«C’è un risveglio della società, ce lo dicono queste elezioni». Il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky sarà a Firenze martedì 31 con il direttore di Repubblica Ezio Mauro (cinema Odeon, ore 18). Assieme discuteranno del loro libro-dialogo «La felicità della democrazia». Ma intanto riflette sulle elezioni.
Professor Zagrebelsky, è il fine settimana dei ballottaggi e l´attenzione della politica rivela che il governo è contendibile. Basta questo a dire che la nostra democrazia sta bene?
«Senza dubbio il governo è contendibile, ma domandiamoci come si vota in questo Paese, dove i parlamentari vengono nominati e non eletti e dove c´è un premio di maggioranza che può dare una straordinaria sovrarappresentanza al partito o alla coalizione che ha ottenuto una quota minoritaria di voti, anche se maggiore degli altri. Col sistema attuale un partito minoritario può ottenere una maggioranza che consente la nomina di organi di garanzia. Ma il giorno in cui la presidenza della Repubblica diventasse organo della maggioranza non sarebbe più organo di garanzia. E´ la miopia dei nostri legislatori: si è fatta la legge elettorale senza ripensare gli strumenti di garanzia».
E dunque la nostra democrazia?
«Se siamo in democrazia? Certamente ci sono delle pre-condizioni ma la democrazia è qualcosa di molto più complesso: vive in quanto la società esprime energie positive e negative. Positive quelle che promuovono le politiche, negative quelle che controllano il potere. Quello che sta accadendo in queste elezioni è un risveglio della società, di queste energie».
Si è discusso in questi anni di una democrazia fragile, sottoposta ai colpi del populismo mediatico e carismatico, della scomparsa della dimensione collettiva, dell´abuso delle sue regole. Se questi sono i sintomi, qual è la malattia?
«Se ci fosse una diagnosi chiara e condivisa l´80 per cento del percorso di risanamento sarebbe fatto. Credo che la radice stia nella crisi della politica. La democrazia e la politica sono le dimensioni delle grandi scelte su come si organizza la società. Le alternative su questi temi sono svanite: quando si parla di pensiero unico vuol dire che se viviamo in un modo che non può essere diverso da quello che è e la vita pubblica si riduce ad amministrazione dell´esistente, perché i cittadini si dovrebbero impegnare? Pensiamo alla crisi mondiale della finanza, molti hanno detto che era una bella occasione per ripensare il modello di sviluppo. Vi pare che si sia fatto? Mancando la dimensione politica è chiaro che anche la democrazia si rattrappisce. Siamo arrivati ad un tale punto di degrado che c´è una ripresa della politica sulle pre-condizioni: a Napoli, Milano mi pare ci sia una riscoperta della legalità e del diritto dei cittadini a farsi sentire».
Professore, la parola “berlusconismo” non le piace…
«Dico che gli “ismi” bisogna saperseli conquistare, non è che si danno a destra e a manca. Non l´abbiamo sopravvalutato dandogli l´onore di un modello? Potrebbe rivelarsi un palloncino che si sgonfia».
Ma quello che è accaduto in questi anni non interpella direttamente l´essenza e il futuro stesso della democrazia?
«C´è un rischio di involuzione. Constatiamo tratti populistici e demagogici, la crisi della politica come tensione partecipativa dal basso e il rischio di una degenerazione oligarchica. Non è un destino inevitabile ma per rilanciare la democrazia dobbiamo riaprire il discorso dei fini, uscire dal puro egoismo, interrogarsi sulla nostra società».
A Firenze si è discusso molto dei simboli: aprire o no i negozi nelle date simboliche produce scontro politico. La democrazia deve difendere i suoi simboli in che modo?
«L´uomo politico è un oggetto simbolico, ci riconosciamo nella comunità attraverso i simboli. Ci sono occasioni dove la vita quotidiana si sospende perché c´è qualcosa di più elevato che ci richiama. E´ la stessa domanda che si è posta per i 150 anni dell´unità d´Italia: festivo o no, scuole chiuse o no? Si sospende perché si danno spazi da utilizzare conformemente alla ragione. I simboli non si possono imporre, si promuovono però le condizioni nelle quali si garantiscono gli spazi».
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