L’ultima volta che il colonnello Gheddafi è stato a Roma con un drappello di cavalli berberi, il ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, ha avvertito il bisogno di riaccompagnare l’ospite sotto tenda, sino a Tripoli. L’elegante maestro di sci fornì, ancora una volta, un’altissima prova di classe scortando Gheddafi in patria per assicurarsi, forse, che i ventilatori funzionassero alla perfezione. Quando si è trattato di andare alla Camera per rispondere al “question time” sulla sparatoria di una motovedetta libico-italiana contro un peschereccio di Mazara del Vallo, il ministro ha di nuovo preso l’aereo, sostituito alla Camera dal ministro per i rapporti col Parlamento Elio Vito. Frattini però non ha fatto rotta su Tripoli, per andargliele a cantare all’amico d’affari. Frattini ha girato la testa al ciuccio ed è scappato ad est. Si è ricordato che a Zagabria si sarebbe riunita la commissione mista italo-croata al cui incontro, peraltro, l’Italia è già ben rappresentata dai ministri Galan e Castelli.
Il ministro degli esteri ha preferito il quieto assembramento oltre Adriatico per sfuggire ai quesiti che gli sarebbero stati posti alla Camera, in diretta tv, su quanto avvenuto su un mare molto ma molto più agitato. Avrebbe, il ministro, dovuto spiegare perché il governo e tre ministri – lui medesimo, Maroni e La Russa – hanno dato, in buona sostanza, questa versione sull’attacco armato al peschereccio Ariete: i libici (con ufficiali italiani a bordo) hanno sbagliato, credevano di sparare a clandestini. Una versione che fa orrore e che ha finito con il prevalere, come se sparare per uccidere ai clandestini fosse previsto dalla regole d’ingaggio concordate tra il governo libico e il governo Berlusconi. Evidentemente, il leggiadro Frattini ha pensato di non poter reggere il confronto in aula e, come si dice, s’è dato. Lo slalom, del resto, gli viene molto bene.