E così le opposizioni nostrane rischiano di fare la fine degli insorti di Bengasi. Proprio come Gheddafi, che sta riconquistando a cannonate i territori perduti, il Cavaliere risale la corrente facendo dimenticare il bunga bunga e sferrando la sua controffensiva sul terreno della giustizia. Il colonnello libico approfitta dell’inconcludenza internazionale, mentre il premier italiano conta su quella dei suoi avversari. Che infatti, puntualmente, si dividono e si attaccano l’un l’altro sul tema: dialogare o non dialogare? E giù anatemi: da sinistra sull’infido Casini che vuol sedersi al tavolo con l’odiato raìs di casa nostra, e dal centro sulla sinistra plagiata dalle procure.
È un copione già visto, ed è quello che ha permesso fin qui a Berlusconi di superare anche i momenti più difficili. Tornare a recitarlo sarebbe, da parte del centro e della sinistra, un’imperdonabile pulsione suicida. Bisogna scegliere un’altra strada. La strada di un progetto convincente ed equilibrato per la riforma della giustizia.
La premessa per imboccare questa via è il rifiuto della proposta berlusconiana. E questo rifiuto c’è, anche se viene espresso con toni diversi. Il Pd lo proclama a gran voce, mentre Casini usa parole flautate per dire sostanzialmente le stesse cose. Dunque non dovrebbe esserci problema, e invece non è così. Il fatto è che Pd e Terzo Polo parlano a fasce diverse dell’opinione pubblica. Bersani deve rispondere a cittadini furibondi, che non ne possono più di Berlusconi e della sua corte dei miracoli, e che non vogliono vedere i loro rappresentanti seduti allo stesso tavolo del Cavaliere, anche se lo facessero per combatterlo meglio. Casini si rivolge ad un elettorato più incerto, che non detesta il premier e magari in passato lo ha anche apprezzato, e che oggi chiede ragionevolezza e pacatezza.
Non è perciò il caso di scandalizzarsi per la differenza di toni. Non è questo che farà danni.
Piuttosto bisogna ragionare bene sul perché Berlusconi, che parla da anni di riforma della giustizia, abbia deciso di passare ai fatti proprio adesso, e per di più offrendosi di sgombrare il campo dagli oggetti di polemica che lo rendevano un facile bersaglio, come le leggi ad personam pendenti in Parlamento. Non è difficile da capire: il caso Ruby lo ha azzoppato, i processi si avvicinano, e lui ha un disperato bisogno di parlare, e di far parlare, d’altro. Ben sapendo che un progetto di riforma costituzionale di questa portata ha scarsissime possibilità di essere approvato dalle Camere nel tempo residuo della legislatura, ammesso che questa arrivi alla scadenza naturale del 2013.
L’intera faccenda assomiglia dunque a un colossale diversivo, anche se assai insidioso. C’è allora un modo semplice per smontarlo: presentare un progetto alternativo. Va detto che il Pd quel progetto ce l’ha già, e l’ha anche presentato in Parlamento. Quello che manca è di presentarlo ai cittadini, di aprire su di esso un confronto costruttivo che coinvolga il Terzo Polo, e di sbatterlo sul tavolo del Cavaliere.
Non sembra un’operazione troppo difficile. A meno di non voler fare la fine dei polli di Renzo.