Sono felicemente accorsa all´appello di Libertà e Giustizia, ed ero con le anime belle del Palasharp, “miserabili” azioniste, come qualcuno ha scritto. Mi ero invece dimenticata di firmare l´appello in difesa della dignità delle donne. Rimedio subito. Ma forse c´è una ragione per cui la questione dell´immagine delle donne sembra passare in secondo piano rispetto al resto di quello che sta succedendo. Non a caso forse anche due scrittrici che mi hanno preceduto nei loro interventi su questo giornale la prendono un po´ larga, con due bellissime immagini, facendo della donna un simbolo, l´una della verità stuprata quotidianamente, l´altra della nostra povera Italia umiliata e offesa. Non capisco invece un´acca dell´accusa che altre fanno di “moralismo”: questa parola mi sembra la parola più usata a sproposito dell´ultimo mezzo secolo. Questa parola che mezza Italia spara con disprezzo sull´altra mezza, su quella più sconcertata di fronte alle peggiori infrazioni all´etica pubblica che si possano immaginare, perpetrate per di più da uomini (e donne) nel pieno abuso delle loro funzioni pubbliche. Ma veniamo all´immagine delle donne, e alla ragione per cui una quasi perfino se ne dimentica, di fronte a tutto il resto. Come ha scritto un signore che si definisce “liberale” – e certo anche qui la tolleranza nell´abuso delle parole è degna di nota – noi signore, almeno fino a una certa età, stiamo “sedute sulla nostra fortuna”. Lui invece no? Ma si rassicuri, che il sesso maschile resta, a quanto ci raccontano certi primi ministri e i loro prosseneti, affascinantissimo ben oltre quell´età. Al signore liberale però vorrei chiedere anche se incoraggerebbe sua figlia o sua nipote a far partecipare qualche utilizzatore finale di quella bella grazia su cui siede. Perché immagino che sua figlia o sua nipote, esattamente come lui, vorrebbero essere riconosciute portatrici anche di altri valori e quindi di altre fortune che quella, spesso graziosa e sempre utile, parte del corpo. E dunque sentirebbero un po´ offensivo sentirsi monetizzare in relazione esclusiva a quella parte. Esattamente, suppongo, come lui. Se invece ci fosse alcuno, un bello stallone poniamo, che umilmente e orgogliosamente rivendicasse la sua stallonità come la sua maggior gloria, e/o la sua miglior risorsa economica, benvenuto stallone: questa sarebbe la sua legittima scala di valori, diciamo così il suo ethos; e siccome è il suo, nessun altro può metterci il becco – nell´esatta misura, s´intende, in cui non lede né il codice penale né il rispetto dovuto a qualunque altra persona. Né, ancora più ovviamente, la diversa scala di valori necessariamente legata a una carica o funzione pubblica. (Orrenda lesione sarebbe certo – ipotesi inimmaginabile! – un primo ministro che praticasse ed esaltasse come sua miglior virtù l´arte dello stallone). Concludendo: una cosa è che uno senta e scelga i valori del sedere, come la cosa di sé migliore e più preziosa; tutt´altra cosa è che glielo imponga un altro, magari solo per via di generalizzazione illiberale, del tipo: non lo vedete, uomini belli, che state seduti sul vostro vero valore? Ecco, il problema è tutto qui. Questa domanda era una introduzione elementare al concetto di “avere pari dignità e diritti”, cioè al principio che sta alla base non solo della giustizia morale personale, ma anche dell´etica pubblica, e di tutta la serie dei diritti, civili politici e sociali, su cui si fonda una democrazia liberale. Ma se perfino i grandi “liberali”, in Italia, questo principio non lo hanno ancora capito, val proprio la pena di scendere in piazza un´altra volta, a ribadirlo.
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