L’eterno gioco tra guardie e ladri

20 Aprile 2011

Quando è sembrato che si potesse far luce sul lato oscuro del potere questo è accaduto per iniziativa della magistratura, mai della politica. Ma nella concezione berlusconiana del potere ciò è intollerabile, e da questo muove il progetto di riforma costituzionale della giustizia che metterebbe la politica al riparo dal controllo della magistratura.

Ogni giorno che passa il berlusconismo si rivela peggiore. Abbiamo sentito in Parlamento minacciosi insulti di segno nazistoide contro la deputata del PD Ileana Argentin, disabile. L’episodio è passato sotto silenzio, derubricato a vivace dialettica parlamentare. Poi, l’ennesima campagna di attacco alla magistratura. Berlusconi ha parlato di “brigatismo giudiziario” e sono usciti a Milano i manifesti che riprendono il concetto.

Stefania Craxi (meglio tardi che mai) ammette che si tratta di una guerra tra guardie e ladri. In effetti l’avversione di Berlusconi contro i magistrati si spiega certo con le sue vicende giudiziarie ma ha radici più lontane e profonde. Il capo del governo ora rievoca Mani Pulite, la fine politica di Bettino Craxi e dei partiti della prima repubblica come gravi responsabilità della magistratura. Tutto questo serve a “nobilitare” politicamente la sua guerra contro le guardie, ma c’è anche il livore profondo e covato a lungo di chi è stato sempre dall’altra parte.

Al di là dei reati dei quali è stato ed è imputato, la concezione della politica, del potere, dell’impresa che Berlusconi coltiva da sempre è incompatibile con il lavoro delle “guardie”. Berlusconi aveva la tessera 1816 della P2 e i primi problemi (risolti da una amnistia) gli vennero dall’avere mentito su questo. A scoprire l’esistenza della loggia di Gelli fu la odiata magistratura milanese nel maggio 1981, durante le indagini sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli e sul falso rapimento di Michele Sindona.

Il lavoro dei magistrati italiani ha consentito la conoscenza di vicende di grande importanza storica e politica, prima ancora che giudiziaria. Un elenco sarebbe lunghissimo, dall’istruttoria del giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz sulla strage di Piazza Fontana (1972) a quella padovana di Giovanni Tamburino sulla Rosa dei Venti (1974) fino alle condanne degli alti ufficiali piduisti per i depistaggi nelle indagini sulle stragi e ai processi per le collusioni politico-mafiose.

La storia di questo paese l’hanno scritta soprattutto le indagini della magistratura, con alcune importanti eccezioni: il lavoro di inchiesta di alcuni giornalisti coraggiosi e, sul versante politico, le commissioni parlamentari di indagine sulla P2 (presieduta da Tina Anselmi) e sulle stragi (presidenti Libero Gualtieri e Giovanni Pellegrino). In entrambi i casi, però, il lavoro del Parlamento si fondò su quanto scoperto dalle indagini giudiziarie.

Quando è sembrato che si potesse far luce sul lato oscuro del potere questo è accaduto per iniziativa della magistratura, mai della politica. Nella concezione berlusconiana del potere questo è intollerabile, e da questo muove il progetto di riforma costituzionale della giustizia che metterebbe la politica al riparo dal controllo della magistratura.

Come uscire da questa situazione? Affiora il dubbio che la soluzione non possa essere semplicemente lo scioglimento delle camere e il voto. In effetti il rischio è altissimo. Nonostante tutto, il consenso per il governo e per Berlusconi si è ridotto di poco e una campagna elettorale alterata dallo strapotere mediatico del capo del governo può spostare molti voti, come accadde per le elezioni del 2006 quando il centrodestra, in netto svantaggio nelle intenzioni di voto, alla fine rischiò di vincere. Nel frattempo l’opposizione, sia pure in lieve recupero, ancora non ha ancora una fisionomia e una identità forte.

Una nuova vittoria elettorale di Berlusconi sarebbe una mazzata terribile per il paese. Lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate in conseguenza del puro e semplice venir meno della maggioranza parlamentare, non preparate adeguatamente sul piano della elaborazione di una alternativa e prima che la realtà del berlusconismo diventi evidente per la maggioranza degli italiani, rischiano di rivelarsi un suicidio. Per la democrazia costituzionale si aprirebbe il baratro.

Oltretutto se si ritiene che la via d’uscita sia solo nelle elezioni si finisce, per paradosso, per dare ragione al populismo berlusconiano: il voto come unico momento fondante della democrazia che vive e si esprime solo con il consenso popolare.

Questo equivarrebbe a rassegnarsi non alla fragilità, che è scontata, ma alla impotenza della democrazia di fronte ad attacchi dall’interno che la rispettano formalmente ma ne minacciano le basi, ed ammettere che le istituzioni di garanzia e di controllo, nessuna esclusa, a norma di Costituzione sono impotenti davanti ad un potere illegittimo sordo ad ogni richiamo ma forte della maggioranza in parlamento (per l’effetto, tra l’altro, di una legge elettorale che consente a chi è minoranza nel paese di governare con una ampia maggioranza parlamentare).

E’ difficile rassegnarsi alla conclusione che se non si vota non si può far nulla per arginare le forze eversive che si sono impossessate del potere.

Vale la pena di ricordare ancora una volta il diritto di resistenza di fronte agli attacchi alla democrazia. Diritto costituzionalmente garantito come risulta dai lavori preparatori della Assemblea Costituente e per questo da esercitarsi ovviamente senza alcun tipo di violenza, prevaricazione o eccesso che disgusterebbero per primo chi ne fosse autore.

Negli ultimi tempi questa strada è stata percorsa e con successo. La forte e pacifica mobilitazione della società civile sembra avere lasciato il segno. L’opposizione parlamentare e politica è più determinata, sia pure con un linguaggio che non sempre riesce a comunicare il senso della estrema gravità di quello che accade. Occorre continuare su questa strada, ribellarsi, denunciare sempre con maggiore forza la natura volgare ed eversiva del potere berlusconiano, anche perché il blocco di potere intorno a Berlusconi mostra qualche cedimento. Confindustria è sempre più critica e la caduta di Geronzi all’insaputa di Berlusconi è eloquente.

E forse qualcuno nel centrodestra, non certo per amore delle istituzioni ma poco importa, comincia a temere che per il terrore dei processi o per mancanza di senso del limite il capo del governo non si controlli più e a breve possa fare o dire qualcosa che lo renderebbe indifendibile perfino dai suoi (il “brigatismo giudiziario” ancora non basta, evidentemente) e dai meno accecati tra gli elettori del centrodestra già delusi dalla incapacità del governo, privo di guida, ad affrontare qualsiasi problema che non sia la salvaguardia giudiziaria del padrone.

Se il centrodestra dovesse collassare nel paese, prima ancora che nel parlamento, allora sì che le elezioni sarebbero benvenute.

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