Quando l’opposizione sapeva fare l’opposizione

03 Marzo 2011

Numeri e politica, insieme, potrebbero dare una tattica parlamentare per mettere il governo con le spalle al muro. Non è una questione che riguarda solo il Pd, visto che le assenze erano equamente distribuite nella votazione sul federalismo fiscale: mancavano due democratici, ma anche due del Fli, dell’Mpa e dell’Udc. Più uno dell’Idv e cinque in missione. Se fossero tutti presenti nelle votazioni ordinarie, quando la tensione nella maggioranza si allenta, il governo andrebbe sotto a ripetizione.

Occhio ai numeri: sul federalismo fiscale la maggioranza ha ottenuto 314 sì contro 291 no e due astenuti, i rappresentanti delle minoranze linguistiche Brugger e Zeller. Ciò significa che Berlusconi è rimasto sotto la fatidica quota di 316 voti, cioè la maggioranza assoluta dei deputati. Lui dice che se i suoi parlamentari fossero stati tutti presenti ne avrebbe avuti 322, anche se i conti fatti dai giornali (319) sono più avari. Ma la campagna acquisti continua e la distanza tra maggioranza e opposizione potrebbe aumentare ancora.

Nulla da fare, allora? Niente affatto. I risultati delle votazioni avvenute dopo la fallita spallata di dicembre non sono mai stati trionfali per il governo, anche se gli hanno consegnato la vittoria. E questo perché le assenze sono fisiologiche in una assemblea di 630 persone: ci sono le missioni, e cioè le assenze giustificate per doveri d’ufficio, ci sono le malattie, ci sono i contrattempi. Tutte cose che però colpiscono l’opposizione al pari della maggioranza. La coalizione berlusconiana ha tuttavia uno svantaggio in più: la massa di deputati che sono anche ministri e sottosegretari. Chi ha doveri di governo trova grandi difficoltà ad essere presente in ogni votazione. Come si ricorderà, Prodi fece dimettere i suoi ministri e sottosegretari dal Parlamento per non rischiare ogni giorno la vita dell’esecutivo. Berlusconi ha pensato di fare la stessa cosa nei momenti difficili che hanno seguito l’uscita di Fini dal Pdl. Poi ha rinunciato, forse per non indispettire i suoi.

E qui veniamo alla seconda difficoltà della maggioranza. Una difficoltà tutta politica. Non se ne è parlato molto, ma il gruppo dei “responsabili”, quello che viene definito la terza gamba della coalizione di governo, non si sta dimostrando molto acquiescente. Si era già fatto vivo sul decreto milleproroghe, mandando sotto il governo su un ordine del giorno riguardante l’anatocismo (il meccanismo per cui le banche fanno pagare gli interessi sugli interessi). È tornato ad alzare la testa anche sul federalismo municipale, chiedendo garanzie per il Sud: “Abbiamo trattato”, confessa contrariato Calderoli al Corriere della Sera. E dovranno continuare a farlo. Perché i responsabili sembrano intenzionati a far pesare il loro consenso, determinante per la vita del governo.

Se si mettono insieme queste due cose, numeri e politica, non dovrebbe essere impossibile per le opposizioni studiare una tattica parlamentare che potrebbe mettere il governo con le spalle al muro. Non è una questione che riguarda solo il Pd, visto che le assenze erano equamente distribuite nella votazione sul federalismo fiscale: mancavano due democratici, ma anche due del Fli, dell’Mpa e dell’Udc. Più uno dell’Idv e cinque in missione. Se fossero tutti presenti nelle votazioni ordinarie, quando la tensione nella maggioranza si allenta, il governo andrebbe sotto a ripetizione.

Naturalmente non si può pensare di portare ogni giorno a votare anche quelli che si trovano in ospedale, come è avvenuto per la mozione di sfiducia del 14 dicembre. Ma non c’è bisogno di arrivare a tanto: basterebbe sapere qualcosa di regolamenti e tattiche d’aula. Nella prima repubblica queste erano materie di studio obbligatorie per i capigruppo e per i loro staff. Possibile che di quegli esperti si sia persa ogni traccia?

Insieme a quella antica sapienza bisognerebbe riscoprire anche la capacità di manovra politica: il gruppo dei responsabili e la Lega possono entrare in rotta di collisione. Una tendenza che le opposizioni hanno tutto l’interesse ad incoraggiare. Ovviamente prima devono mettersi d’accordo tra loro, ma è solo tattica e in teoria non dovrebbe essere impossibile. In teoria, appunto. Perché in pratica le opposizioni, tutte, sembrano incapaci di percepire le opportunità e di agire in modo coerente per coglierle. Speriamo che cambino: in un momento come questo, di grande mobilitazione popolare e di sondaggi in calo costante per il Cavaliere, crogiolarsi nella paralisi sarebbe imperdonabile.

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