazione di invisibili centri di potere, detentori di risorse che assegnano un controllo sempiterno a pochi capipartito? Che dire, poi, dei partitini personali in cui il denaro pubblico è soggetto a una gestione para-familiare? La somma micidiale fra la legge vigente sui rimborsi elettorali e la legge “porcellum” che riserva a pochi oligarchi il potere di scelta sulle candidature, sembra fatta apposta per screditare la nostra democrazia parlamentare.
Qualsiasi riforma del finanziamento dei partiti (giovedì scorso Bersani, d´accordo con Casini, si è ripromesso di presentarne una “nel giro di una settimana”) deve essere preceduta dal rendiconto puntuale dei comportamenti tenuti fino ad oggi. Nell´attesa che entri in vigore una normativa più adeguata, nulla vieta al Partito democratico di correggere subito le proprie regole interne scaturite da scelte improvvide come la persistenza dei partiti-fantasma e la “separazione dei beni”.
La storia non si fa con i “se”, ma resta l´amarezza per quella scelta del 2006 che tanti danni ha procurato all´Italia; senza la quale forse ci saremmo risparmiati l´ultimo colpo di coda del regime berlusconiano. La perpetuazione di strutture rispettabili ma obsolete, funzionali solo al mantenimento di centrali di potere correntizio, fu fatta letteralmente pagare ai cittadini. Il denaro si è mangiato la politica?
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