Giustizia, le domande dei magistrati

20 Aprile 2011

È così difficile schierarsi in questo momento? È così difficile capire che la credibilità delle istituzioni è patrimonio dell’intera comunità? È velleitario augurarsi che non si smarrisca il senso della storia e delle sue tragedie, peraltro neppure tanto remote? E chi ha il compito di tenere viva la memoria di una comunità, se non chi ha maggiori responsabilità: nelle istituzioni, nelle professioni, nelle diverse articolazioni di una società che vuole essere ancora libera?

Egregio Direttore,
insulti, denigrazioni e attacchi delegittimanti ai magistrati -nonostante i ripetuti inviti del Presidente della Repubblica alla moderazione ed al rispetto delle istituzioni- sono, da tempo, abituali modalità espressive del Presidente del Consiglio e di altri esponenti politici, allorché si occupano di giustizia. Gli ultimi episodi, tuttavia, devono suscitare un vero e proprio allarme. Dimostrano, infatti, che si è creato un clima favorevole al diffondersi di certe prassi. Le timide reazioni che esse hanno trovato, quando non sono cadute nel silenzio, stanno –probabilmente- convincendo molti che è ben possibile continuare su questa strada, che assicurerà un risultato: il discredito generalizzato dei magistrati e della loro funzione, benché essenziale per la sopravvivenza dello Stato democratico di diritto. Mi domando a chi giovi il fatto che chi è chiamato giornalmente a dare a ciascuno il suo, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, sia guardato pregiudizialmente con sospetto dalle parti in causa.
Ma non è questa la ragione che mi induce ad intervenire. Ciò che mi allarma e mi indigna – e so di interpretare opinioni e sentimenti di tutti i magistrati del Piemonte e della Valle d’Aosta – è che si sia superata la soglia della tollerabilità. E mi inquieta il fatto che ciò sia ancora una volta avvenuto nel silenzio assordante dei più.
Mi riferisco ai manifesti apparsi nei giorni scorsi nelle vicinanze del Palazzo di Giustizia di Milano, che segnalavano l’asserito “brigatismo” dei pubblici ministeri di quella città. Una infamia. È difficile non pensare ad Emilio Alessandrini ed a Guido Galli, pubblico ministero e giudice istruttore a Milano, due tra i migliori magistrati di questa Repubblica, assassinati (lo spiegarono i terroristi) perché con il loro lavoro riuscivano a dare credibilità allo Stato. E se, come è inevitabile, il pensiero torna a loro, è difficile non indignarsi e fronteggiare l’inquietudine.
Siamo indignati per il contenuto del volantino. Come definirlo? Rozzo? Squallido? O semplicemente irresponsabile? Davvero non ci sono parole. Ma siamo ancor più indignati per il fatto che il pensiero di alcuni uomini delle istituzioni lo abbiamo letto solo sui quotidiani di domenica, mentre ci attendevamo ben altra reattività alla notizia uscita già venerdì.
Ci inquieta il silenzio dei più anche in questa occasione. Non ho letto reazioni dell’avvocatura. Non so di attestazioni di solidarietà ai magistrati di questa città: non sono venute né dagli avvocati, né da altri. Eppure in questa città, all’esito di un giusto processo –giusto anche allora- fu accertata la colpevolezza degli assassini di Emilio Alessandrini e di Guido Galli. Prima, sempre a Torino, le Brigate Rosse avevano colpito l’avvocato Fulvio Croce e dopo la ‘ndrangheta uccise il Procuratore Bruno Caccia.
Ecco perché noi magistrati ci domandiamo: è così difficile schierarsi in questo momento? È così difficile capire che la credibilità delle istituzioni è patrimonio dell’intera comunità? È velleitario augurarsi che non si smarrisca il senso della storia e delle sue tragedie, peraltro neppure tanto remote? E chi ha il compito di tenere viva la memoria di una comunità, se non chi ha maggiori responsabilità: nelle istituzioni, nelle professioni, nelle diverse articolazioni di una società che vuole essere ancora libera?
Per questo i magistrati del Piemonte e della Valle d’Aosta avvertono come loro dovere il far sentire la propria voce. Lo stiamo facendo in questi giorni e continueremo a farlo, per spiegare che la difesa della legalità, in questo paese, è a rischio, e che è triste il futuro di un paese che non si indigna mentre vede screditati coloro che sono chiamati a difenderla: guai se subentra l’assuefazione alla deriva di questi giorni!
Cordialmente

* Presidente della Giunta del Piemonte e Valle d’Aosta dell’Associazione Nazionale Magistrati

Questa lettera è stata inviata al direttore de La Stampa e pubblicata sul quotidiano di Torino il 20 aprile.

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