In un momento tra i più difficili della storia repubblicana, la nostra politica sembra svolgersi su due piani diversi, su due mondi quasi incomunicabili. Da una parte, il governo cerca affannosamente di presentarsi al vertice di Cannes con qualche impegno che dimostri la sua capacità di affrontare una situazione drammatica. Nel tentativo disperato non solo di convincere i capi degli altri 19 Paesi più importanti del mondo, ma soprattutto i mercati e la speculazione finanziaria. Dall’altra, l’unica figura rispettata e autorevole riconosciuta dalla comunità internazionale tra la nostra classe politica, cioè il Presidente della Repubblica, guarda, con una serie di consultazioni straordinarie, al dopo Berlusconi.
Ieri, la rappresentazione sui due palcoscenici della politica italiana non poteva essere più esplicita. Le riunioni convocate dal presidente del Consiglio si svolgevano sulla base del copione ormai consueto negli ultimi mesi di questo ministero: scontri verbali molto duri tra Berlusconi e Tremonti, con accuse reciproche di essere i principali responsabili della mancanza di credibilità dell’azione governativa, minacce incendiarie di Bossi, caccia all’ultimo deputato incerto per convincerlo a rinsaldare l’esangue maggioranza su cui precariamente ancora si regge il governo.
Una scena continuamente interrotta dalle voci più incontrollate sui provvedimenti che sarebbero stati varati nella notte, dal prelievo forzoso sui conti correnti alle varie forme che potrebbe assumere la cosiddetta «patrimoniale».
Sul Colle, come familiarmente il gergo politico chiama il palazzo della presidenza dello Stato, prendeva forma, di fatto, una nuova configurazione dei poteri italiani: la guida semipresidenziale di un Paese in stato d’emergenza. Napolitano convocava i partiti della maggioranza e quelli dell’opposizione, si consultava col nuovo governatore della Banca d’Italia e con il nuovo presidente della Banca europea, parlava con i principali partner stranieri.
Così, nel rispetto formalmente rigoroso dei rispettivi compiti tra Palazzo Chigi e il Quirinale, il presente e il futuro della politica italiana sembrano non aver alcun rapporto tra di loro. Come avviene tra le rassicurazioni, le promesse, le illusioni, le speranze di cui si riempiono la bocca i leader dei partiti di governo e la spietata realtà delle tragiche cifre che compaiono sugli indici della Borsa e, soprattutto, su quei numeri angosciosi di una parola straniera che tutti hanno imparato ormai a conoscere, lo «spread», annuncio di sventura per la categoria più numerosa tra gli italiani, quella dei possessori di titoli di Stato.
Eppure, c’è un decisivo legame tra i due luoghi in cui si svolge lo scenario della politica italiana: il tempo. Il governo sembra aver esaurito il tempo per varare provvedimenti tali da risultare affidabile agli occhi della comunità internazionale e a quelli dei mercati. Napolitano, invece, ha bisogno di tempo per costruire il futuro del dopo Berlusconi. Il rischio, a questo punto, può essere drammatico, perché la realtà di una situazione europea che sembra ormai ingovernabile potrebbe negare proprio il tempo, sia ai tentativi di resistenza alle dimissioni da parte di Berlusconi, sia alla preparazione di un’alternativa politica a questo governo.
Il pericolo maggiore, allora, è proprio quello del vuoto di responsabilità collettiva. Uno scenario in cui anche Napolitano rimarrebbe solo, impotente davanti al rifiuto, da parte di tutti, del sacrificio di un interesse personale per la salvezza del bene comune. Un’ipotesi purtroppo da non scartare, se Berlusconi si ostinasse a non voler vedere la realtà, quella di una sua credibilità internazionale ormai compromessa e se le opposizioni si rifiutassero di consentire il varo di quei provvedimenti, dolorosi sì, ma indispensabili per garantire all’Europa la volontà di rispettare le condizioni per restare nel sistema dell’euro.
Se questa fuga nell’irresponsabilità avvenisse davvero, nulla si può escludere. Perché adesso non basta più l’esperienza del passato per cercare di prevedere il futuro e tutte le convinzioni sulle quali, per decenni, siamo stati abituati a fondare le nostre sicurezze sono state spazzate via dai cambiamenti di un mondo di cui ancora non conosciamo le nuove regole. Purtroppo, i governatori di questo mondo, quelli della nostra Europa, ma anche quelli fuori dal nostro Continente, non sembrano all’altezza del compito. Come se la malattia italiana, la mediocrità delle ambizioni e la miopia degli interessi, avesse contagiato i cosiddetti «grandi della terra». Speriamo davvero che dal vertice di Cannes ci arrivi una solenne smentita.