Viola almeno quattro principi costituzionali, a cominciare da quello sull’obbligatorietà dell’azione penale, e avrà effetti “devastanti” sulla “efficacia” delle indagini il ddl Alfano sulla riforma del processo penale. E inoltre, “rafforzando la dipendenza della polizia giudiziaria dal potere esecutivo” e al tempo stesso “estromettendo il pm dalle indagini” , potrebbe permettere al governo di controllare o quanto meno di condizionare l’azione penale. La stroncatura senza appello del provvedimento che riforma il processo penale viene dalla Sesta Commissione del Csm.
Il parere, che in Commissione è stato approvato all’unanimità, potrebbe essere discusso già domani dal plenum di Palazzo dei Marescialli, dove sarà portato con procedura d’urgenza. Il documento delel toghe mette sotto accusa le norme-chiave del disegno di legge che riguarda il processo penale, a cominciare appunto da quella che ridisegna i rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. Oltre all’obbligatorietà dell’azione penale, le norme all’esame del Senato – secondo i consiglieri della Sesta commissione, presieduta da Livio Pepino – violano i principi costituzionali del giudice naturale (articolo 25), della ragionevole durata dei processi (articolo 111), e il contenuto dell’articolo 109 della Carta, secondo cui l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. E inoltre la stessa ratio della norma su cui si appuntano i maggiori strali dei consiglieri è “in conflitto” con il ruolo che la Costituzione assegna al pm di “garante della legalità dell’azione penale e dei diritti dell’indagato e dell’imputato”.
Non a caso tra le conseguenze negative del ddl, i consiglieri indicano anche la “minor tutela degli interessi della difesa”, oltre alla “dilatazione” dei tempi dei procedimenti.
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