Diritto di polizia

20 Dicembre 2010

IL DISEGNO, ogni ora che passa, si fa chiaro e non sorprende. Il governo, politicamente debole, sordo alle difficoltà del Paese, lontano da una società che umilia, vuole rilanciare se stesso inventando una nuova emergenza. Addirittura un’emergenza “terrorismo”. Secondo una leadership politica che fa vanto di essere stata fascista (La Russa, Gasparri, Alemanno), “terrorismo” sarebbero le manifestazioni di protesta contro la “riforma Gelmini” e potenziali “terroristi” chi vi partecipa.

Quindi, sostenuta dal ministro dell’Interno, prima ha escogitato lo sciagurato trucco di far valere per i manifestanti più ostinati – scelti come? selezionati da chi? – il divieto di accedere alle manifestazioni sportive (D. a. spo.) di fatto ipotizzando un ritorno al Testo di Pubblica Sicurezza in vigore, dal 1926, nel ventennio fascista. Quel testo, che definiva misure di prevenzione in base al solo sospetto, non imponeva di accertare la responsabilità diretta per fatti considerati dalla legge reati. Per sottoporre il “soggetto pericoloso” a una severa vigilanza e lontano da casa, riteneva sufficiente un ipotetico “pericolo alla sicurezza pubblica e all’ordine politico”. Sono più o meno – non vi pare? – le ragioni che hanno convinto in coro il ministro dell’Interno (Maroni) e della Giustizia (Alfano) a dare sulla voce ai giudici che, in attesa del processo, hanno rimandato a casa i giovani e giovanissimi arrestati il 14 dicembre a Roma.

Già
poteva bastare per dirsi impensieriti dai giorni che verranno, ma eravamo soltanto all’inizio di una progressione autoritaria. Maurizio Gasparri – chi altro? – chiede ora “arresti preventivi”. Il presidente dei senatori della destra dice: “Serve una vasta e decisa azione preventiva. Si sa chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. Qui ci vuole un “7 aprile”. Mi riferisco al giorno in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo”.

Sorprendersi? Le parole di Gasparri – non smentito da quel capo di governo che, amante dei trucchi, chiama a sé i “moderati” per difendere il suo malfermo potere – confermano quel che già avevamo capito da tempo, in verità. Innanzitutto che, ammesso e non concesso che non sia stata una trovata da marketing politico, la “rivoluzione liberale” promessa da Berlusconi fallisce per l’incapacità politica di progettarla e per la cultura di un’élite che non si è allontanata di molto dalle celebrazioni del fascismo delle leggi razziali e della Repubblica di Salò. Due. Il “garantismo” della destra italiana non è altro che la difesa di un diritto del privilegio e dell’esclusione che dovrebbe assicurare indulgenze ai Potenti e rigido e inflessibile castigo ai Deboli. Lo abbiamo già visto in azione contro rom e migranti. Ora Gasparri lo pretende contro gli avversari politici richiamando, con la storia del “7 aprile” del 1979, il momento forse più limpido di quel che un filosofo del diritto, Luigi Ferrajoli, ha definito la “crisi della ragione giuridica” che ha attraversato per decenni le emergenze del terrorismo e della mafia.

Anche se oggi non si scorge alcun pericolo, alcuna urgenza, alcun terrorismo, nessun terrorista, la destra di governo chiede che siano attive le stesse prassi di quella stagione: prassi in cui prevalgono le ragioni dell’efficienza coniugate alla facile idea, propria del senso comune autoritario, che la giustizia “deve guardare al reo dietro al reato, alla sua pericolosità dietro la sua responsabilità, all’identità del nemico più che alla prova dei suoi atti d’inimicizia” (Ferrajoli). Tre. In coerenza con la propria cultura politica, la destra di governo invoca uno Stato etico dove morale e diritto si confondono e la salvaguardia del principio di stretta legalità è sacrificato ai “poteri arbitrari che trovano il loro spazio naturale nella definizione non tassativa dei reati, nella flessibilità delle pene, nel potere dispositivo, e non cognitivo, del giudice” (Norberto Bobbio).

Ci sarà tempo per interrogarsi sulla pressione scaricata sulle polizie sospinte dalla volontà autoritaria del governo nello spazio stretto tra la politica e il diritto, tra la violenza e la legge (già “Genova 2001” ci ha detto che in uno Stato che si presenta come questurino c’è chi è disponibile a un’illegalità criminale quando il dissidente diventa un “nemico” da annientare). Oggi vale la pena soltanto rinnovare una preoccupazione che sarà opportuno che sia condivisa nelle prossime ore. Contro un movimento di giovani che rifiuta un progetto di ordine sociale, che si oppone a un’eterna precarietà, alla caduta di ogni garanzia di eguaglianza e chiede opportunità e futuro, il governo decide di rafforzare se stesso preparando il peggio. Evoca un “diritto di polizia” e un uso della violenza. Accende la rabbia. Eccita gli animi meno consapevoli. Cinicamente fa di conto: nuovi disordini gli fanno gioco, debole come è. È questa la funesta trappola che, a partire da oggi, i “movimenti” dovranno aggirare con lucidità e intelligenza.

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