In occasione della trasmissione Anno zero da Bologna, i lavoratori Rai di Torino sono scesi in piazza, la notte di giovedì 25 marzo in Via Verdi difronte alla sede della Rai, per una difesa del servizio pubblico radiotelevisivo e dell’informazione libera e pluralista, denunciano la gestione suicida dell’attuale Consiglio di Amministrazione e lanciano l’allarme occupazione alla sede di Torino. Dopo 11 anni la Rai decide di trasferire i programmi per i ragazzi di Raitre ai canali tematici del digitale terrestre: tale scelta, di fattooltre a diminuire il bacino di utenza riduce pesantemente la capacità produttiva del Centro di Produzione Rai di Torino mettendone a rischio la stessa esistenza. Contestualmente progetta l’esternalizzazione di settori vitali come: abbonamenti, amministrazione, ricerca tecnologica e ICT, e non garantisce prospettive affidabili sul futuro dell’Orchestra Sinfonica Nazionale.Parlando in cifre, alla Rai di Torino sono a rischio circa 500 posti di lavoro, fra 44 giorni, 50 lavoratori a tempo determinato saranno lasciati a casa senza prospettive. Hanno quindi dichiarato lo stato di agitazione, evidenziando una pericolosa assenza dei piani editoriali oltre che di risorse economiche. In un momento in cui l’azienda sembra soffrire di un grave malessere economico il Consiglio di Amministrazione prospetta la costruzione di un nuovo polo produttivo nell’area milanese in corrispondenza dell’Expo del 2015.
Per gli insediamenti della Rai a Torino tanto nella produzione, quanto negli altri settori, non è previsto alcun potenziamento, anzi si prospetta una lenta agonia. Alla trasmissione di Anno zero hanno aderito diverse associazioni, tra cui Libertà e Giustizia, Sindacato scuola, Popolo viola e molte altre.Rai per Una Notte, è stato definito “il più grande e importante evento Live sul Web della storia di questo paese”, ha superato i 100 mila contatti unici contemporanei, cioè 100 mila persone hanno seguito lo streaming, cosa mai vista in Italia. Ma se questo può essere considerato un autogol, per chi ha cacciato Anno zero e le altre trasmissioni di comunicazione politica fuori dalla tivù, è bene ricordare che Maroni ha fatto diversi tentativi per censurare Internet. Assicura ripetutamente di non volere “leggi speciali” contro la rete, ma le cose non stanno così; a partire dal decreto contro il Wi-fi del 2005, passato come emendamento furtivo, inserito lì per lì dentro il pacchetto sicurezza del febbraio scorso, approvato al Senato, ritirato poi a furor di Web a Montecitorio, ottiene però la stretta sul livestreaming (trasmissione di video via Web). Pare ovvia la preoccupazione del ministro degli Interni per “sanzionare” gli usi impropri della rete (ovviamente decidono “loro” cosa è “improprio”) attraverso filtri informatici che rendono difficile raggiungere siti o gruppi Facebook o altri Social Network, in cui a parer loro vi sono apologie di reato: pare di essere a Cuba o in Birmania, dove di frequente questi strumenti sono funzionali a negare l’accesso ai siti “sconvenienti”.
Mentre negli Usa, a nessun politico verrebbe mai in mente di imporre filtri e censure sul Web, infatti in America, e in Inghilterra, le “hate pages”, cioè le pagine d’odio, sono considerate normali, il prezzo pagato per non limitare la libertà di tutti nella Rete. Obama è uno strenuo sostenitore di Internet e della totale mancanza di censura. Certo, il Presidente del Senato Renato Schifani non la pensa così, egli ritiene che Facebook sia “più pericoloso dei gruppi degli anni settanta”. Del resto è comprensibile che Silvio Berlusconi non abbia in simpatia la Rete, luogo incontrollabile di comunicazione, si pensi alla nascita del Popolo viola, il No B day. Internet è per definizione la “potenza del medium” che parte dal basso, non è verticale, dall’alto al basso come la televisione, che lui controlla ormai senza limiti. E’ scontata la sua avversione verso un medium pluridirezionale rispetto alla televisione che è è unidirezionale, chiusa, e che tra l’altro gli ha permesso di costruire la sua fortuna politica. Dobbiamo attenderci un inasprimento della censura, una drammatica involuzione della democrazia nella comunicazione, non è un caso che Mediaset sia lanciatissima in una politica aggressiva, e che abbia fatto causa (e l’ha vinta) contro You Tube. L’Italia è l’unico paese europeo che non darà alla banda larga, cioè al Web, le frequenze libere dopo il passaggio dalla tivù analogica al digitale terrestre; si pensi che solo per noi italiani è difficile per luoghi pubblici come bar o università consentire la libera connessione Wi-Fi: “ci vuole l’autorizzazione della questura, nonché l’identificazione tramite documento per tutti gli utenti”.
Questa è la concezione democratica del governo, la visione di una comunicazione dall’alto verso il basso, dove le gerarchie non sono modificabili, se non attraverso la cooptazione, l’appartenenza ai “giri”, che eventualmente forniscono raccomandazioni. Una concezione di Stato etico, che applica filtri atti a impedire ai cittadini, considerati alla stregua di minorati mentali che abbisognano di una protezione affinchè non siano contaminati dal male. Personalmente non credo che la modernità, e il futuro della democrazia vadano in questa direzione. La rete e l’informazione libera sono il vaccino e al tempo stesso la linfa della democrazia.
*L’autrice è socia di LeG
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