La strategia del Cavaliere

02 Marzo 2011

Berlusconi ha ordinato alla sua maggioranza di sollevare alla Camera, per la vicenda Ruby, il conflitto di attribuzione tra Parlamento e Procura di Milano. Non è solo una partita con i giudici. L’offensiva è politica, e ha bersagli eccellenti. La sfida a Fini è dichiarata

Ci siamo. Berlusconi ha ordinato alla sua maggioranza di sollevare alla Camera, per la vicenda Ruby,  il conflitto di attribuzione tra Parlamento e Procura di Milano. Non è solo una partita con i giudici. L’offensiva è politica, e ha bersagli eccellenti. Il primo attacco è a Fini. Se dirà no, verrà accusato di operare in combutta con le “toghe rosse”, e le polemiche contro la sua presidenza si faranno insopportabili. Se dirà sì, passerà alle cronache come chi si è piegato ai voleri berlusconiani. Se  penserà di lavarsene le mani e rinvierà la decisione all’Aula, non muterà questo metro di giudizio perché qui il Cavaliere ha acquistato i voti che gli servono per vincere. Ma, in ogni caso, il percorso di guerra berlusconiano non si ferma a questa tappa. Investe il Quirinale che aveva suggerito al premier di non coinvolgere il Parlamento nelle proprie vicende giudiziarie. E arriva anche alla Corte costituzionale perché, se l’iniziativa va avanti,  è in questa sede che sarà valutata la legittimità del conflitto d’attribuzione. E la Consulta, come si sa, rappresenta per Berlusconi un covo di “ermellini rossi”.

Sarà, dunque, guerra totale. Il Cavaliere le inventerà tutte. Se il conflitto d’attribuzione non dovesse bastare, ci sarebbe pronta un’altra arma, più pesante: “l’improcedibilità”, vale a dire la richiesta al Parlamento, a scrutinio segreto, di negare l’autorizzazione a procedere contro il premier. L’obiettivo è esasperare i toni, fare della vicenda la polarizzazione dello scontro tra “golpe giudiziario” e “sovranità del Parlamento”. Berlusconi non ammette dubbi:”Andiamo sino in fondo, e vediamo chi vince”. Le più recenti dichiarazioni del premier hanno tracciato il percorso. L’attacco al capo dello Stato e alla Corte costituzionale (“Il Quirinale mi rimanda indietro le leggi, i giudici di sinistra me le bocciano”) non è il frutto di uno scatto di nervi, la ricerca di un capro espiatorio sul quale scaricare tutti i fallimenti dell’azione governativa. Serve, invece, per alzare il prezzo dello scontro e preparare una guerra istituzionale senza precedenti. C’è da pensare che Berlusconi si stia predisponendo alla più robusta spallata reazionaria mai tentata nella storia dell’Italia repubblicana. Il personaggio non ha mai sopportato la Costituzione e le regole della democrazia parlamentare. Il bilanciamento dei poteri è per lui un’eresia. Prevale su tutto il contatto diretto con un’opinione pubblica manipolata dal controllo egemonico dei media televisivi. Ma ormai si sta superando ogni limite. Non ci sono più filtri. Non c’è alcuna remora. L’uomo che, per il suo incarico istituzionale, dovrebbe rappresentare lo Stato e il bene pubblico, si prepara ad agire come il leader dell’anti-Stato.

La maggioranza di centrodestra al momento tiene, rimpinguata dall’ultima campagna acquisti. Certo, quanto prima, Berlusconi dovrà soddisfare gli appettiti della famelica orda ( i cosiddetti “responsabili”) che si è messa in casa. E dovrà farlo in termini di ministeri, poltrone, sottogoverno. Attento a non sbagliare una mossa. Ma non si prevedono contraccolpi a breve termine. Bossi rimane in questa fase un alleato fidato. La Lega ha messo la sua firma sotto la richiesta del conflitto d’attribuzione, avendo in cambio la garanzia del voto di fiducia sul federalismo municipale. Non ci saranno scorciatoie per l’opposizione. Crescono, di conseguenza, le sue responsabilità. Si impone l’esigenza di una strategia che non pensi solo al giorno per giorno e che sappia superare particolarismi e interessi di bottega. La febbre di mobilitazione che caratterizza in questi ultimi tempi il centrosinistra – dalla manifestazione delle donne in difesa della loro dignità alla straordinaria partecipazione alle primarie torinesi – offre segnali che non possono andare dispersi. Bisogna combinare una battaglia parlamentare efficace e la mobilitazione popolare. Per rimettere al centro del dibattito pubblico quelle idee che sono patrimonio della democrazia: credibilità, senso del bene comune, spirito legalitario.

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