Se si prova a ragionare a mente fredda, al di là dei proclami autoconsolatori (quello del Pd sull’opposizione “più forte” e quello del Pdl che sventola le bandiere), si vede che la vittoria berlusconiana è assai magra, ma la sconfitta di Fini è squillante. Ed è in base a questi due dati che bisogna osservare il seguito della partita.
Per il presidente della Camera, la cui poltrona comincia seriamente a vacillare, si tratta di vedere se il suo gruppo, al netto dei tre transfughi, reggerà oppure se partirà il controesodo. Se Fli resterà compatta, anche il suo progetto rimarrà in piedi: non mancheranno occasioni per far ballare Berlusconi sulla corda dei suoi tre voti di vantaggio e per costruire, sull’affanno di un governo minoritario, una soluzione alternativa. Se invece ci sarà lo smottamento, Fini si avvierà ad uscire ingloriosamente di scena.
Ma questo, e cioè il parziale rientro dei finiani, non basterebbe comunque a Berlusconi per recuperare la piena funzionalità del governo. Per questo accarezza Casini e ha perfino convinto Bossi a ritirare il suo veto all’Udc. È una manovra che può avere successo? La logica politica dice di no. Casini si è costruito in questi anni un patrimonio di coerenza che getterebbe al vento se accettasse un’operazione di pura sostituzione: fuori Fli, dentro l’Udc. E infatti ha già rifiutato. Chiede, per cominciare a discutere, quel che chiedeva prima del voto di fiducia: le dimissioni di Berlusconi e la nascita di un governo nuovo, sia nella composizione che nel programma. Ora che ha vinto, il Cavaliere potrebbe anche concederglielo, ma è difficile che accetti di rischiare: quando si apre una crisi non si sa mai dove si andrà a finire, anche se la si chiama “crisi pilotata”. E poi c’è l’incognita Bossi, alleato fedele solo finché gli converrà. Perciò ha scelto una tattica molto più congeniale al berlusconismo: quella di far scendere in campo le gerarchie vaticane perché facciano pressioni sul cattolicissimo Casini. Ci riuscirà? Staremo a vedere. Anche perché nel frattempo bisognerà governare e le vie parlamentari saranno disseminate di trappole.
Ecco perché la strada delle elezioni anticipate appare ancora la più probabile. Anche questo però è un azzardo perché con gli attuali rapporti di forza l’odierna maggioranza avrebbe la quasi certezza di perdere Palazzo Madama. Il professor Sartori ha avanzato l’ipotesi che il premier possa cercare di cambiare la legge elettorale introducendo anche per il Senato il premio di maggioranza su base nazionale. Tuttavia bisogna ricordare che questo c’era nella versione originale del Porcellum, che fu modificato dopo che il Quirinale fece notare che la Costituzione prescrive che il Senato venga eletto su base regionale. L’obiezione rimane valida e non si vede come possa essere superata.
Il quadro, dunque, è estremamente confuso e ogni sbocco appare possibile. Come direbbe Mao, la situazione per l’opposizione è eccellente. Non si capisce, perciò, perché nel Pd sia cominciata la solita autoflagellazione. In questo caso, infatti, non ha colpe: non era sulla linea del fronte, tutto interno al centro destra, e ha tenuto compatte le sue truppe. Altro non poteva fare, nella battaglia di Montecitorio. Ora, invece, ha ampie possibilità di azione. Purché smetta di farsi del male. Altrimenti, possiamo esserne certi, Berlusconi troverà il modo di uscire dalla stretta. Lui non si arrende mai, e questa è l’unica lezione positiva che varrebbe la pena di imparare dal Caimano.