Il presidente della Camera, Gianfranco Fini: “In un grande paese democratico la libertà di stampa non è mai sufficiente”. E il presidente dell’Autority per le comunicazioni, Corrado Calabrò: “La libertà d’informazione va difesa da ogni tentativo di compressione”. Due voci, tra le più autorevoli, intervengono con severità nel dibattito politico in corso sulla proposta del governo sulle intercettazioni che ha mobilitato, con i giornalisti (che attuano venerdi una giornata di silenzio totale), tanta parte dell’opinione pubblica.
L’occasione è stata data dalla presentazione al Parlamento della relazione annuale dell’Agcom. Prima che Calabrò illustrasse il documento è intervenuto Fini il quale, in coerenza con l’iniziativa che sulla legge-bavaglio lo vede in duro contrasto con il presidente del Consiglio, ha sottolineato che “un grande paese democratico ha bisogno di una informazione forte, libera e autorevole” poi insistendo che la libertà di stampa “non è mai sufficiente”. Assai polemico anche con i tagli all’editoria prospettati dal governo. Bisogna, ha detto, ”introdurre nell’ordinamento ulteriori norme che tutelino l’accesso ai mezzi dell’informazione”. “In Italia non abbiamo bisogno di politiche di drastici tagli all’editoria ma, semmai, di un accorto lavoro che selezioni gli strumenti più appropriati di sostegno pubblico e bandisca ogni forma di intervento clientelare”, ha aggiunto il presidente della Camera ricordando come i dati Istat “certificano che in Italia prospera e cresce un esercito di quasi venti milioni di non lettori” e che “quando si tratta di scegliere per chi votare, gli italiani si informano principalmente attraverso i tg per il 69% mentre ai quotidiani si rivolge solo il 25%”.
Altrettanto esplicito nel contestare le scelte del governo è stato subito dopo il presidente dell’Autority: “La libertà d’informazione è forse una libertà superiore ad altre costituzionalmente protette e va difesa da ogni tentativo di compressione”. Calabrò ha ricordato che il Trattato di Lisbona pone il pluralismo dell’informazione alla base dei “principi fondanti dell’Unione europea”. Il presidente dell’Agcom ha sollecitato poi regole comuni, per Rai ed emittanti private, sulla comunicazione politica: “Sistemi diversi (come quelli con cui è stata condotta la recente campagna elettorale per le regionali, ndr) danno adito a sfasature e distorsioni”. Ancora, Calabrò è tornato a battere sulla necessità di liberare la gestione della Rai dai partiti. “La Rai – ha detto – Non ha le risorse sufficienti per migliorare la rete di trasmissioni, per investire nell’alta definizione e nella televisione su internet svolgendo quel ruolo di pivot delle nuove tecnologie segnato dalle linee guida” fissate dall’Autority. Da qui una energica sollecitazione: “Si liberino quindi gli elementi imprenditoriali con un assetto diverso della governance, svincolato dai partiti, che valorizzi la capacità gestionale e decisionale (con le correlative responsabilità); si chiarisca e si renda più trasparente ed accountable agli utenti il ruolo della tv pubblica”.
Sbalorditivo, grandioso, eccezzziunale … veramente (direbbe Diego Abatantuono), non mi ero mai accorto di quanto fosse appassionata e appassionante la cultura democratica di Fini per la libertà di stampa.
Il bello (ma si fa per dire) è che ce ne accorgiamo tutti dopo un “Cursus honorum” trentennale: e per trent’anni si è sorbettato gli insulti dei comunisti che lo hanno sempre etichettato fascista all’acqua di Fiuggi. Immaginarsi, a questo punto, che è cofondatore di un Partito che ha in approvazione alla Camera un D.D.L. che disciplinerà i limiti della libertà di stampa.
Ma paradossale è anche la definizione di libertà oltre la libertà che un grande Paese deve coltivare per godere di una vera libertà di stampa: che ha voluto intendere? Forse che la libertà, sic et simpliciter, non è libertà? Deve essere corredata di altri orpelli (optional extra) e aggettivi la libertà per essere una libertà degna di tal nome? “La libertà di stampa, per un Paese democratico, non è mai sufficiente”! .. ribadisce Fini con aria sussiegosa: quindi? Un Paese libero può anche credere di essere libero ma in realtà non lo è?
A che gioco giochiamo? Siamo liberi o fingiamo ad esserlo? A mio parere è la retorica che prende il sopravvento e il neofita Fini perde i freni inibitori e la logorrea lo lancia in voli pindarici che magnificano la sua recentissima conversione ai rituali democratici. Oddio! Cosa sempre lodevole l’approdo alla democrazia, anche se, nel caso di Fini, la maturazione della sua coscienza democratica ha dovuto superare tutti i travagli della tundra nordica e le dune infuocate del deserto sahariano.
Come si dice: “Meglio tardi che mai”.
Celestino Ferraro
“MACHINATIO STUDIOSA”
È un’Himalaya di cultura. Se non si è armati di corda, piccozza, scarponi, ramponi, qualche bombola d’ossigeno, e tanta volontà socratica, si è prede sacrificali dell’abisso dell’incultura e la figuraccia dello stupido temerario è a portata di sarcasmo.
Per leggerlo e interpretarlo è necessario fornirsi di Wikipedia (Internet), e seguire passo passo, parola dopo parola, gli argomenti richiamati dal multiforme sapere del Maestro: senza è impossibile stare in cordata, il precipizio dell’ignorantaggine sta lì per ingoiarci.
Scopriamo così che finanche Vitruvio (architetto studioso delle proporzioni del corpo umano, quell’uomo impresso sul retro dell’euro italiano) – celeberrimo ispiratore del disegno di Leonardo sulla perfezione del corpo umano – entra nell’esame culturale che fa una schifezza il nostro Cavaliere. Una ripugnanza antica assale il Professore quando è costretto dal mestiere a parlare del “Caimano” – Leviathan rettile biblico – (“immorale, illegale, sgrammaticato, egomane”) e delle sue imprese nauseanti. È il segno dei tempi. “Pánta reî os potamós” diceva Eraclito, e qua veramente scorre tutto nel gran mar dell’essere.
Il Cavaliere è irredimibile, pittasse il Sole non avrebbe scampo: un escremento! Ed è il caso del nostro presidente del Consiglio, uomo botulinicamente acconciatino (non è un reato) e capitone del Mar dei Sargassi (vicino alle Bermuda): non sai mai come pigliarlo, se lo prendi per la testa ti scivola per la coda, se lo prendi per la coda ti sguscia per la testa: un’anguilla viva che non vuol farsi marinare per la mensa di Natale e nemmeno offrirsi docile al teorema sherlockiano che lo vorrebbe “animus lucrandi” delle stragi mafiose del 92: un ammiratore, fautore, seguace delle teorie estetiche ed etiche nicciane. Paturnie ricorrenti al solo nominarne la sigla.
Ma non è questa la pietra dello scandalo, sembra quasi che il Professore, la cui prosa dottissima è la pietra filosofale che trasforma il vile piombo dell’ignoranza nel nobile oro della cultura, si eserciti in alchimie magiche e somministri al colto e all’inclita l’elisir del sapere come un filtro magico che l’infonde ad ogni sorsata: e non c’è metafora che tenga. L’ubriacone è un ubriacone, il codardo resta codardo e, le gesta eroiche, vanitose esibizioni di eroi in cerca di gloria.
Certo, c’è l’aiuto di Freud, si psicanalizza il Cavaliere per ridicolizzarne le oscene pulsioni, mandrilliche quando il sesso è figlio della senescenza. Orchidoclasta (Montanelli – Corriere del 12/9/1996), rompiscatole della Repubblica stuprata.
“Rebus sic stantibus”, non c’è rimedio per il Cavaliere: scompaia! (Non prima d’aver saldato i suoi conti con la giustizia). Vada dove gli pare, ha tanto da poter scegliere che si porrà il problema della scelta: ma che se ne vada. Lontano … e non tenti collegamenti extrasiderali coi marchingegni che il know-how può mettergli a disposizione: il popolo sovrano (il principe) rivuole il suo scettro e magari per consegnarlo a qualche coltissimo che sappia di greco e di latino, d’inglese e d’alemanno, e tratti le pandette come un ragazzino sa trattare i suoi fumetti.
Celestino Ferraro