Il Vaticano: fermate la pièce su Gesù

20 Gennaio 2012

Lo spettacolo del regista Romeo Castellucci, “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”, è un dialogo tra un figlio e un padre anziano colpito da dissenteria: il dialogo si svolge sotto una grande riproduzione di un celebre volto di Cristo. È il volto dipinto da Antonello da Messina: un Cristo vero e bellissimo uomo. Un Gesù dall´espressione dolce e intensa, un´immagine lontana da quella tradizione di origine francescana che ha insistito sugli strazi della Passione, il sangue, le spine, l´allucinata magrezza. Questa versione ha vinto nella storia della religiosità cattolica e segnatamente italiana perché ha dato espressione al bisogno di accostarsi a Cristo come uomo, di trovare in lui una figura fraterna, un mediatore dolce e rassicurante col Padre Eterno. Ma in questo spettacolo è proprio quella perfezione fisica che viene presentata come una provocazione intollerabile per chi sta sperimentando il degrado e l´umiliazione estrema del corpo di un padre nell´estrema decadenza della vecchiaia. La reazione a questo conflitto è l´iconoclastia, l´offesa all´immagine: un gruppo di giovani sporca quell´immagine, le scaglia contro sassi e granate.
È una drammatica sfida, una maniera di chiedere una spiegazione a Dio, dunque qualcosa che appartiene in profondità all´esperienza religiosa. Si può chiamare a testimone un sacerdote che fu anche un intellettuale cattolico e un grande organizzatore di cultura, don Giuseppe De Luca. Nella sua definizione della pietà era inclusa anche l´offesa a Dio, la bestemmia, l´esecrazione, l´empietà: tanti segni, secondo lui, di un rapporto vivo tra l´uomo e Dio, di un atteggiamento diverso dall´indifferenza e dal distacco di chi non si sente minimamente interrogato dal messaggio religioso. Questa scena aveva suscitato reazioni polemiche di gruppi cattolici tradizionalisti francesi durante le rappresentazioni parigine nell´ottobre scorso. Ora il dramma è in cartellone a Milano al Teatro Franco Parenti a partire dal 24 gennaio. Il regista ha annunciato che la scena delle offese all´immagine non ci sarà. Fa parte della sua libertà di decidere in materia. E fa parte della libertà degli spettatori il diritto di andare a teatro e di giudicare il dramma in base alla loro sensibilità e alla loro cultura. Anche di protestare, se si sentono offesi nei loro sentimenti.
Invece in questo caso non si vuole che il dramma sia rappresentato. Rispolverando toni intransigenti e scandalizzati che riportano ai tempi delle condanne del teatro da parte di San Carlo Borromeo. un comitato che non a caso si intitola proprio al nome del santo milanese ha chiesto al teatro milanese di «voler cancellare questo spettacolo» perché è una «offesa a Cristo e, con lui, a tutti i cattolici». Ed è giunta, insieme ad altre reazioni dello stesso tipo, una lettera di monsignor Peter Wells della Segreteria di Stato vaticana che accusa il dramma di Castellucci di essere un´opera «offensiva nei confronti di Nostro Signore».
Milano non è Parigi, evidentemente. Né i cattolici italiani possono godere dei diritti dei cattolici francesi. In Italia non si può vedere, non si può giudicare con la propria testa. Questo è il punto. Alla Chiesa cattolica non si può muovere a cuor leggero l´accusa di essere un´agenzia dell´intolleranza religiosa: in tempi come i nostri ben altre sono le manifestazioni dell´intolleranza che destano preoccupazione. Lo scatenarsi della violenza da parte di chi si ritiene obbligato a vendicare l´onore del suo Dio o del suo profeta ha riportato all´ordine del giorno fenomeni che speravamo di avere lasciato in un remoto passato. La Chiesa cattolica ha dimostrato di saper aprire un confronto col mondo moderno all´interno di una accettazione del principio della libertà delle coscienze e della tolleranza: una tolleranza che si somma spesso alla saggezza politica. Talvolta eccessivamente politica a giudizio di molti, che preferirebbero una proposta religiosa capace di distinguere i veri credenti dal cattolicesimo sociologico della maggioranza.
Se ne è avuto un esempio nella non dimenticata controversia giuridica sull´affissione del Crocifisso nei luoghi pubblici quando le autorità ecclesiastiche ne hanno sottolineato il carattere di “arredo” mettendo in ombra quello di sconvolgente simbolo religioso. Resta il fatto che l´Italia per questa Chiesa è una provincia speciale dove si deve ancora sfoderare all´occasione il volto severo: come si fa coi bambini, come non si fa con gli adulti. Ritroviamo in questo episodio la conferma di una tradizione antica e la riprova di quello speciale stile della Chiesa di Roma che un esperto studioso di queste cose, il professor Jeffrey Haynes della London University, ha definito come l´esercizio di un “transnational soft power”: un potere dolce, capace di adattarsi alle differenze locali e di modulare diversamente la voce a seconda dei destinatari. Con gli italiani, la voce è severa, per loro vige ancora la censura preventiva.

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